Iraq, la strada per l'Inferno

di Ezio Bonsignore

Fonte: www.paginedidifesa.it
La URL di questo articolo è: http://www.paginedidifesa.it/2005/bonsignore_050224.html

In termini puramente tecnici - e prescindendo per il momento da qualsiasi giudizio di tipo politico e se si vuole morale - è ben chiaro che la primissima e indispensabile pre-condizione perché un regime di occupazione militare possa mantenersi con successo è che la popolazione civile del paese occupato deve essere "educata" il più rapidamente possibile a provare un profondissimo rispetto per le forze occupanti. Nella maggior parte dei casi sarebbe infatti illusorio pensare di arrivare a sopprimere completamente ogni movimento di resistenza armata e allo stesso modo si deve dare pressoché per scontato che la maggioranza dei civili guardi con simpatia agli insorti. Ma se il regime di occupazione e i suoi Quisling locali vogliono potersi dedicare in relativa tranquillità ai loro affarucci, è imperativo che quanto meno i benpensanti locali siano portati ad avere troppa paura dei soldati stranieri - e ancor più dei loro collaboratori indigeni - per azzardarsi a fornire ai ribelli qualsiasi tipo di appoggio. Allo stesso modo, gli insorti debbono essere costretti a utilizzare tutte le loro risorse e le loro energie semplicemente per restare vivi e alla macchia, e non per pianificare con comodo i loro prossimi attacchi.

L'attuale situazione in Iraq non sembra essere esattamente in linea con queste pre-condizione essenziale, il che costituisce l'origine principale del problema militare che gli Stati Uniti si trovano ad affrontare (beninteso, ci sono anche parecchi problemi di altro genere). Per dirla spiccia, non sono gli insorti ad ever paura delle truppe americane e dei loro ausiliari della Polizia e della Guardia Nazionale irachene, ma è invece sempre più vero il contrario. Peggio ancora, si lascia che questa paura trasudi e diventi visibile con un "faux pas" dalle conseguenze psicologiche potenzialmente devastanti per una potenza occupante. Larghe fette del territorio iracheno e interi quartieri di diverse città rimangono "off limits" per i soldati americani e si sta facendo un ricorso sempre più largo al transporto aereo in-teatro (nonostante i costi astronomici), semplicemente perchè i convogli di autocarri da rifornimento sono troppo vulnerabili alle imboscate. Quanto alla Polizia e alla Guardia Nazionale irachene, sono praticamente alla mercè degli insorti ogni volta che si azzardano a mettere il naso fuori dalle loro basi.

Un'indicazione particolarmente significativa della gravità del problema è stata fornita dal recente dibattito tra il segretario alla Difesa Donald Rumsfeld e un gruppo di soldati destinati per l'Iraq, che lamentavano la scarsezza di veicoli adeguatamente protetti. La maggior parte degli analisti ha commentato la vicenda dal punto di vista dei requisiti tecnici e/o delle responsabilità personali di Rumsfeld, ma sembra che il punto vero sia ben altro. Se i soldati di una nazione occupante - che tra l'altro è l'unica iperpotenza del mondo - ritengono di aver bisogno della protezione (peraltro relativa) di veicoli pesantemente corazzati, non già per impegnarsi in chissà quale scontro, ma semplicemente per muoversi in un paese che dovrebbe giacere ai loro piedi, vuol dire che hanno già perso dove veramente conta: nei loro cuori e nelle loro menti. Dovrebbero invece essere in grado di comportarsi come, diciamo, i soldati tedeschi in libera uscita a Parigi dal 1940 al 1944: liberi e tranquilli di andarsene a spasso disarmati per i boulevards, sedersi all'aperto per sorbirsi un caffè, fare il filo alle ragazze e così via, perfettamente fiduciosi che nessun Parigino sano di mente si sarebbe azzardato ad anche solo alzare un dito contro di loro.

Ora, esiste tutta una varietà di sistemi ben noti per ottenere questa fiducia. Però non si tratta di sistemi simpatici e democratici, proprio per nulla. Si tende piuttosto a considerarli come appartenti alla categoria dei crimini di guerra e da Norimberga in poi c'è stata gente che è finita sulla forca o all'ergastolo per averli ordinati o eseguiti. La percezione della gravità del problema militare in Iraq e delle origini di questo problema sta ora portando negli Stati Uniti a richieste sempre più nervose, per non dire isteriche, perchè le forze americane "ci vadano giù duro" e "facciano tutto ciò che deve essere fatto" per domare la rivolta, o più esattamente per costringere la popolazione civile a una sottomissione totale e così privare i ribelli del sostegno di cui hanno bisogno. Queste richieste hanno cominciato a circolare già alla metà del 2003, quando si è visto che le cose prendevano una brutta piega, ma oggi non provengono più solo da qualche commentatore Tv in cerca di una facile popolarità, o da certi ambienti "neocon" che non sanno più a che santo votarsi per nascondere il baratro sempre più ampio tra le loro menzogne e la realtà della situazione in Iraq. Ormai vengono anche dalla penna di analisti e commentatori militari più seri, che dovrebbero essere in grado di rendersi conto di cosa stiano parlando.

Un'indiscussa autorità accademica come Norman Friedman ha di recento sostenuto sulle pagine di "Proceedings" che gli Stati Uniti dovrebbero ripudiare l'attuale enfasi sugli attacchi aerei di precisione e ritornare invece a una politica di indiscriminati bombardamenti terroristici contro i centri della popolazione civile, nello stile di Dresda. Secondo lo studioso, la strategia dei bombardamenti a tappeto sulle città funzionò a suo tempo perfettamente per piegare il morale del popolo tedesco e impedire così a priori la possibile nascita di un movimento di resistenza, e anzi per tenere i Tedeschi al loro posto per tutti i decenni successivi, e il suo abbandono è stato un grave errore. Allo stesso modo si moltiplicano le richieste perchè il Presidente liberi finalmente le forze americane dalla fastidiosa necessità di dover cercare di evitare i cosiddetti "danni collaterali" e di fare una distinzione tra ribelli armati e civili. Invece, tutti gli Iracheni dovrebbero essere trattati come nemici e tutti i bersagli diventare legittimi. Tutto questo, naturalmente, in vista del glorioso obiettivo finale di questa guerra; obiettivo che, nel caso ce ne fossimo dimenticati, consiste nel portare pace, sicurezza e democrazia al popolo iracheno. Almeno così ci viene detto.

Ancora dal punto di vista tecnico, si potrebbe far notare come questi suggerimenti perchè tutti i civili iracheni vengano trattati in blocco come "enemy combatants" e privati di qualsiasi protezione in base alle leggi internazionali, sono soprattutto dovuti all'incapacità-impossibilità da parte americana di applicare le tradizionali e più "mirate" forme di repressione e rappresaglia (fucilazione di ostaggi, eccetera). Questa incapacità-impossibilità dipende essenzialmente da cause psicologiche che affondano profondamente nell'anima americana e di per sé costituisce quindi un fenomeno senz'altro positivo; però, essa rischia di finire per infliggere alla popolazione sofferenze ancora più gravi. Il bombardamento di Dresda, che secondo Norman Friedman venne pianificato ed eseguito come "repressione preventiva", causò molte più vittime di tutti le rappresaglie naziste di Orandour, Marzabotto, Lidice, Sant' Anna di Stazzema, Fosse Ardeatine e così via messe assieme.

Sempre in termini puramente tecnici, è palese che chi vorrebbe vedere gli Stati Uniti mettersi risolutamente nella scia di Saddam Hussein, e adottare i suoi stessi metodi, sia irrimediabilmente fuori tempo massimo. Il deliberato uso a sangue freddo di massicce dosi di violenza militare contro i civili disarmati può certamente portare a risultati apprezzabili, se lo si applica al momento e al modo giusto, ma in Iraq è quasi certamente troppo tardi. Al punto in cui sono le cose, prendersela con la popolazione civile irachena non servirebbe più a costringerla a sottometersi; infiammerebbe anzi ancor più la rivolta e soprattutto impedirebbe a qualsiasi governo esca dalla elezioni di acquistarsi un minimo di credibilità e di appoggio. L'esperienza della nostra Resistenza è abbastanza istruttiva a questo riguardo.

Ma adesso basta parlare in termini tecnici, meglio parlare fuori dai denti: i suggerimenti secondo cui gli Stati Uniti dovrebbero cercare di uscire dal ginepraio iracheno, in cui si sono infilati con una guerra di aggressione priva di qualsiasi giustificazione, prendendosela con una popolazione civile colpevole solo di non apprezzare l'occupazione, costuiscono una vera e propria oscenità. Una politica del genere trasformerebbe gli Stati Uniti in uno Stato terrorista in base alla definizione di "terrorismo" formulata dalla stessa amministrazione americana ed eliminerebbe qualsiasi differenza tra Washington e Al Qaeda, a parte il fatto che Washington dispone di un arsenale incomparabilmente più efficiente ed è quindi in grado di ammazzare molta più gente con la massima facilità.

Il vedere tanti cittadini americani - che pure sono intelligenti, educati, patriottici e civili - chiedere a gran voce, e apparentemente senza nemmeno rendersi conto dell'orrore delle loro stesse parole, che il loro paese imbocchi in piena coscienza la strada per l'inferno, costituisce una terribile dimostrazione della pericolosissima paranoia che ha invaso gli Stati Uniti dopo gli attacchi dell'11 settembre 2001 o - per essere più precisi - dopo la manipolazione politica di questi attacchi. La sin troppo comprensibile e pienamente condivisibile reazione dell'opinione pubblica americana e il suo desiderio di vendetta, sono stati dirottati verso il perseguimento di un certo numero di obiettivi politici, strategici ed economici che distorcono fondamentalmente quelle che erano le sane regole tradizionali della politica interna ed estera degli Stati Uniti, e così facendo sfigurano l'America non solo nei confronti della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica internazionale, che non conta poi tanto, ma anche e sopratutto di fronte alla sua stessa coscienza.

Nietzsche aveva ben ragione quando scrisse: "Chi combatte contro i mostri deve soprattutto badare a non diventare anche lui un mostro". E' questa, e non gli "Stati canaglia" con le loro improbabili armi da distruzione di massa o il terrorismo internazionale, la principale minaccia che pesa oggi sull'America, e di conseguenza su tutto il resto del mondo.

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