VIGLIACCHI, GRAN VIGLIACCHI

Il comportamento della stampa italiana sulla morte di Slobodan Milosevic – l'assassinio provocato dall'illegittimo e ormai scopertamente delittuoso cosiddetto Tribunale per la ex Jugoslavia, quanto meno per colpevole negligenza nel rifiutare al Presidente jugoslavo le cure indispensabili – è stato, com'era da aspettarsi, a dir poco ignobile: parziale pur se assai debole eccezione in un articolo di Lannutti su “Liberazione”, qualche servizio sul “Manifesto” con lievi accenni di ripensamento, ben inteso entro confini assai stretti. Ma addirittura incredibile il totale silenzio, o la deformazione e minimizzazione, proprio sulla stampa che si vuole “democratica” e “di sinistra”, rispetto alla straordinaria manifestazione di popolo nella Piazza del Parlamento a Belgrado sabato 18 marzo 2006, dove è stato dato il saluto finale della capitale serba, anzi jugoslava, a Milosevic. Vi erano almeno 250.000 persone, c'è chi parla di 500.000. E' stato giustamente osservato che, rifiutati i funerali di Stato, da parte di uno Stato che del resto aveva tradito Milosevic, la vittoria morale di Slobo è risultata sancita da un grandioso funerale di popolo. Ma silenzio o minimizzazione anche sulla precedente incessante fila, di giorno e di notte senza interruzioni pure sotto pioggia battente, di migliaia e migliaia di cittadini ed ospiti stranieri al Museo della Rivoluzione, dove il corpo di Slobo era stato collocato al rientro in patria. Silenzio sulla toccante cerimonia finale dell'interramento a Pozarevac, con altre decine di migliaia di persone. Invano, su questi fatti, si sarebbe cercato un cenno sul “Manifesto” o su “Liberazione” (di martedì 21 marzo, superato lo sciopero dei quotidiani di domenica 19). E neppure su “Rinascita della sinistra” nel primo numero utile (venerdì 24 marzo). Noto incidentalmente che a tutt'e tre queste testate, ma anche ad altri giornali, avevo fatto pervenire, dopo il tragico decesso di Milosevic e nella mia qualità di componente del Comitato internazionale per la difesa del Presidente jugoslavo, una lettera che prima del triste evento avevo inviata a Fausto Pocar, l'italiano mio collega universitario di Diritto internazionale, presidente dell'indegno ICTY: gli avevo sottolineato le responsabilità incombenti su un organismo, gabellato come giudiziario, per aver formalmente rifiutato con ordinanza camerale a Milosevic le cure dichiarate indispensabili da un'équipe autorevolissima di medici specialisti. Naturalmente, sempre come d'abitudine, silenzio assoluto anche su ciò da parte di tutti questi organi di stampa sedicenti democratici.

Commovente mi è allora apparso Sansonetti (“Liberazione”, 21 marzo 2006), nella sua critica rivolta al silenzio della stampa nazionale sulla manifestazione “pacifista” di Roma del 18 marzo: “Non è solo Berlusconi l'autore delle censure, che sono il pane quotidiano del nostro sistema informativo”. Commuove veramente il bue che implicitamente si riconosce cornuto di fronte all'asino. O colui che, sempre implicitamente, ammette di avere una trave nell'occhio proprio, mentre critica la pagliuzza altrui. Eh sì, Sansonetti, tu hai confessato in definitiva che applichi molte censure e ti poni come vestale “a sinistra” del politicamente corretto: lasciamo pure le lettere non pubblicate se “scomode”, ma invano, e lo ho detto, ho cercato nel tuo foglio, come del resto in tutti gli altri, un resoconto della grandiosa manifestazione popolare durante le esequie di Milosevic.

Vigliacchi, gran vigliacchi. Avete accettato la vulgata del criminale imperialismo, del suo pensiero unico. La criminalizzazione di Milosevic, con i falsi argomenti della propaganda goebbelsiana dell'imperialismo, li avete fatti propri, come del resto l'indecente “tribunale” dell'Aja, che li aveva presi alla base delle sue incriminazioni e li avrebbe posti a fondamento di una prevista sentenza di condanna, del tutto scontata, perché rispondente alla missione affidata a quel “tribunale”: trovare il colpevole di tutto, per esonerare gli aggressori imperialisti. Di fronte alla demolizione che Milosevic nella sua strenua autodifesa aveva conseguito con successo continuo, vi sarebbe stata la difficoltà, un vero macigno, di inventare delle motivazioni. A questo riguardo, la scomparsa in carcere di Slobo è caduta a proposito. Su tutto ciò avete taciuto e lo avete ignorato, vigliacchi, gran vigliacchi. Forse è il caso di ricordarvi, a voi che amate tanto rifugiarvi sotto le ali delle Nazioni Unite persino quando si fanno partecipi di indegnità, che una solenne dichiarazione dell'Assemblea Generale, risalente ad epoche di maggior serietà e minor servilismo, la risoluzione 36/103 del 9 dicembre 1981, “Dichiarazione sull'inammissibilità dell'intervento e dell'ingerenza negli affari interni degli Stati”, aveva proclamato il “dovere degli Stati di astenersi da ogni campagna diffamatoria, denigrazione o propaganda ostile allo scopo di intervenire o ingerirsi negli affari interni di altri Stati” e quello di “astenersi dall'utilizzazione e distorsione di questioni attinenti ai diritti umani come mezzo di interferenza negli affari interni degli Stati, di esercitare pressione su altri Stati o di creare sfiducia e disordine entro o fra Stati o gruppi di Stati”. Siete capaci di riconoscere in ciò quanto è stato compiuto contro la Jugoslavia e il suo Presidente Milosevic? Con la vostra caldissima partecipazione?

Vigliacchi, gran vigliacchi. Non si deve parlare, e se è proprio inevitabile parlarne, sia ciò solo in male, di chiunque, pure eventualmente tra qualche compromesso e annacquamento, abbia cercato di resistere contro lo smantellamento totale del grande sistema economico-sociale dei paesi socialisti, che pur tra deviazioni e revisionismo (e certo la Jugoslavia di Tito ne era stata tra i primi attori) hanno bene o male tutelato la condizione anzitutto proletaria. E hanno fatto barriera contro l'imperialismo. Si veda del resto oggi l'atteggiamento nei confronti della Bielorussia di Lukashenko, che giustamente non vuol cedere alla nefasta pressione dell'imperialismo occidentale, di cui vi dimostrate a ogni pie' sospinto succubi.

Ho visto, dalla tribuna di Piazza del Parlamento a Belgrado, la folla partecipe, commossa, adirata per l'assassinio del suo leader compiuto da un “tribunale”, privo di ogni legittimità e criminalmente irresponsabile, con la complicità di “dirigenti” serbi, assurti al potere con l'ausilio di servizi segreti e di operazioni finanziate dai soliti centri mondiali alla Soros, dirigenti comprati dall'imperialismo e che a questo svendono il proprio paese: Giuda che per trenta denari hanno consentito al sequestro e rapimento di Milosevic da Belgrado all'Aja. Non avete avuto il coraggio civile di informare i vostri lettori e i militanti di partiti che si vogliono comunisti sull'atteggiamento della folla belgradese né sulla presenza di dirigenti e personalità internazionali, che hanno reso omaggio a Milosevic, paragonandolo anche ad altri eroi della lotta antimperialista, come Guevara e Dimitrov, e fatto appello di resistenza antimperialista alla folla degli astanti: i russi Zjuganov e Baburin, l'ambasciatore della Bielorussia, Ramsey Clark, Velko Valkanov, Konstantin Satulin, il generale russo L. Ivashov, Branko Kitanovic, segretario del Partito neocomunista (staliniano) jugoslavo e altri. State invece ancora ad arrovellarvi perché Mladic e Karadzic – che eventualmente solo una giustizia indipendente del loro paese potrebbe, se necessario, giudicare – non sono stati ancora consegnati al tribunale criminale (nel senso proprio di questo aggettivo) dell'Aja, assise che il fermissimo e dignitoso comportamento e lotta di Milosevic ha ormai disvelato e svergognato: e sarebbe bastato questo, per gente che ancora ardisce di appellarsi comunista, in un soprassalto di onestà e verità (di cui pare non siate stati capaci), se non altro a riscattare Milosevic dalle ipotetiche, e solo fantasticate, colpe ascritte dal pensiero unico dell'imperialismo!

E il rifiuto delle cure adeguate sarebbe dovuto bastare a suscitare in voi un moto di indignazione e almeno di comprensione: mi è toccata la ventura, tra gli attori pur minimi della vicenda, di aver anch'io, come ho ricordato, messo in mora quel “tribunale” sulla salute di Milosevic. Ma anche qui nulla, vigliacchi, gran vigliacchi.

Il 4 agosto 1996 sul “Washington Post” poteva leggersi: “Milosevic è stato incapace di comprendere il messaggio politico della caduta del muro di Berlino. Gli altri politici comunisti hanno accettato il modello occidentale, ma Milosevic ha intrapreso un diverso cammino”. Sentiamo Ralph Hartmann (già ambasciatore della Repubblica democratica tedesca), in una prima celebrazione il 15 marzo 2006 a Belgrado. Egli ricorda che il 10 marzo Milosevic aveva affermato al suo vice nel Partito socialista serbo, Vucelic: “Non mi piegheranno. Riuscirò ad affrontarli ed a vincerli” e che, con la testimonianza preparata da Momir Bulatovic, l'ex presidente del Montenegro, si apprestava ad infliggere al Tribunale “il colpo sin qui più duro che mai gli sia stato assestato”. Ma proprio in quella notte, fra il 10 e l'11 marzo, è deceduto nella sua cella. Dice Hartmann: “La notizia è stata accolta con costernazione da amici e sostenitori, mentre i suoi avversari all'Aja e nelle metropoli della NATO, dopo le prime ipocrite reazioni di sorpresa, hanno ripreso a cantare le sperimentate litanie contro il mostro di Belgrado. Non gli hanno mai perdonato di esser stato l'ultimo governo in Europa a non voler ammainare la bandiera rossa, di aver difeso ad oltranza il diritto all'esistenza dello Stato jugoslavo federato multinazionale e di aver dato fino all'ultimo del filo da torcere alla Banca mondiale, al Fondo monetario internazionale ed alla NATO. Questa era ed è rimasta la ragione che spiega l'odio profondo di questi signori. I loro canali di informazione hanno ripetuto con convinzione esattamente quelle stesse menzogne che l'accusato aveva smontato in modo più che convincente e cioè la favola del nazionalismo grande-serbo senza scrupoli, della sistematica pulizia etnica, dei massacri consumati in Croazia, Bosnia e Kosovo, degli stupri di massa”. L'ambasciatore sintetizza gli sforzi compiuti dall'illegale tribunale per piegare in tutti i modi Milosevic anche sul piano fisico, ma “malgrado questo, il tribunale non è riuscito a metterlo in ginocchio. Egli ha dimostrato in modo convincente, con atteggiamento sicuro e con cognizione di causa, punto per punto, l'inconsistenza dell'accusa e la falsità delle testimonianze. Egli ha accusato con veemenza le ingerenze della NATO, e soprattutto della Germania, tendenti a creare le condizioni per lo scoppio di una guerra civile, il loro sostegno ai terroristi e separatisti del Kosovo ed infine l'aggressione brutale ed aperta da parte dell'alleanza di guerra. Persino alcuni osservatori della NATO hanno dovuto riconoscere che Milosevic da accusato si era trasformato in accusatore: Carla Del Ponte e con lei l'intero tribunale insieme ai loro mandanti si trovavano alla vigilia di una sconfitta… di fronte a questo pericolo i nemici di Milosevic non hanno esitato a minare la sua già precaria salute”. L'ambasciatore prosegue con i rischi di morte a cui è stato esposto Milosevic: “Il tentativo del Tribunale e dei suoi complici di insinuare il dubbio che fosse stato proprio Milosevic ad aver assunto dei medicinali che avrebbero aumentato il rischio di infarto dimostra soltanto di quali infami e stupide bassezze questi signori siano capaci. Questo maldestro tentativo completa in certo qual modo l'immagine che il Tribunale dell'Aja ha offerto fin dall'inizio di sé e del processo penale che i suoi mandanti gli hanno commissionato contro il Presidente del paese da loro aggredito. Slobodan Milosevic ha avuto fino all'ultimo ragione… in effetti non lo hanno piegato, lo hanno soltanto portato alla morte”.

Così parla un comunista, vigliacchi, gran vigliacchi.

Qualche ricordo personale. Delle due ore che ho passato il 16 agosto 2001 con Milosevic all'inizio della sua incarcerazione a Scheveningen, e di cui allora ha ampiamente riferito il “Corriere della Sera”, oltre che il “Foglio” e un giornale ticinese (ma inutilmente pure su questo avreste cercato cenno nella pubblicistica che si autonomina “comunista”), conservo il ricordo di una personalità forte, pugnace, franca e di salda ispirazione umanistica. Mi sottolineò come l'idea jugoslava fosse quella dell'unione di popoli diversi, e che questa proprio la cosiddetta Europa comunitaria, che sta annaspando sul suo cammino, aveva contribuito a distruggere. Opera dell'imperialismo, una categoria a lui ben presente, anche per connotare la globalizzazione, e che invece è sparita tra le file dei “comunisti” che aspirano a stare al governo in un paese imperialista. Ebbe parole di commiserazione per Gorbaciov, di cui mi disse che, al minimo, gli era apparso come qualcuno che non sapeva ciò che volesse: e a questo punto, su mia sollecitazione, egli, che pur proveniva dal filone revisionista jugoslavo, riconobbe che Stalin era stato ben altra cosa e ne rigettò l'accostamento ormai corrente a Hitler. Un episodio importante: dopo gli accordi di Dayton, nel 1997, se mal non ricordo, promosse o comunque partecipò a Creta ad un incontro dei paesi balcanici meridionali, nel quale sostenne l'idea di una loro associazione o federazione, indipendente dall'Europa. Fra l'altro, in tale sede, il leader albanese Fatos Nano, gli aveva riconosciuto l'appartenenza del Kosovo alla Jugoslavia. Secondo Milosevic, furono proprio tali prospettive a scatenare la reazione occidentale e fu il Ministro degli Esteri francese ad iniziare la campagna anti-jugoslava sul Kosovo, che ebbe poi i nefasti sviluppi ben noti. Slobo pronunciò inoltre energiche parole di deprecazione per i paramilitari, autori di nefandezze che egli condannava e per le quali auspicava il giusto perseguimento in via giudiziaria. Quanto al tribunale che lo stava perseguendo, con l'esito funesto e criminoso di qualche giorno fa, non solo lo disconosceva, ma ne negava ogni fondamento di giuridica legittimità: “Quale Stato avrebbe sottoscritto la Carta delle Nazioni Unite, se avesse previsto un simile mostro giuridico?”, mi disse con grande chiarezza di idee.

Egli, il dirigente che aveva decisivamente contribuito agli accordi di Dayton, per i quali ricevé anche critiche da parte di decisi sostenitori della sopravvivenza della Jugoslavia, e che aveva vittoriosamente lottato per inserire nella Costituzione serba del 1990 e in quella jugoslava del 1992 il concetto che la cittadinanza dovesse dipendere dal luogo di abituale residenza e non dall'etnia (in antitesi, ad esempio, alla Costituzione croata, per cui “la Croazia è il paese dei croati”), il dirigente che voleva certo mantenere la Jugoslavia, ma si era rassegnato a farlo “per coloro che ci volessero stare”, si vedeva accusato di aspirare ad una Grande Serbia, proprio il contrario di quanto stava realizzando nei più ristretti confini della mini-Jugoslavia. Nella quale, fra l'altro, a differenza delle Repubbliche secessioniste, dopo qualche sbandamento iniziale si era sforzato di mantenere o ripristinare un forte contenuto sociale, che ora per opera dei “liberatori” promossi dall'Occidente sta andando disperso. Gli è stato recriminato, come ispirato a ideologia grande-serba, il discorso del 1989 a Kosovo Polje, che invece è una espressione certo anche di difesa della componente serba, ma nel quadro di un ideale jugoslavo e socialista apertamente affermato. Queste sono le colpe di Milosevic, che alcuni comunque deplorano per non aver organizzato una resistenza come Saddam Hussein ha fatto in Iraq: ma, a mia precisa domanda, ha risposto di aver voluto evitare un bagno di sangue. Su questo si può sempre discutere. Nei giorni immediatamente precedenti il suo arresto a Belgrado, avevo personalmente visto gran folla di popolo intorno alla sua residenza, pronta a battersi in sua difesa: era lì anche il segretario del Partito neocomunista jugoslavo, Branko Kitanovic, che ho già nominato, deciso a difendere l'indipendenza del paese e il Presidente deposto da un colpo di Stato dall'apparenza, solo l'apparenza, legale.

Di tutto questo nulla deve sapersi in Italia. Non posso che ripetere: vigliacchi, gran vigliacchi.

Come non ricordare l'infamia di un titolo di giornale di sinistra, “Belgrado ride”, dopo il colpo di Stato contro Milosevic? E come dimenticare quanto Milosevic stesso mi disse sulla visita che aveva ricevuto, a fronte dei bombardamenti, da parte di Bossi e di Cossutta, che gli avevano ambedue fatto la penosa impressione di cedimento all'imperialismo: l'Italia “era stata di fatto costretta a partecipare alla guerra”, sostenevano. In questa chiave ho quindi letto la dichiarazione di Armando Cossutta al “Corriere della Sera” del 13 marzo: “La mia missione nel 1999 fu concordata con l'allora Ministro Dini. Fu un incontro duro, due ore. Milosevic credeva di poter tenere unite le etnie. Non si può negare che avesse un consenso di massa”. Fu dunque, nella sostanza, un invito alla resa. Imperterrito, Cossutta declama: “Questo non toglie che abbia commesso dei crimini” (quando? di essi non aveva tenuto conto in rapporto a quel colloquio, come la mettiamo?). Di qui il motivo per non partecipare ai funerali di Milosevic: “Il mio giudizio oggi è netto: fu un tiranno. E questo non lo assolve”. Asserzioni prive di ogni contatto con la realtà (il tiranno che organizza elezioni, che lascia operare un'opposizione pagata dall'estero…). Mi spiace dover pronunciare un nettissimo: “Vergogna!”. Un'autoassoluzione di puro conio opportunistico: certo, sarebbe stato un po' difficile, dopo aver partecipato in seno al governo italiano di allora, presieduto da D'Alema, all'aggressione contro la Jugoslavia, recarsi ai funerali di Milosevic! Ma è proprio quell'aggressione che è stata un crimine assoluto e inescusabile, per il quale i governanti occidentali, quelli italiani fra gli altri, sarebbero stati da perseguirsi dalla giustizia penale.

Ho rivisto Milosevic nel suo carcere il 25 febbraio 2005, insieme a Ramsey Clark e all'indiano prof. Singh: era certo provato, i problemi di salute incombevano sempre di più, ma si mostrò sempre energico e pronto a combattere. Contro i mostruosi teoremi giuridici, fabbricati da una “corte” fantoccio. Contro l'imperialismo, il nemico dell'umanità. Il suo comportamento all'Aja lo iscrive fra gli eroi di questa lotta di resistenza, di cui è stato uno degli iniziatori (pur senza dimenticare l'autodifesa di Erich Honecker). La sua morte provocata lo colloca anzi fra i martiri. I comunisti che non aspirano a entrare nel “salotto buono” della borghesia e a partecipare a governi imperialisti lo onorano e sempre lo onoreranno. Al contrario dei “comunisti” di salotto e di governo.

Vigliacchi, gran vigliacchi, anzi maramaldi, che cercate persino di cancellare con il silenzio ogni traccia, ogni memoria, di un combattente ammirevole per la verità storica contro ogni rinnegamento.

Se mi stavo risolvendo, in vista del 9 aprile, a votare, pur tra mille perplessità, per un partito della falce e martello, anche se forse posticci, escludendo Rifondazione Comunista ormai in piena deriva anticomunista e alla caccia di farfalle nuoviste che in realtà riesumano vecchissime ideologie, la vicenda della morte di Milosevic e del comportamento tenuto dal complesso della stampa “comunista” me lo vieta assolutamente: prima ancora che di ostacolo politico si tratta di una soglia morale per me invalicabile che, al di là del gravissimo episodio del silenzio e delle distorsioni che ho enunciato, attesta un atteggiamento di complicità totale con l'imperialismo e di assorbimento dei suoi postulati, slogan e operazioni ideologiche di falsificazione totale della verità. Rifletterò se esista qualche marginale possibilità di dare un contributo per il superamento dell'attuale emergenza governativa in Italia, caratterizzata da concrete derive fascistizzanti, un superamento comunque da cui – ne sono convinto – scaturirebbe solo la caduta dalla padella attuale nella brace di un filoimperialismo morbido e ipocrita.

Certo, se mia crocetta sulla scheda vi sarà, non potrà essere per i vigliacchi, gran vigliacchi.

Aldo Bernardini

5 aprile 2006


P.S. Per precisare l’enigmatica conclusione del pezzo inviato on line il 5 aprile 2006: il “margine” antiberlusconiano ricercato l’ho trovato votando e facendo votare per il “Partito dei pensionati” (collegato all’Unione). Quanto a “Rinascita della sinistra” ritengo inqualificabile che, dopo il funerale di Milosevic, se ne sia uscita (24 marzo 2006), senza tener conto della grandiosa cerimonia belgradese del 18 marzo e senza alcuna seria valutazione della lotta di Milosevic contro l’imperialismo, per nulla nominato. Precisamente, con un articolo di Ennio Remondino (“Ma Milosevic non è Arafat - I serbi diffidano dell’Occidente, ma non piangono il padre della patria”: vera disinformazione) e di Natascia Orazi (“Belgrado fra Europa e passato”): già i titoli indicano di che si tratta, tutto il contrario della politica di indipendenza di Milosevic.

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