Ma quel referendum si doveva fare

Conosco motivi di dissenso radicali con Fausto Bertinotti e non ho esitato ad esprimerli anche in termini vivaci in certe occasioni, ma quando si sia trattato di questioni e personaggi di portata storica, Unione Sovietica, "socialismo reale", Stalin.

Non credo che lo stesso possa farsi, almeno nelle modalità e toni di espressione, a proposito di un dissenso - per chi voglia esprimerlo - su questioni di politica concreta e attuale, come il referendum sull’articolo 18 del 15 giugno scorso: qui si può manifestare ogni opinione, ma sempre ricordandosi che tanti compagni, il sottoscritto compreso, hanno assunto una posizione diversa, di adesione all’iniziativa referendaria, e non possono venire considerati né imbroglioni né imbrogliati, con il rifiuto dunque di questa qualifica anche a carico di chi, come Bertinotti, è stato fra i protagonisti della vicenda referendaria.

Il mio dissenso dal carissimo Amedeo Curatoli (vedi Aginform n. 35) è di metodo (e lo ho ora espresso), ma anche di merito.

Ricordiamoci che l’attacco all’art. 18 è di lunga data e venne espresso, anche da D’Alema, nel senso che quella norma garantisse dei privilegi a favore di parte dei lavoratori contro una maggioranza di esclusi. Contro questa posizione una sola risposta si sarebbe potuta lanciare: non abolizione, bensì massimo possibile ampliamento della sfera dei beneficiari.

Di qui è partita, giustamente, l’iniziativa referendaria, di fronte ai pericoli, del resto solo accentuati, derivanti dall’attuale governo di destra. Qui si è innescata una posizione sindacale (Cofferati per vero si distinse da D’Alema e soci), basata sull’idea - in principio giusta, ma nel concreto irrealizzabile e dunque forse ridicola - di un disegno di legge ancor più generalizzante: ma che forse avrebbe voluto sancire ampia flessibilità difendendo dalla precarietà, ciò che nella realtà delle cose sembra difficilmente realizzabile. Benemerita apparve l’iniziativa di Cofferati della manifestazione dei tre milioni in piazza a Roma: ma lo sarebbe stata veramente, se essa fosse stata posta a supporto dell’unica iniziativa di mobilitazione reale in campo, quella referendaria, altre non apparendo possibili né venendo comunque prospettate. Invece, si è capito poi, è stato un tentativo di diversione e di spaccatura.

Il referendum si doveva fare. Le forme della democrazia borghese vanno esperite, pur nella consapevolezza dei loro limiti e tranelli.

Razionalmente (la speranza è altra cosa…) è stato sempre chiaro che difficilmente si sarebbe potuto vincere: ma non gettare in campo il tema del lavoro di fronte alle posizioni del centro-sinistra (solo per il passato?) e del centro-destra sarebbe stato ben peggio!

Ritenere che la prevedibile sconfitta politica avrebbe spalancato le porte al governo nella demolizione sociale, mentre il non far nulla o il fare altro - ma che cosa? Nessuno lo ha chiarito - avrebbe costituito ostacolo, è pura ingenuità. La via del neoliberismo è tutta scritta, che a gestirla siano D’Alema o Prodi oppure Berlusconi o Fini: vi sarà qualche differenza di toni, di tempi, di modalità, ma non illudiamoci: il pacchetto Treu chi l’ha deciso?

A questo punto, gravissima è la responsabilità di chi ha fatto macchina indietro.

Cercare di santificare Cofferati a fronte di Bertinotti è vana impresa: Cofferati si è rivelato il (contro)riformista verace, fra l’altro deplorevole nell’aver suscitato un ampio movimento per poi mollarlo per fare… il sindaco di Bologna (nelle speranze) e nell’aver compromesso, insieme a tutti i suoi confindustriali (contro)riformisti di partito, anche attraverso il condiviso oscuramento mediatico, un miglior risultato del referendum. Che è comunque sufficientemente apprezzabile: ha mostrato il confine dello schieramento di classe, ha raccolto 11 milioni di voti - ben più di Rifondazione e dei Verdi, quindi incidendo anche sui DS -, è stato un inizio di agitazione e mobilitazione. E’ un patrimonio che si deve saper valorizzare in una trattativa che certo, di fronte al parossismo e alla pericolosità che va assumendo l’attuale governo, deve essere affrontata, ma non certo per ritrovarsi in compagnia di similberlusconcini, di coloro che, violando la Costituzione, hanno aggredito la Jugoslavia (e votano per le missioni militari italiane all’estero, per l’Iraq schierandosi contro solo in funzione antiberlusconiana, mentre se scrutiamo le posizioni assunte nell’Internazionale socialista si capisce che, fossero stati al governo, sarebbero partiti bandiera in resta contro il "dittatore" di Bagdad e comunque intendono partecipare alla ricolonizzazione imperialistica dell’Iraq). E consentitemi di aggiungere: di coloro che hanno, sempre contro la Costituzione, sfasciato l’università italiana in nome del neoliberismo e di una concezione aziendalistica. Contro di questi vanno scagliati gli 11 milioni di sì referendari, se si vuole fare un accordo politico "in avanti", non di palliata (apparentemente) impronta berlusconiana. La "differenza" tra centro-sinistra e centro-destra va vista dialetticamente: la sostanza è uguale, il neoliberismo imperialistico, ma con qualche variante nel rapporto con il capitale finanziario transnazionale; gli effetti sono sempre devastanti: più diretti, espliciti, brutali, dirompenti per il centro-destra; sottili, pervasivi, addormentatori, distruttori di coscienza sociale per il centro-sinistra. Non v’è dubbio che sarebbe necessaria una forza alternativa, senza illusioni sulle sue immediate o prossime possibilità di vittoria, ma che mantenga vive le coscienze - e qui qualche "massimalismo" può nel contesto odierno venir salutato come chiarificatore - e cerchi di limitare i danni e di costruire per l’avvenire, anche con "provvisorie" alleanze sempre contenutisticamente caratterizzate. Condivido l’opinione sulle inadeguatezze gravi di RC e qualcuna delle perplessità espresse da Fernando Dubla: un vero partito comunista non è all’orizzonte, ma non vi sono scorciatoie. Certo, non ci si può allineare, e neppure allearsi senza condizioni, con i D’Alema e i Fassino o con il poco pregevole Cofferati.

Aldo Bernardini

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