Stabilità e squilibri in Cina

Nello scorso mese di Marzo si è svolta a Pechino un’importante sessione dell’Assemblea Popolare Cinese per approvare, oltre al rapporto annuale del primo ministro, anche altre modifiche alla Costituzione, dopo quelle apportate negli ultimi venti anni. Tra queste modifiche, l’inserimento delle "tre rappresentanze" (in aggiunta al marxismo-leninismo, al pensiero di Mao, alla teoria di Deng), come fondamento teorico e guida del "socialismo secondo le caratteristiche della Cina", il riconoscimento e la protezione della proprietà privata formatasi lecitamente, cioè nel rispetto delle leggi dello Stato, e come tale espropriabile, pena un indennizzo, quando si riconosce un motivo di pubblica utilità; ed ancora la protezione ed il rispetto dei diritti umani.

I media italiani ed internazionali, che di solito parlano poco delle vicende cinesi, hanno trovato sugli ultimi due argomenti pane per i loro denti per manifestare in termini sensazionali, come sempre, le loro striminzite affermazioni, anziché presentare pacatamente i fatti e ricercare i dovuti approfondimenti.

Siccome il loro scopo non è quello di far conoscere i fatti, ma di strumentalizzarli, per dimostrare l’omologazione della Cina al capitalismo, proverò in questa breve nota a ragionare serenamente per invitare i compagni alla riflessione ed alla discussione, senza posizioni precostituite se la Cina è il baluardo del socialismo o viceversa se è sprofondata nel capitalismo e senza essere ripetitivo rispetto a quanto già scritto su Aginform.

Tuttavia non analizzo soltanto le modifiche alla Costituzione, bensì il rapporto del primo ministro ed altri scritti sulle riviste cinesi che ritengo utili per il dibattito in corso sul "socialismo secondo le caratteristiche della Cina".

La brevità dell’articolo mi costringe ad essere schematico, ma cercherò di essere convincente, elencando gli argomenti per punti:

1) Con la riforma economica e con il riconoscimento dell’attività privata si è formata in Cina una piccola e media borghesia (per usare i parametri di riferimento del nostro paese) che opera intorno al 20% del Pil. Questa borghesia, che al momento (domani non lo sappiamo!) opera in gran parte nel rispetto delle leggi dello Stato a "dittatura democratico-popolare" e non è subordinata all’imperialismo, tranne una minoranza che si dedica ad attività illecite, con la quantità di denaro a sua disposizione ha acquistato beni immobili come l’abitazione, i negozi, le piccole fabbriche, partecipa nel capitale azionario misto (a volte insieme a capitale pubblico o cooperativo), possiede automobili di media e grossa cilindrata ed altri beni mobili. Pertanto, la modifica alla Costituzione riconosce una situazione di fatto già esistente da più di un ventennio e regola questa attività secondo la legge. Nel dibattito che ha preceduto l’approvazione delle norme sulla Costituzione ho potuto leggere sulla stampa cinese posizioni diverse ed anche opposte; tra chi, ad esempio, era per favorire al massimo l’iniziativa privata ed il pieno possesso dei beni procurati da questa attività e chi, invece, sosteneva che senza precise restrizioni alla proprietà privata, sia in termini di estensione che in senso temporale (soprattutto ante), non solo si potrebbe stravolgere il futuro della Cina, ma addirittura i proprietari terrieri, espropriati in seguito alla riforma agraria dei primi anni ’50, potrebbero reclamare se non la restituzione delle terre, almeno l’indennizzo. La norma approvata dall’Assemblea Popolare Cinese riconosce la proprietà formatasi legalmente nelle nuove condizioni della Cina e la sottopone, come detto, ad esproprio tramite indennizzo, come sancito nella Costituzione italiana e soprattutto tedesca (su questo e su altri argomenti i cinesi hanno studiato il diritto comparato, ascoltando giuristi di diversi paesi!); diversamente, quella formatasi illecitamente è sottoposta ad esproprio forzato. Quando si parla di proprietà privata in Cina e di sua protezione bisogna attenzionarla ai problemi della Cina e non fare trasposizioni ideologiche meccaniche; infatti, in Cina, la proprietà privata deve difendere non solo le condizioni sociali della nuova classe, ma anche le aree agricole che circondano le città, occupate negli ultimi venti anni dalla crescente e caotica espansione urbana con il risultato che milioni di contadini sono stati di fatto espropriati del loro lavoro e passati ad altre attività.

2) Le "tre rappresentanze" (sviluppo delle forze produttive, della ricerca scientifica, e creazione di una cultura d’avanguardia che tenga conto del retaggio storico della Cina) erano state già inserite nello statuto del Partito comunista cinese, l’anno scorso in occasione del 16 Congresso, dopo essere state enunciate da Jang Zemin in occasione dell’80° anniversario della fondazione del PCC, come direttiva strategica del Partito. Personalmente, ritengo, come ho scritto in altre occasioni, che debbano essere studiate anche fuori della Cina, soprattutto nei paesi altamente capitalistici, con adattamenti che tengano conto delle diverse civilizzazioni, perché ci spronano ad approfondire la teoria marxista-leninista ed il ruolo ed il significato del proletariato. Altrimenti rischiamo di vedere dogmaticamente il proletariato soltanto nell’operaio massa e non comprendiamo la natura proletaria delle figure produttive che sono emerse negli ultimi centocinquant’anni e l’essenza del pensiero di Mao basato sul contare sulle proprie forze o lo spirito della idea juche di Kim Il Sung.

3) Il rapporto del primo ministro presenta un soffio di "antico" (pur sostenendo la continuazione delle riforme) in quanto mette l’accento: a) sul rafforzamento del controllo macroeconomico dello Stato e sul perseguimento di uno sviluppo stabile; b) sul rafforzamento dell’agricoltura, considerata il settore base, e sull’aumento dei redditi dei contadini per attenuare il divario crescente con i redditi urbani; c) sulla diminuzione del divario tra città e campagna e tra regioni sviluppate e meno sviluppate, favorendo gli investimenti nelle zone rurali e nel centro-nord-ovest della Cina; d) sulla riduzione della disoccupazione e sulla garanzia del diritto alla salute ed alla sicurezza sociale, sul rafforzamento della democrazia, sulla legalità, la sicurezza statale e la stabilità sociale per evitare eventuali conflitti che sorgerebbero dalle crescenti disparità.

4) Sul divario tra città e campagna e tra aree avanzate dell’est ed aree arretrate del centro e del nord-ovest, nonché sul rilancio delle vecchie aree industriali del nord-est il dibattito nel paese è molto vivo e non si nascondono le preoccupazioni per una crisi sociale che ne potrebbe scaturire. Su un miliardo e trecento milioni di abitanti, novecento milioni vivono nelle aree rurali e sono legate all’attività agricola; nel 2003 il reddito medio annuo dei contadini è stato di 317 dollari, mentre quello dei residenti urbani di 1027 dollari.

5) Un problema delicato è diventato quello dell’eccessivo sviluppo urbano, sia per l’occupazione delle terre fertili attigue alle città, come già detto, sia per l’eccessivo consumo di ferro e di acciaio impiegati nella costruzione dei grattacieli. Il ricorso al grattacielo anziché alle costruzioni di tipo estensivo è stato favorito proprio per impiegare meno terra. Ed infine, altro problema è quello della produzione petrolifera che non basta a soddisfare la domanda delle industrie, delle abitazioni e degli automobilisti che stanno diventando numerosi.

Tutto quanto descritto evidenzia che la Cina è diventato un paese complesso, impegnato in una lunga fase di transizione economica e l’unico alla distanza che si può contrapporre agli Usa (dopo il flop dell’Europa in seguito alla guerra americana in Iraq!) e che sollecita nuovi problemi che non si possono etichettare e prima di ogni cosa devono essere compresi. Sarà la storia futura a dire quale formazione sociale si affermerà in Cina, se il socialismo o se il capitalismo, o se addirittura si formerà una nuova formazione sociale, come creazione del prodotto storico, né capitalista né socialista, almeno secondo gli schemi che fanno parte del nostro modo abituale di pensare

23 aprile 2004

Giuseppe Amata

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