Articolo 18 e dintorni
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L’affaire Cofferati ha confermato ciò che da tempo andiamo dicendo sullo scontro politico in Italia. E’ bastato che alcuni settori istituzionali tradizionalmente egemonizzati dai liberisti di sinistra si sganciassero dalla deriva d’alemiana e da quella dei suoi compari di partito e dell’Ulivo e che dietro questo si mettesse in moto la situazione sindacale come quella sull’articolo 18, perchè riapparisse lo spettro delle BR e il ricatto dei poteri forti e di quelli occulti su tutto ciò che esce dal bipartitismo precostituito.

La partita è dunque di quelle importanti e deve essere giocata fino in fondo. La vicenda Biagi, con le lettere riapparse, rimette, innanzitutto, in prima fila la questione dei servizi segreti e del loro utilizzo politico e terroristico. Morucci e Gallinari lo hanno detto chiaramente: le BR non c’entrano. Da D’Antona in poi qualcuno gioca al brigatista nei momenti di crisi. Nella guerra alla Jugoslavia come rispetto al grandioso sciopero sull’art.18.

Qualcuno giustamente ha ricordato che siamo un paese a sovranità limitata di cui oggi è garante il cavalier Berlusconi, per cui i confini non possono essere varcati, pena la riapertura della fase stragista, piduista ecc. La vicenda Cofferati ha dimostrato però che vasti settori dell’opinione pubblica stanno prendendo coscienza che dietro i gravi fatti a cui assistiamo costantemente c’è la dimensione dei poteri istituzionali occulti che vengono manovrati alla maniera sudamericana. Dalle falsificazioni poliziesche alle provocazioni dei servizi, ai delitti eccellenti. Il vecchio si è collegato al nuovo, ovvero dal vecchio è nato, senza soluzione di continuità, un apparato di potere che solo la retorica di regime può definire democratico. Epperò questa realtà si sta scontrando con una risposta crescente che porta lo scontro in avanti e mette la destra in difficoltà. Per questo essa rabbiosamente alza il tiro e usa la provocazione.

In questo contesto riappare però la sinistra liberista, i dalemiani, Fassino, Rutelli, che cercano di riportare lo scontro dentro i confini del bipartitismo in cui i valori della sinistra scompaiono. Quindi, come andiamo dicendo, la battaglia è duplice. Da una parte occorre raccogliere la sfida della destra, e dall’altra bisogna combattere il concetto di una sinistra unita egemonizzata dai liberisti e senza valori.

Certamente, la battaglia dentro la sinistra non ha confini già delimitati. La lotta per l’egemonia è ancora tutta aperta e sarebbe il caso di aprire una seria discussione sul che fare. Ci piacerebbe che la parte più seria dei compagni e delle compagne comuniste uscissero dai semplicistici schemi alternativi che, come lo scontro in atto dimostra, li hanno messi fuori gioco e si misurassero coi problemi reali e con le forze reali in campo. Senza scadere nel situazionismo e nel movimentismo, ma connettendo analisi di fase, possibilità oggettive e prospettiva politica.

Qual’è dunque la sostanza della questione? Dobbiamo innanzitutto delineare una prospettiva di lavoro politico che sia in grado di dialettizzarsi con l’insieme dei problemi che si presentano. Se fondamentale è la ricostruzione di una base teorica e storica che dia ai comunisti una identità, è altrettanto importante che essi siano in grado di proiettare su terreni politici gli elementi teorici acquisiti. Decisivo diventa quindi il recupero di una capacità di analisi delle forze che si muovono nella società italiana, del loro peso e del significato delle cotraddizioni che si aprono. Questa metodologia ci impone di rompere con una concezione che è tipica del minoritasrismo che ci fa extrapolare i dati della realtà proiettandoli sul soggettivismo ideologico e da ceto politico. La lezione che ci viene dalla vicenda dell’articolo 18, e che è stata preceduta da altri segnali anche se di minore portata, ci dice che la situazione italiana si è messa in movimento e che settori importanti della società sono entrati in contraddizione col berlusconismo, ma anche con il liberismo di ‘sinistra’. Valori come la pace, i diritti, in particolare quelli dei lavoratori, l’esigenza di lottare contro la fascistizzazione delle istituzioni e dell’informazione, diventano nodi strutturali per il cambiamento. E se questa società ha detto basta e si è messa in marcia occorre impedire che alla testa si pongano i leader dell’Ulivo e i dalemiani. Questo è il lavoro di fase che spetta ai comunisti e dentro cui vanno verificate le loro, meglio dire le nostre, capacità di crescita e di farsi realmente soggetto politico e riferimento organizzativo.

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