La vittoria di Berlusconi e i compiti dei comunisti

Quella di Berlusconi era certamente una vittoria annunciata, ma non per questo può essere ritenuta un fatto di ordinaria amministrazione o una semplice vicenda elettorale.

La netta vittoria di Berlusconi è in realtà il punto di arrivo di un progressivo spostamento a destra della situazione italiana dovuto a fattori interni e internazionali che affondano le loro radici a partire dalle vicende degli anni ’80. Forse il fenomeno Berlusconi è stato sottovalutato perché il personaggio si presta a considerazioni poco lusinghiere, ma questo non diminuisce la sua pericolosità e soprattutto il peso della sua rappresentatività di ceti e interessi che costituiscono gli strati più conservatori e reazionari della società italiana. Questi settori si sono ormai compattati e, a differenza della prima fase berlusconiana, sono stati legittimati a governare dai poteri forti, chiesa, conflndustria, finanza, ecc.

Se è possibile una similitudine, possiamo rifarci, con le dovute differenze, alla fase di ascesa del fascismo che, dopo le vittorie degli anni venti, è stato sponsorizzato dai settori portanti del capitalismo italiano e delle istituzioni. Anche stavolta, dopo vari tentennamenti, i poteri forti, FIAT compresa, hanno riconosciuto in Berlusconi l’uomo della provvidenza, colui cioè che dovrà mettere ordine nella situazione e garantire al meglio alleanze militari e profitti. Anche Berlusconi, come il fascismo, si porta dietro non tanto le tradizionali clientele elettorali, ma settori di massa della società incarogniti da anni di crisi e dalla perdita dei tradizionali santuari politici crollati con l’operazione mani pulite. Quindi, la vittoria di Berlusconi non è solo un fatto elettorale, di voti, ma una ascesa compatta di grandi settori della società tenuti insieme da interessi materiali, da una volontà di rivincita e da ideologie reazionarie. Di qui il grave pericolo che queste forze rappresentano.

Perchè l’Ulivo non ha retto all’urto di questo attacco? L’ineffabile Nanni Moretti sostiene che la colpa è di Bertinotti, ma se avesse meno presunzione e più capacità di analisi capirebbe che ci sono almeno due importanti motivi che hanno portato alla sconfitta dell’Ulivo. Il primo è che la destra preferisce gestirsi gli affari in proprio senza delegarli ad uno schieramento politico pasticcione. Quindi ad una politica di destra si richiede una fisionomia politica omogenea e Berlusconi & C. hanno sicuramente questo profilo. In secondo luogo l’Ulivo recidendo le sue radici di sinistra ha reso possibile non solo l’affermarsi della demagogia del Polo in strati popolari, ma anche la frantumazione della sinistra. Attribuire a Bertinotti la responsabilità della sconfitta dell’Ulivo non fa che confermare questa analisi, oltre ad essere un puro atto di vigliaccheria soprattutto quando viene da esponenti di ‘sinistra’.

Semmai, la tenuta di Rifondazione è stato un punto di riferimento in una situazione di arretramento generale e gli attacchi che vengono mossi dagli ulivisti a questo partito non fanno che confermare che il PRC rimane un dato da cui non si può prescindere se si vuole affrontare lo scontro col Polo e questo ci conferma l’utilità di una scelta di voto di cui parliamo in altra parte di questo foglio. Questo non è un giudizio sul partito, ma sull’area politica che esso rappresenta.

A urne aperte, dobbiamo ora ragionare sulle prospettive. Il primo dato da analizzare è il futuro della coalizione berlusconiana. Dobbiamo ormai abituarci a credere che la vittoria di questa coalizione non sarà affatto effìmera e che per rovesciarla occorrerà puntare su elementi forti dello scontro che si andranno delineando col tempo. Appaiono dunque del tutto ridicoli i tentativi di reazione ‘sociale’ che si stanno improvvisando a partire da quello sciopero dei metalmeccanici che ci sembra una scolorita riedizione degli anni d’oro. Per battere Berlusconi ci vuole ben altro. Bisognerà in sostanza che vengano alla luce, una volta caduto il fumo della demagogia, i contenuti veri della svolta reazionaria in termini istituzionali, di organizzazione della società e di relazioni economiche e sociali. Su questo terreno primario bisognerà impegnarsi nello scontro e dare battaglia.

Come organizzare lo scontro sul piano politico? ln questo ci sta, come al solito, dando una mano Massimo D’Alema, che dopo aver teorizzato una sinistra ‘normale’ va ora sostenendo che il governo Berlusconi è un fatto di ordinaria amministrazione, un governo come un’altro. E’ chiaro che con questa ‘sinistra’ non si può e non si deve avere nulla a che fare. Se è vero che le due destre, quella di D’Alema e quella di Berlusconi, non sono uguali, è anche vero che la lotta che i comunisti devono condurre è su due fronti. Uno di questi fronti si chiama DS, la cui crisi va approfondita togliendo credibilità ad ogni velleità di riscossa che possa portare la sua egemonia.

Questo significa che i comunisti sono in grado di condurre una battaglia contro tutti? E’ ovvio che nessuna persona ragionevole può pensare in questo modo e bisogna riconoscere che le nostre posizioni sono minoritarie. Ma, se è vero questo, è anche vero che il dato elettorale ha messo in evidenza che nelle elezioni del 13 maggio si è messo in movimento un circuito di resistenza politica alla destra che, diversamente articolato, rappresenta ancora una gran parte della società italiana. Non è un caso che Berlusconi è maggioritario per i meccanismi elettorali, ma non per il voto. Su questo ampio tessuto sociale e politico bisognerà contendere agli ulivistì l’egemonia, costruendo nella lotta e in un programma progressista l’unità di coloro che sono contro il blocco di destra rappresentato dal Polo.

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