La mozione dell'Unione
è espressione imperialistica di nuovo colonialismo

Aldo Bernardini

Non ci si sofferma sul carattere anticostituzionale per l’Italia e anti-Carta ONU delle attuali azioni militari (Enduring Freedom e ISAF) anche sotto l’aspetto dell’impegno della NATO.

Tale impegno fuori area e non per la difesa in senso proprio degli Stati membri urta frontalmente contro l’art. 11 Cost., (senza possibilità di richiamo all’ ultima parte di questo, appunto per contrasto con i dati fondamentali dell’Alleanza atlantica originaria) sotto il profilo della trasformazione da alleanza difensiva a offensiva e contro l’art. 80 Cost. perché le modifiche di natura e di area non sono state autorizzate dal Parlamento italiano.

La mozione dell’Unione non può essere votata.Tutta la sua seconda parte è espressione diretta di nuovo colonialismo.

Si ricordano alcune norme fondamentali del sistema delle Nazioni Unite, corrispondenti a principi generali del diritto internazionale: uguale sovranità degli Stati; autodeterminazione dei popoli nel senso stretto del superamento del dominio coloniale e dell’occupazione straniera, con il conseguente divieto del colonialismo; non ingerenza negli affari interni degli Stati; indipendenza politica di questi e dunque “neutralità” rispetto ai regimi politici e sociali interni. Basta ricordare che la Carta ONU ebbe a promotori Churchill, Roosevelt e Stalin per comprovare ciò.

Non esiste nessun principio internazionale che prescriva agli Stati un dato sistema (ad es., la democrazia di stampo occidentale) ed anzi esiste il divieto di mutamento di regime interno operato o tentato dall’esterno. L’art. 78 della Carta ONU recita formalmente: “Il regime di amministrazione fiduciaria non si applicherà ai territori che siano divenuti Membri delle Nazioni Unite, dovendo le relazioni tra questi essere fondate sul rispetto del principio della sovrana uguaglianza”. Il richiamo espresso a questo fondamentale principio indica che l’art. 78 ribadisce un dettato fondamentale applicabile al di là dell’istituto dell’amministrazione fiduciaria, tale da escludere qualunque tipo di amministrazione internazionale su Stati sovrani.

La seconda parte della mozione dell’Unione fa perno su una concezione aberrante (pur se corrente), che entra in urto frontale con i principi sopra enunciati e costituisce espressione di ideologia imperialistica nella forma di rinnovato colonialismo.

Si parla, nella mozione, di finalizzazione delle missioni militari “alle esigenze di sicurezza, controllo del territorio, tutela dei diritti umani, promozione della democrazia, stabilizzazione per favorire processi di costruzione delle istituzioni statali e locali”. Si tratta dunque dell’esportazione della democrazia (di tipo occidentale) che sostituisce, nella giustificazione del dominio su altri popoli e in definitiva sulle loro risorse naturali, alla propagazione della fede cristiana e all’espansione del progresso (capitalistico) e della civiltà (occidentale) il nuovo – a parole – “valore” del sistema democratico e dei c.d. diritti dell’uomo di stampo individualistico, che altre civiltà e culture non accettano in quanto tali.

Per l’Afghanistan si crede di lodare un “risveglio democratico del popolo afgano… e l’allontanamento della dittatura integralista dei Talebani”, ma si prende atto che a ciò “si affianca una situazione di evidente criticità, caratterizzata dalla difficoltà di stabilizzazione e di rafforzamento delle istituzioni democraticamente elette, dalla persistenza di aree ancora controllate dai Talebani e altri gruppi armati…”. Per cui l’impegno del governo italiano deve “assicurare che l’ azione di stabilizzazione, controllo del territorio e sostegno alle forze dell’ordine afgane si muova lungo un percorso di normalizzazione e pacificazione del paese, con obiettivi e passaggi definiti che prevedano in prospettiva l’affidamento esclusivo al governo sovrano di Kabul della responsabilità del mantenimento della pace e dell’ordine sul territorio afgano” e tutto ciò ai fini di “un percorso chiaro di rafforzamento delle istituzioni, di ricostruzione economica e civile e di garanzia della sicurezza per la popolazione”. In tale quadro l’ Italia in particolare deve favorire “le iniziative di institution- building” soprattutto in rapporto alla giurisdizione penale.

In questo mirabile quadro, che procede dal vietatissimo mutamento di regime con la forza dall’esterno ed anzi lo giustifica, si passa sopra alla sostituzione del precedente governo comunque legittimo dei Talebani con un regime quisling (creato dagli occupanti e che senza di questi non sopravvivrebbe un giorno, e a ciò nulla muta la consacrazione, del tutto illegittima, da parte delle Nazioni Unite) e con un c.d. processo politico sempre incanalato dagli occupanti (lo stesso in Iraq).

Il punto fondamentale è che tutto ciò avviene di fronte ala resistenza delle forze autoctone che lottano per l’ indipendenza e contro l’occupazione straniera. Il principio oggi assolutamente prevalente è quello dell’indipendenza, e cioè dell’ autodeterminazione con proprie forze non decisivamente sorrette dallo straniero: tale principio non consente che dall’esterno si giudichino con valenza giuridica le caratteristiche socio-politiche delle forze di resistenza e del sistema interno da esse promosso.

Queste forze di indipendenza, in Afghanistan come in Iraq, non sono semplici insorti o ribelli contro un consolidato preesistente regime legittimo, bensì resistenti all’aggressione e all’occupazione dall’esterno (e all’ installazione di regimi quisling) in assoluta continuità e con carattere ininterrotto delle ostilità – sia pure in forma di guerriglia – contro l’aggressione. Si tratta dunque di continuazione della lotta nella guerra scatenata dall’esterno, assolutamente legittima da parte dei Talebani in Afghanistan e dei gruppi soprattutto facenti capo al Baath (insieme ad altre forze indipendentiste) in Iraq. Sono queste forze i portatori del diritto di autodeterminazione del popolo afgano (e di quello irakeno). Le operazioni di “stabilizzazione” e “pacificazione” (promosse o meno dall’ONU, ma sempre illecite) sono anch’esse prosecuzione dell’aggressione. Il nation- o institution- building si rivela dunque, come già anticipato, quale inammissibile ingerenza e conculcazione dell’autodeterminazione del popolo afgano (e irakeno).

Gli pseudo-processi elettorali condotti dall’occupante in situazione che è semplicemente di occupazione bellica non hanno alcun valore (anzi sono del tutto vietati dalle Convenzioni di Ginevra, se la guerra, come è vero, continua). La mozione dell’Unione è atto gravissimo di subordinazione alla strategia imperialistica. Essa incontra e incontrerà la legittima resistenza armata delle forze indipendentiste: “stabilizzazione” e “pacificazione” sono semplicemente la guerra contro tali forze. La mozione dell’Unione va respinta senza se e senza ma.

Aldo Bernardini

Ordinario di Diritto internazionale all’Università di Teramo
17 luglio 2006


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