«Afghanistan ieri e oggi - 1978-2001: cronaca di una rivoluzione e di una controrivoluzione», scritto da Enrico Vigna, edito da La Città del Sole, Napoli. Un centinaio di pagine che si leggono di un fiato e che ogni militante dovrebbe conoscere per ricordare il passato, capire il presente, preparare il futuro. Il testo che segue è la prefazione del libro.
ai martiri e patrioti afgani
ed ai 15.000 soldati sovietici
caduti per difendere
un barlume di speranza e di luce
contro loscurantismo
e loppressione secolare
del popolo afgano,
schiacciato nella tenaglia distruttrice
del fanatismo religioso
e dellimperialismo.
In particolare, al ricordo,
per me perenne,
del compagno Noor,
rientrato a Kabul
per combattere lultima battaglia
e lasciare al suo popolo,
con il sacrificio della propria vita,
un atto scolpito come lascito
alle future generazioni di quel paese,
nellimpervio e difficile cammino
verso il progresso
e lemancipazione.
Enrico Vigna
Ho inteso questo lavoro non tanto in funzione interpretativa o analitica, bensì come un atto dovuto di Memoria Storica, in quanto attraverso la memoria, la storia continua a vivere nelle speranze, negli scopi e nelle aspettative di uomini e donne, che cercano di dare un senso alla vita, di trovare un ordine nel caos, di scoprire soluzioni ignote a problemi noti. Un lavoro di documentazione di fatti e passaggi storici avvenuti e quindi, ormai pezzi di storia fissata a nostra disposizione non come ipotesi o valutazione, bensì come dati di fatto. Un testo, come si potrà vedere, fondato su dati e cifre, riconosciuti dagli organismi internazionali preposti (ONU in primo luogo), oltreché da foto e immagini che non hanno bisogno di commenti.
Ho voluto fare questo sforzo per tre motivi fondamentali: il primo per un dovere morale di solidarietà verso il popolo afgano di cui negli anni 80 ho avuto lonore di conoscere e stimare alcuni tra i suoi figli migliori: alcuni membri del Partito Democratico Popolare Afghano (PDPA) e del Fronte Patriottico Nazionale (FPN); uno in particolare: il compagno Noor che verso la fine della resistenza popolare contro i banditi controrivoluzionari, decise di tornare a Kabul per combattere e morire, come estremo sacrificio per non far sparire la speranza e lasciare una traccia indelebile per le future generazioni, quando avrebbero ripreso il cammino verso un futuro degno di essere vissuto. A nulla servirono i tentativi di dissuasione motivati in vari modi; egli lo riteneva un dovere morale e politico verso il suo popolo e lo riteneva un atto di speranza per il futuro della sua gente e del socialismo. Da allora il suo coraggio, la sua onestà, la sua serenità, le sue grandi doti intellettuali, si sono fissate nella mia anima come una pietra e mi hanno arricchito nei seguenti percorsi di vita. Oggi con questo piccolo lavoro, cerco di ridare solo un po di quello che ho avuto, facendo uscire dalloblio frammenti di storia di lotte, di sforzi e sacrifici umani, di rivoluzionari e lavoratori, uomini e donne, che si sono battuti per conquistarsi, come popolo, unalba di dignità e speranza, di giustizia e di un futuro degno di essere vissuto. Un popolo ed una rivoluzione di cui apprendevo particolari ed aspetti da ore di descrizioni accalorate, intense, mai sprezzanti anche se spesso dolorose. Narrazioni che raccontavano di un popolo che dal lontano 1747, anno dinizio di un processo formativo di unidentità nazionale afgana, ha lottato e cercato, pagando prezzi altissimi, laffermazione di una sua esistenza indipendente e specifica. Dove tristemente si parlava dei pregiudizi, dellignoranza, del disprezzo, di come solitamente nella letteratura occidentale si parlava di quei luoghi, di quelle genti e delle loro culture e tradizioni, arrivando spesso ad un vero e proprio razzismo culturale (vedi R. Kipling). Ma si parlava anche di futuro, di conquiste sociali e speranze che, mattone su mattone, il nuovo Afghanistan popolare stava costruendo. Delle donne, uno degli zoccoli duri di quella rivoluzione, che in quellaprile 1978 si erano conquistate luscita dalle tenebre del Medio Evo e che, fino allultimo istante hanno difeso e si sono sacrificate nella difesa popolare, con i loro battaglioni e milizie femminili immolatesi per non tornare nelloscurantismo barbarico (come poi è purtroppo successo, grazie alla vittoria dei "combattenti per la libertà" o mujaheddin, ingrassati, armati e sostenuti dalloccidente capitalistico, per i soliti motivi dì interessi economici, militari e di profitti).
Si parlava di bambini, come egli diceva, dove forse viveva la speranza più forte e concreta che la rivoluzione ce la potesse fare, diceva sempre "... se riusciamo a completare lalfabetizzazione e a far crescere una generazione di adolescenti nella pace e cultura, quindi se resisteremo almeno 15 anni agli assalti controrivoluzionari, questo popolo ce la potrà fare...". Non ce lhanno fatta. Ha vinto la guerra, il ritorno allignoranza, la violenza, il fanatismo, la morte come valore simbolico. Vinsero gli amici delloccidente, donne e bambini in primis tornarono allinferno medioevale, furono distrutti scuole, biblioteche, teatri, cinema, asili dinfanzia, università... Le lancette dellorologio tornarono indietro. E soprattutto ciò che era nei timori di chi aveva una coscienza e unattenzione profonda verso la situazione afgana si avverò... leccidio di decine di migliaia di militanti di sinistra, di sindacalisti, di donne che si erano levate il velo, di giovani universitari. Un lago di sangue di cui nessuno si occupò (si tratta di decine di migliata di morti)... in quanto la sinistra variopinta occidentale e la reazione anticomunista allunisono, erano troppo impegnati a brindare e a festeggiare la "vittoria dei combattenti della libertà o mujaheddin", portatori di libertà, democrazia e civiltà contro le famigerate forze legate al giogo del socialismo e dellemancipazione dei popoli, che avevano tentato qualcosa che sembrava impossibile, deviare il corso medievale del proprio popolo (ma qualcuno scrisse che quando limpossibile è stato tentato una volta esso è già meno impossibile. .), ma soprattutto con un grande "torto" ... quello di aver perso.
La seconda motivazione di questo lavoro è legata ad un impegno di lavoro di informazione e controinformazione, inteso come strumento di difesa della verità e della memoria storica, contro la pianificata e scientifica disinformazione strategica imperialista (vedi laggressione mediatica alla Jugoslavia, metodo tuttora applicato) e le falsità e menzogne che ci vengono iniettate sistematicamente qui in occidente (dove l87 % delle nostre informazioni è fornita da quattro Agenzie internazionali... ). Un impegno da usare come deterrente contro camaleonti ed opportunisti di ogni tipo e sponda politica, che abbondano come gli stolti e gli ipocriti, che cambiano posizioni politiche come gli abiti, con il passar delle stagioni e sempre pronti a saltare sul carro del dominante o del "politicamente corretto".
Per questo mi auguro che i documenti, i dati, i fatti più avanti elencati, possano essere un piccolo contributo e strumento per chi cerca di contrastare la guerra mass-mediatica a cui siamo sottoposti (... Jugoslavia docet); per poter fare questo sempre più è fondamentale una approfondita e rigorosa conoscenza degli avvenimenti passati e presenti, inerenti ogni situazione affrontata.
E anche questo ritengo sia un modo dignitoso e positivo, in questi tempi di assimilazioni e appiattimenti (per non dire spianamenti) di valori etici e di classe, per sostenere e solidarizzare con la causa della liberazione, indipendenza ed emancipazione dei popoli.
Come diceva qualcuno... "la verità è rivoluzionaria... ".
La terza motivazione è quella di riaffermare, storia alla mano un NO alla Guerra, che è stata nuovamente scatenata sul popolo afgano, ancora una volta martoriato e colpito dagli interessi dellimperialismo USA, ieri allevatore e finanziatore di quelli che oggi sono diventati i nemici da annientare, in un gioco di interessi geopolitici, economici, militari... in sostanza di profitti. Così come accade in questi anni ai popoli palestinese, iracheno, colombiano (senza dimenticare la Jugoslavia aggredita e distrutta).
Enrico Vigna