Dibattito tra comunisti: E’ ora di bilanci

Per evitare che l’iniziativa dei vari gruppi comunisti vada avanti per convergenze parallele e perpetui lo stato di isolamento e di subalternità che li caratterizza rispetto al resto della sinistra movimentista e ‘antagonista’, sarebbe utile trarre un bilancio dalle ultime vicende e fare in modo che la discussione si intersechi e porti ad un vero confronto.

Ovviamente questo confronto deve avvenire con alcune discriminanti di fondo. Sia rispetto a quello che viene definito il partito comunista combattente, di cui sinceramente ignoriamo l’identità politica e la consistenza, ma che abbiamo valutato all’epoca dell’omicidio D’Antona, in piena guerra contro la Jugoslavia, e che riteniamo sia teleguidato da apparati non difficilmente individuabili. Sia rispetto ad un’altra invenzione che è il partito comunista clandestino, che riteniamo possa essere il frutto non solo di elucubrazioni senili, ma di qualcosa che serve a catalizzare l’attenzione morbosa di giornalisti di regime alla disperata ricerca di diversivi.

Se prescindiamo da queste due posizioni, che non a caso catalizzano spesso l’attenzione dei mass media che hanno interesse a distogliere l’attenzione da questioni politiche più serie, il dibattito si trasferisce tra quei gruppi di comunisti che hanno mantenuto in vita un’iniziativa politica e di massa. All’interno di questa area è necessario affrontare, in termini di bilancio, almeno tre questioni.

La prima riguarda l’esperienza dei cosiddetti autoconvocati, quelli, per capirci, che un paio d’anni fa convocarono una famosa e partecipata assemblea a Firenze e che si disciolsero come neve al sole in poco tempo. Di questa esperienza non sarebbe più il caso di parlare se ad essa non avessero partecipato alcuni gruppi organizzati di comunisti, i quali se ne sono di fatto distaccati senza però aprire una discussione nel merito. Sicchè gli interrogativi sono rimasti tutti aperti. Che senso aveva la partecipazione ad un progetto che era a mezza strada tra un modello politico organizzativo di tipo movimentista e anarcosindacalista? Quali vantaggi poteva trarne l’area comunista da questo guazzabuglio, in termini di progresso organizzativo e di chiarezza politico strategica? E, soprattutto, che ci facevano i marxisti leninisti con alcune tendenze trotskiste ben presenti tra gli autorganizzati?

La risposta a questi interrogativi può apparire inutile, data la fine che hanno fatto gli autorganizzati, ma un interrogativo rimane ed è quello del perchè dei comunisti hanno fatto una scelta che, nel migliore dei casi non sarebbe stata diversa dai tanti tentativi di mettere in piedi un movimento ‘antagonista’ dai piedi d’argilla e senza futuro. Se teniamo presente che uno dei problemi principali che come comunisti abbiamo avuto di fronte in questi decenni è stato quello di differenziarci dall’autonomismo e dal movimentismo si capiscono le perplessità che abbiamo espresso a suo tempo e che dati gli esiti della vicenda sono rimaste senza risposta.

Un’altra questione che sarebbe il caso di discutere, riguarda iniziative come quelle espresse da Nuova Unità che da tempo cerca di collocarsi dentro un progetto di riorganizzazione dei comunisti, ma che a distanza di anni non è riuscita, nonostante a nostro parere pubblichi articoli e documenti in massima parte condivisibili, a modificare, in termini organizzativi e di contenuto politico strategici la situazione. L’ovvia risposta che ci aspettiamo a questa obiezione è che trattandosi di un giornale di collegamento, Nuova Unità non può che svolgere una funzione di informazione. Ma se non vogliamo nasconderci dietro un dito dobbiamo domandarci a che serve questo collegamento se di fatto registra solo l’esistente. Ai progetti improvvisati di partito non si può rispondere con l’assenza di progetti.

Sempre in materia di bilanci, dobbiamo prendere in considerazione anche il lavoro di quei gruppi di compagni che da anni mantengono in vita, a livello locale una iniziativa politica organizzata e che costituiscono, anche se in dimensioni ridotte, significative presenze comuniste. In questo caso non ci riferiamo a taluni gruppi che in luogo di svolgere un lavoro sui contenuti si misurano in operazioni strategiche da ragazzi della via Paal, ma proprio a quelli che da anni svolgono un buon lavoro di classe e di orientamento comunista.

Questi compagni, come tutti noi, hanno la responsabilità di misurarsi con la situazione e cercare, nei limiti soggettivi e di possibilità oggettive, di portare avanti un progetto collettivo che faccia avanzare le posizioni comuniste in Italia. Al localismo non si nsponde con le forzature soggettivistiche, ma neppure rimanendo chiusi in esperienze che non aprono prospettive nuove di presenza politica e di lotta di classe.

Abbiamo riassunto in questa nota di apertura di AGINFORM alcune delle posizioni con cui riteniamo sia arrivato il momento di confrontarci, non con l’intenzione di dare i voti, ma di chiarirle in un dibattito collettivo che ci consenta, sulla base dell’esperienza, di capire se e come è possibile andare oltre. In particolare riteniamo sia arrivato il momento di discutere il rapporto dei comunisti col ‘movimento’, sulla funzione dei gruppi locali, sulle finalità dei gruppi di colleganento editoriali e non.

Riusciranno i nostri eroi ad affrontare senza chiusure un confronto a tutto campo sulle esperienze fatte finora? Si riuscirà a capire fino in fondo che, senza cadere nel praticismo e nel pragmatismo, il comunismo è un movimento reale che tende a modificare la situazione presente e che quindi non si può continuare a macinare sempre la stessa roba senza trarne le dovute conclusioni?

I guasti di un leninismo mal digerito e/o di un modello sessantottino di lavoro politico ripetitivo continuano a pesare, ma dobbiamo sbarazzarcene al più presto per ridare alle posizioni comuniste quei contenuti dialettici e rivoluzionari che siano in grado di farle progredire.

Non è solo l’estremismo la malattia infantile del comunismo, ma anche la sua versione dopolavoristica o politicista, intendendo con questo aggettivo identificare la logica di sopravvivenza dei gruppi al di fuori della verifica dei risultati raggiunti in rapporto agli obiettivi.

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