Egemonismo americano sul mondo
o equilibrio multipolare?

Mentre andiamo in stampa, due nuovi sviluppi meritano una importante sottolineatura:

1) il primo, non menzionato in dettaglio dalla stampa e dalle TV italiane, riguarda l’esito della discussione svoltasi al Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dove undici paesi (fra questi Cina, Russia, Francia e Germania) hanno sostenuto la necessità di proseguire le ispezioni e 4 paesi (fra questi USA e Gran Bretagna) hanno chiesto di inviare un ultimatum a Saddam. La stampa e la TV italiane hanno menzionato solo la posizione dei grandi paesi per non mettere in evidenza l’isolamento in cui si trovano gli USA; da ciò la posizione dei governanti americani ed anche italiani che l’ONU non deve perdere credibilità. Come dire l’ONU perde credibilità se rigetta la posizione guerrafondaia degli Usa;

2) il secondo fatto riguarda la spaccatura in seno al Consiglio della Nato, dopo il veto di Belgio, Francia e Germania alle operazioni di supporto bellico alla Turchia.

Si ha dunque una clamorosa conferma di come si acutizzano le contraddizioni interimperialistiche e vengono sconfessate le "moderne" teorie sull’"impero", anziché sull’imperialismo di leniniana memoria, fatte propria anche da Bertinotti nel dibattito alla Camera, conclusosi senza voto.


Si possono leggere gli avvenimenti internazionali dopo l’11 settembre come un continuo espandersi delle forze militari americane in ogni parte del mondo con la creazione di nuove basi militari, come quelle insediate in Afghanistan, Tagikistan, Uzbekistan, Kirghisistan, o con il dispiegamento di più di centomila uomini negli Emirati arabi, con l’ausilio delle forze britanniche e di altri paesi, e la presenza di portaerei, incrociatori e navi da guerra nel Golfo Persico, nell’Oceano Indiano, nel Mediterraneo, oltreché col rafforzamento della presenza cinquantennale in Corea del sud e dirimpetto le coste della Repubblica popolare democratica della Corea.

Da quest’angolazione visuale si è portati a dire che la funzione assunta dagli Usa dopo il crollo dell’Unione Sovietica di dominare in modo assoluto il mondo è in pieno svolgimento.

Ma possiamo anche leggere gli avvenimenti degli ultimi due anni da un’altra angolazione visuale, riscontrando che nonostante la creazione di nuove basi in Asia, i bombardamenti dell’Afghanistan e l’occupazione militare degli Emirati arabi per attaccare l’Iraq, gli Usa non solo non hanno normalizzato l’Afghanistan, ma sulla questione irachena si trovano di fronte uno schieramento avverso, non soltanto nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e nel mondo intero, ma nell’ambito della stessa Nato, che non si vuole piegare al diktat americano e rifiuta da un punto di vista politico e giuridico il principio della guerra preventiva, cercando di impedire lo scatenamento del conflitto, seppur attraverso un paziente gioco diplomatico, che finora ha ottenuto come risultato di postergare l’inizio dell’ora X già fissata per la fine di novembre e poi rimandata da un mese all’altro ed ora si dice attuabile per la fine di febbraio.

In questa contraddizione che si gonfia sempre di più col trascorrere dei giorni e che vede da un lato gli Usa, la Gran Bretagna, Israele ed altri paesi di minore importanza e dall’altro la Germania, la Francia, la Russia, la Cina, l’India e la stragrande maggioranza dei paesi del mondo, il ruolo "antidemocratico" di Saddam Hussein ed il "riarmo" dell’Iraq rappresentano un falso scopo, nel senso che la posta in gioco è il controllo delle risorse petrolifere della regione mediorientale con le sue propaggini in Iran e nel Caspio. Cacciare Saddam e controllare il petrolio significa per gli Usa non solo mantenere il ruolo assoluto di potenza egemonica, a cui tutti i paesi devono obbedire se non vogliono un replay della guerra mediorientale, bensì tenere in mano il possesso della materia prima fondamentale per impedire uno sviluppo economico dell’Unione Europea e del Giappone in concorrenza con l’economia americana, frustrando le aspirazioni del rilanciato patto franco-tedesco per guidare l’Unione Europea e conquistare altri vantaggi nei mercati mondiali. Basti pensare gli ottimi risultati della visita di Lula, neopresidente brasiliano, in Francia e l’aspirazione di nuovi rapporti tra Unione Europea e Mercosur (Brasile, Uruguay, Argentina, Cile, Bolivia). Non solo, ma interessando la Gran Bretagna (che possiede residue sfere di influenza del vecchio impero coloniale e che sulla scia degli Usa cerca una "rinascita vittoriana") ed Israele per controllare il versante mediterraneo, impedisce alla Russia di rilanciare la sua politica estera in un settore geografico (Egitto, Siria, Iraq ed anche Iran), in cui nel secondo dopoguerra l’Unione Sovietica ha esercitato un ruolo determinante anche come contrappeso del colonialismo anglo-francese prima (vedi crisi di Suez del 1956) e della agguerrita presenza americana a supporto delle guerre-lampo di Israele, in particolare dopo quella del 1967.

Riportando la Russia indietro e togliendole ogni iniziativa ed alimentandone l’assedio intorno ai suoi confini, attraverso la guerra in Cecenia e la presenza in Georgia ed in Azerbaijan (ex repubbliche sovietiche), questa volta come supporto della Turchia che cerca di riprendere l’influenza delle grandi aree dell’impero ottomano, gli Stati Uniti oltre a controllare le grandi ricchezze petrolifere e metanifere che si estendono dal Caucaso al Kazakistan, cercano di incunearsi geograficamente, politicamente, militarmente ed economicamente nel vasto continenete euro-asiatico che annota la nascita della nuova cooperazione economica e politica ed un domani forse militare tra Cina, Russia, Kazakistan, Uzbekistan, Tagikistan, Kirghisistan, alla quale potranno essere interessati altri paesi come la Bielorussia, l’India e la RPDC (dal punto di vista economico lo sono già), ecc. Si potrebbe creare nel tempo una grande Unione economica e politica euro-asiatica come l’Unione Europea di adesso. Al riguardo occorre sottolineare che, mentre le economie degli Usa e dell’Unione Europea marciano in una situazione di lieve depressione o stagnazione ed il Giappone e molti paesi asiatici non hanno superato la recessione innescata dalla crisi finanziaria del 1997, la Russia e le altre repubbliche ex sovietiche cominciano una lenta ripresa, dopo il marasma economico e l’impoverimento generale della popolazione succeduti al crollo dell’Unione Sovietica, e la Cina naviga in uno sviluppo economico continuo, seppur nel segno di vistose contraddizioni sociali (che meritano sempre costante attenzione), procedendo ora alla modernizzazione delle sue regioni povere.

In particolare lo sviluppo economico cinese preoccupa immediatamente gli Usa, i quali si rendono conto che il tempo non gioca a loro favore tant’è che sulla stampa americana ed in settori del Parlamento e dei grandi gruppi finanziari da diversi anni la Cina è considerata in rotta di collisione con l’America e si alimentano continuamente i possibili focolai per scardinarla nella sua integrità territoriale e farla crollare come l’Unione Sovietica: dai "diritti umani" alla secessione del Tibet, alla contraddizione economica fra le aree dell’est e quelle dell’ovest, al terrorismo nel Sinkiang-Uigur, alla guerra economica commerciale, al richiamo al ferreo rispetto delle regole del WTO, ecc.

Ma sentite un po' che cosa succede, in barba a tutte le dicerie dei profeti della "sinistra antagonista", i quali rimproveravano alla Cina di aver capitolato di fronte alla "globalizzazione" entrando nel WTO. La Cina, non solo si difende dalla concorrenza aperta delle multinazionali Usa a livello mondiale ma conquista settori di mercato per le sue esportazioni, mentre assicura stabilità al mercato interno attraverso una meditata politica macroeconomica fondata tra l’altro su un aumento dei salari inferiori, sugli investimenti nelle infrastrutture e nel settore ovest, sulla riduzione della disoccupazione (che a livello urbano è intorno al 4% e potrebbe aumentare se con la modernizzazione delle aree rurali non si andranno a creare immediatamente nuovi sbocchi occupazionali). E quindi apriti cielo: i big della finanza americana accusano nientemeno la Cina di favorire al suo interno e di esportare all’estero la deflazione! Sol perché i prezzi in Cina diminuiscono e le merci cinesi risultano più competitive all’estero guadagnando nuovi mercati. E’ chiaramente un’accusa strumentale: quale deflazione vi può essere se lo sviluppo economico cinese, non solo non recede, ma va avanti? Lo domandiamo ai premi Nobel dell’economia!

Ritorniamo sul tema della preparazione della guerra all’Iraq. Cosa fa il governo italiano? Berlusconi è con tutti, con l’America soprattutto, ma anche con le Nazioni Unite, con l’U.E., con Putin; il ministro della difesa Martino opera concretamente in favore della guerra americana mettendo a disposizione le basi aeree; settori minoritari della maggioranza sono per una posizione ancorata all’Unione Europea e nell’Unione Europea diversi paesi (Gran Bretagna, Italia, Spagna, Danimarca, ed i neofiti come Cechia e Polonia) sostengono la posizione americana a dispetto della Francia, della Germania e della Grecia (presidente di turno). Nei fatti l’Unione Europea è divisa ed in tal senso l’America ha realizzato un primo parziale obiettivo. I popoli del mondo, invece, hanno manifestato in ogni parte contro la guerra "senza se e senza ma" e dall’espansione di questo movimento e dal legame strategico e tattico che si potrà realizzare con tutte le forze statuali e politiche che sono contro il conflitto, Vaticano compreso, nonché dall’esito militare si determineranno i lineamenti (nuovi o vecchi) di come potrà essere il mondo nel corso di questo XXI secolo, se ad egemonia assoluta americana o multipolare.

30 gennaio 2003

Giuseppe Amata

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