L'incubo è divenuto realtà. Bisogna reagire.
NO ALL'INTERVENTO MILITARE !

Comunicato della Fondazione Pasti (aprile 1997)

La spedizione militare italiana in Albania è dunque al via. La "voglia matta" di intervento manifestata in queste settimane da tutti i settori politici italiani senza eccezione, dal governo di centro-sinistra all'opposizione di destra, ha avuto, con la risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, le coperture che gli elementi più prudenti giudicavano necessarie ma di cui altri già pensavano anche di poter fare tranquillamente a meno.

Un centinaio di donne e bambini affogati, nelle intenzioni del governo dovrebbero essere presto dimenticati e messi tra parentesi come uno spiacevole incidente. Spiacevole, è chiaro, non tanto per le vittime, per le quali si sprecano lacrime di coccodrillo e polemiche strumentali, ma perchè rischia di mettere a nudo, come un lampo improvviso di luce, il carattere cinicamente e brutalmente colonialista della politica italiana, con effetti immediati tanto in Albania (dove è clamorosamente caduta la fiunzione dell'intervento invocato da tutti) quanto in Italia (dove assistiamo a un sussulto di dignità e di opposizione). La parola d'ordine del governo è perciò minimizzare e dimenticare il più in fretta possibile, per poter procedere - finalmente - alla tanto invocata missione militare.

Proprio nelle ore in cui si consumava la tragedia in mare, l'Albania è stata infatti riconosciuta dalla "comunità internazionale" - espressione ipocrita dietro cui si celano i comitati di affari di un pugno di paesi che si stanno ridividendo il mondo - come zona di competenza primaria dell'Italia. Sia dunque l'Italia, così smaniosa di farlo, a guidare la spedizione militare e a farne le spese (per tutti) e i guadagni (per pochi).

E' l'Italia che ha investito di più nella grande rapina di questi anni ai danni del popolo albanese. E' l'Italia che ha investito di più nel regime di Berisha, che in cambio di sostegno politico (le elezioni truffa) e militare (operazione Pellicano) ha aperto le porte del paese a ogni sorta di affari, da quelli che tutti chiamano sporchi a quelli pretesi "puliti": le fabbrichette chiuse qui e aperte lì, i cui proprietari ora invocano apertamente protezione militare; le grandi banche che stavano realizzando profitti miliardari; i grandi progetti di investimento. Anche l'occupazione del 1939, di cui proprio in questi giorni ricorre l'anniversario, fu preceduta da un'intensa penetrazione economica.

E' dunque all'Italia, che ha il pacchetto di maggioranza, anche se non l'esclusiva, nella rapina economica, che viene affidato il compito di impedire che la giusta rivolta del popolo albanese, che è stata capace di sbarrare al regime la repressione sanguinosa a cui si accingeva e di disarticolare i suoi apparati coercitivi, colga i suoi frutti politici. E' all'Italia che viene demandato il compito di puntellare con le proprie risorse economiche e militari il regime della mafia e dello sfruttamento, odiato dal popolo ma tanto utile agli affari.

E' l'Italia imperialista che viene avanti questa volta in prima persona e mostra il suo volto ripugnante. E' l'Italia dell'imperialismo straccione del passato, emulo sanguinario dell'ultima ora di imperialismi più antichi e blasonati, privo di ogni scrupolo proprio in ragione della sua relativa debolezza. Questa Italia si ripresenta puntuale, con le stesse caratteristiche di un tempo, all'appuntamento con la nuova fase storica di crisi, di grandi sconvolgimenti e di guerra in cui la dinamica rapace del sistema capitalista e il crollo del blocco socialista ci ha fatti precipitare. E' l'Italia in cui è stata impedita la circolazione del film su Omar al Mukhtar, è l'Italia dei monumenti a Italo Balbo (1996 - cerimonia di scopertura alla presenza del sottosegretario PDS Massimo Brutti!) che aspira a rivivere un passato coloniale con il quale non ha mai voluto fare veramente i conti. E' l'Italia assassina - come qualcuno ha scritto sulle mura di una nostra ambasciata - che la classe dominante vuole a tutti i costi riproporre.

E questa volta dobbiamo dunque parlare dell'Italia, dell'imperialismo italiano, non di terre e popoli lontani, non di vaghe "solidarietà", non di complicità più o meno indirette. Per questo tutto si fa più difficile, ma anche più vero. E' un momento della verità. Ed è una verità amara perchè ci trova ancora largamente impreparati e troppo deboli di fronte a un nemico potente.

L'intervento militare viene mascherato in mille modi. Come potrebbe essere altrimenti? Le tecniche per farlo digerire o farlo addirittura invocare dalla gente sono molteplici e raffinate. Ci meravigliamo forse? La verità è la prima vittima della guerra. E' così che la popolazione in rivolta è diventata un'accozzaglia di banditi e di mafiosi, da respingere con la forza, e poche migliaia di rifugiati sono diventati un'invasione contro cui aizzare, incanalare e dirottare i malumori popolari e mobilitare la flotta.

Ma le maschere, si sa, tanto nascondono quanto rivelano. Anche se la nave dei profughi non fosse stata affondata, niente poteva mascherare la realtà di per sè eloquente degli eserciti che si muovono a protezione degli affari e degli affari che sempre più scopertamente invocano gli eserciti.

La cornice del resto è assai più ampia di quella della piccola Albania. E all'orizzonte ci sono ormai sviluppi più clamorosi. L'allargamento della NATO, che formalmente si dà per oggetto di decisione in luglio, è in atto ormai da tempo, particolarmente nell'area balcanica in cui la crisi e le guerre intestine della Jugoslavia sono state provocate, alimentate e sfruttate proprio a questo scopo (e il processo non è concluso). Ma la posta vera va ben al di là dei Balcani: è il controllo militare preventivo e in prospettiva repressivo in tutto l'est europeo e nella Russia europea e asiatica, per impedire che i popoli traditi e portati alla disperazione rimettano in questione i processi controrivoluzionari di spoliazione di cui sono attualmente oggetto. Ed è su questo terreno che si giocano anche le rivalità non sempre ancora esplicite tra le potenze imperialiste.

Anche l'impegno dell'Italia non si limita certo all'Albania. Le basi militari americane in Italia, da Aviano a Sigonella, vengono vergognosamente ampliate. L'Italia predispone, insieme ad altri, forze di intervento rapido per l'area mediterranea (l'Eurofor con comando a Firenze) o balcanica (forze congiunte italo-sloveno-ungheresi). Il governo di centrosinistra passa ormai alla fase operativa della trasformazione delle forze armate, per renderle più adatte agli interventi militari esterni con l'eliminazione della leva e la professionalizzazione.

Lo stesso impegno militare in Albania viene visto esplicitamente come un modo di accreditare l'Italia come socio a pieno titolo, con diritto a una parte congrua del bottino, nel club delle grandi potenze imperialiste. Si tratta, per dirla con Eugenio Scalfari, di "saper rispondere al compito gravoso che la posizione geopolitica ci assegna e che il nostro ruolo di potenza mediterranea ci impone" (Repubblica, 30 marzo). Per dichiarazioni di questo tipo di tutte le parti politiche (e lasciamo stare quelle più truculente della destra) c'è solo l'imbarazzo della scelta. E' l'ora degli "imperialisti democratici" il cui ruolo è indispensabile per assicurare il consenso alle guerre. Anche su questo, i precedenti storici sono eloquenti.

L'impegno militare del resto è una faccia della medaglia: l'altra faccia è la politica di Maastricht: la costruzione dell'Europa forte e autoritaria per schiacciare le rivendicazioni popolari all'interno e all'esterno e meglio gareggiare con le altre potenze imperialiste per la spartizione del mondo. E sul terreno militare come su quello della costruzione economica e politica si occupano posizioni e si preparano scontri tra i maggiori briganti imperialisti e si aprono, per l'imperialismo straccione e sanguinario di casa nostra, gli scenari dei tradizionali giri di walzer in attesa delle decisioni non più revocabili.

Di fronte a questi processi è necessaria una assunzione di responsabilità. Abbiamo visto in questi giorni un sussulto di presa di coscienza in qualche settore democratico del paese. Non lasciamo che vada disperso e diamoci subito un obiettivo preciso e chiaro:

NO ALL'INTERVENTO MILITARE

Non può essere solo una manifestazione di auspici, dopo di che, tutti a casa, come è nelle peggiori tradizioni del movimentismo nostrano e del trasformismo politico. Deve essere un programma di lotta senza quartiere per un obiettivo sul quale dobbiamo essere disposti a pretendere chiarezza da tutti e a fare se occorre le barricate.

Il tanto desiderato intervento militare italiano in Albania ha goduto finora di complicità scandalose anche a sinistra, dove sembra che il ruolo imperialista dell'Italia sia meno importante dell'imposizione dell'ultimo ticket. Se il PRC minaccia la crisi sulle pensioni o sulla sanità, che cosa non dovrebbe minacciare sullo intervento militare? E invece abbiamo sentito balbettii ripugnanti tipo "abbiamo più volte detto che non siamo contrari in linea di principio a un intervento anche militare, ma... " (e seguono i distinguo che la cronaca suggerisce) [parole del responsabile internazionale del PRC su "Liberazione" del 27 marzo].

Queste ambiguità devono essere spazzate via da un movimento di lotta vasto e unitario e soprattutto vero contro l'intervento militare comunque condito e mascherato. E' una priorità assoluta rispetto a ogni altro obiettivo e ogni altra considerazione.

NO ALL'IMPERIALISMO, A COMINCIARE DAL NOSTRO, QUELLO ITALIANO

NO ALL'INTERVENTO MILITARE

DIAMO GAMBE E STRUTTURA A UN VASTO MOVIMENTO CONTRO TUTTI I PREPARATIVI DI GUERRA IN ATTO NEL NOSTRO PAESE

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