Un discorso di prospettiva sull'Europa

Tony Blair, assumendo dal 1° luglio il semestre di presidenza dell'Unione Europea, può essere ben contento di guidare l'Europa che non c'è.

Dopo le disapprovazioni della Costituzione ed il fallimento della riunione di Bruxelles sul bilancio comunitario per i suoi veti ai sostegni alla politica agricola comune si può dire che ha già realizzato una parte dell'opera che si era prefisso, come del resto i precedenti primi ministri della Gran Bretagna, quella cioè di impedire la formazione di una forte Europa, indipendente dall'America, per conservare soltanto una regione di libero scambio di merci e di capitali finanziari.

Che la PAC, a partire dagli anni '60 abbia favorito l'agricoltura francese e tedesca, e continentale in generale, a discapito di quella ad esempio dell'Italia meridionale non v'è alcun dubbio, determinando grossi sconvolgimenti produttivi ed abbandoni di forze-lavoro. Ed i governanti italiani dell'epoca accettavano perché l'agricoltura padana e quella della polpa del Meridione non venivano intaccate, mentre con la politica dei contributi, o per meglio dire delle mance, si vincevano le elezioni e nello stesso tempo il settore industriale che esportava conquistava nuovi mercati nella CEE e nei paesi africani associati.

Come pure scelte scellerate, ad esempio quelle del set aside per favorire gli abbandoni delle coltivazioni di alta collina e montagna per mantenere alti i prezzi al consumo del grano e dei prodotti dell'allevamento per favorire le grandi imprese, dimenticando le devastazioni ambientali delle zone collinari e montane che ne sarebbero avvenute in seguito alle mancate coltivazioni, ad esempio nell'Alto Piemonte e nell'Alta Lombardia, in tutto l'Appennino ed in Sicilia, cioè i dissesti idro-geologici e la siccità, di cui si parla solo quando avvengono i disastri, erano note e denunciate da lunga data da piccole associazioni locali di produttori e da studiosi che non mercificavano le loro ricerche.

Era facile, quindi, al vertice di Bruxelles per Tony Blair fare un pò di demagogia in nome della "libera concorrenza" e negare il suo sostegno ai contributi agricoli tradizionali per assegnarli, a suo dire, al settore ricerca ed innovazione (settore magico e provvidenziale quando si vogliono destinare i contributi statali per le grandi multinazionali che codificano brevetti sugli ogm od altro!), ben sapendo che ciò avrebbe scatenato le ire di Francia e Germania (ed era questo il reale obiettivo!).

Così, se prima l'Unione Europea politicamente non c'era (perché creata con i piedi d'argilla degli interessi dei grandi oligopoli e contro le esigenze delle vaste masse popolari), e protesa ad allargarsi ad est per colonizzare i paesi crollati economicamente e statualmente e non certamente per accettarli su un piede di eguaglianza (d'altra parte i gruppi dirigenti di questi paesi passavano da un rapporto di dipendenza verso l'Urss ad uno di sottomissione verso gli Usa, la Germania e verso singoli grandi gruppi finanziari, come Soros, ecc:) e perché così in fondo piaceva all'America (un'Europa come torre di Babele moderna in cui la confusione degli interessi avrebbe portato al suo crollo!), per impegnarsi nelle campagne politico-militari di disgregare la ex-Yugoslavia e quindi tutto il mondo slavo, compresa la Russia ed infine incapace nella sua interezza di bloccare la guerra americana in Iraq, anzi partecipandovi con molti paesi (ad eccezione di Francia, Germania e Belgio) con truppe e rifornimenti militari.

Che ne sarà ora di questo involucro con vacuo contenuto e per giunta contraddittorio che si chiama Europa?

Nel settore degli europeisti filo-americani coesistono due tendenze: a) quella rozza, come espressa da sempre dai conservatori inglesi (sì al mercato comune, no all'unione monetaria e politica) ed ora dalla Lega nord (uscire dall'euro per ancorare la lira al dollaro) con la prospettiva di finire come il Messico o l'Argentina; b) quella moderata a leadership Blair con l'appoggio di paesi come l'Olanda, la Danimarca, la Polonia, i popolari spagnoli ed i socialdemocratici portoghesi (in questo momento entrambi all'opposizione) e per l'Italia non solo il centro-destra, ma anche Rutelli ed altri del centro-sinistra, per uno stretto legame con gli Usa in una forma di "nuova partnership" (parola fumosa per mascherare la subordinazione all'America). Però i potentati finanziari (banche e assicurazioni) e padronali (Confindustria, Confagricoltura, Concommercio, ecc.) non sono tutti d'accordo su questa linea, anzi in questi settori c'è un grande disordine sotto il cielo.

Di rimando persiste l'asse franco-tedesco, che ormai dichiaratamente critica il ruolo di Blair, il quale però si deve cimentare con i problemi che scaturiscono dall'esito del referendum o dalle elezioni politiche di settembre, avendo al suo fianco i socialisti di Zapatero e settori del centro-sinistra in Italia. Questo schieramento però non ha una linea politica decisa e forte, come nel passato era quella del generale De Gaulle, proprio perché interpreta interessi diversi, ma soprattutto interessi dell'alta finanza e dei monopoli, ed essendo le masse popolari di questi paesi senza peso reale.

E' chiaro che, in questo momento, in Europa non esiste né ovviamente una situazione rivoluzionaria né un grande movimento di massa unitario che si può immediatamente battere per una "Europa dei popoli". Esistono però le condizioni per lo sviluppo di questo movimento di massa sulla base della difesa dei diritti sociali e delle libertà democratiche acquisiti, sulla lotta per l'occupazione e contro le privatizzazioni, soprattutto di quelle dei beni comuni, come l'acqua, la sanità, i trasporti, la scuola e l'università, contro la guerra e le campagne neo-coloniali (come nella ex Jugoslavia ed in Iraq), per la difesa dell'ambiente.

Ovviamente il movimento di massa dovrà tener conto della situazione concreta in cui opera, della sua reale forza, delle contraddizioni all'interno del capitale finanziario e della classe dirigente, della politica estera per un mondo multipolare contro l'egemonismo americano. Quindi deve unirsi e dialogare, in questa fase, anche con forze politiche del mondo finanziario che sono contrarie all'egemonismo Usa.

Una base di discussione popolare poteva essere la Costituzione europea, ma i grandi poteri hanno voluto calare la Costituzione dall'alto. Gli esiti negativi nei primi due referendum devono indurci a sconfiggere questo testo ed a batterci per riaprire la discussione alla ricerca di un compromesso onorevole come è stato per le Costituzioni italiana, francese, tedesca dopo il secondo conflitto mondiale. L'unità politica dell'Europa come processo di lungo termine da realizzare non deve essere la bandiera da lasciare in mano alla parte del capitale finanziario anti-americano, bensì, nel rispetto delle peculiarità nazionali e delle tradizioni culturali, dei popoli europei dall'Atlantico agli Urali, in cui la lotta di classe per una società socialista e lo sviluppo della ricerca scientifica e delle forze produttive in generale debbano avere un più avanzato terreno di svolgimento.

27 giugno 2005

Giuseppe Amata


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