L'azione dei comunisti
nella realtà quotidiana

Intervista al compagno Luciano Bronzi del PdCI

Premetto che rispondere alle tue domande è per me fonte di grande imbarazzo, dovendomi assumere in toto l’enorme responsabilità di rappresentare il PdCI e di farlo su AGINFORM. Un giornale che se pure di nicchia riveste un ruolo significativo di guida e discussione fra quei compagni che hanno una storia alle spalle. Ciò rende il compito ancor più oneroso, pur tuttavia, da compagno, non posso sottrarmi al dialogo che con interesse mi proponete e che mi tocca profondamente, quindi accetto di rispondere alle vostre domande .

Da molto tempo hai scelto di militare nel PdCI, a differenza di molti altri comunisti che stanno nel PRC. Qual è la differenza tra questi due partiti, secondo una visione comunista?

Per essere precisi ho aderito al PdCI ancor prima che fosse presentato ufficialmente e con altri quattro compagni ho partecipato alla sua fondazione in Basilicata; mi chiedi il perché di questa scelta, ti potrei rispondere, forse peccando di presunzione, perché pensavo saremmo arrivati al punto in cui oggi è la direzione nazionale di Rifondazione, cioè a rinnegare la storia dei comunisti e dell’ideologia comunista toutcourt. La mia adesione a Rifondazione non è stata immediata, è avvenuta più in là nel tempo. Non ero molto convinto e la presenza di tanti "compagni", di origine ed esperienze diverse e a volte fra loro confliggenti, facevano (per me) somigliare Rifondazione a un campo profughi. Alla fine ho aderito spinto dalla considerazione che per un comunista sia d’obbligo la lotta politica e Rifondazione, in quel momento, rappresentava l’unico soggetto più "prossimo" sul campo per poter assolvere a questo compito; mi perdonerai di nuovo la presunzione, ma ero certo che, prima o poi, le differenze avrebbero portato a strade diverse.

Per grandi linee, semplificando in modo schematico il discorso, i blocchi si componevano di vari compagni provenienti dal PCI, di altri di derivazione trotskista, e altri ancora riferibili a movimentisti, o comunque ad aree extraparlamentari. La diversa visione politica delle componenti, non poteva che sfociare nelle opzioni politiche oggi in campo e che iniziarono a confrontarsi/scontrarsi nel periodo in cui fu presa la decisione di fare cadere il governo Prodi. La decisione di dare vita a un altro partito era in sintesi solo l’approdo logico delle diversità di fondo nel modo di intendere la politica. Dare o meno l’appoggio al governo era la visione plastica dell’aspetto ideologico.

L’aspetto ideologico è quello, infatti, che ci differenzia da RC. Non basta avere una fraseologia e atteggiamenti da ultrasinistra per essere rivoluzionari. I comunisti fanno derivare la loro pratica dall’analisi marxista dei rapporti esistenti tra le classi, e tramite essa individuano lo scopo, si danno un progetto di lotta possibile, a volte anche dura e lunga, per il raggiungimento dell’obiettivo, ma nel contempo educando e facendo crescere la classe. Tale approccio, tipico di una concezione materialista della storia, ci dice che la lotta politica deve tener conto dei vari fattori costituenti lo scenario, il contesto politico, economico e sociale, quindi sia i fattori soggettivi (iniziativa, organizzazione,volontà, ecc..), sia quelli oggettivi (movimento reale, situazione economico-sociale). La storia del movimento operaio è ricca di esperienze, di graduazione nella lotta e intelligenza nei metodi che sotto la guida del partito debbono trovare la loro forma adeguata, evitando di scadere in dottrinarismi, o in attivismi dal fiato corto, senza principi e metodo, i quali poi sfociano inevitabilmente nell’insuccesso e nella frustrazione. Oggi compito dei comunisti è riorganizzarsi, raccogliere le forze e riprendere con costanza il lavoro, capendo anche che vi sono dei momenti in cui bisogna sapersi ritirare, governando però anche questa eventualità, evitando al massimo le perdite e conservando compatto il nucleo e la capacità di direzione. Questo vuol dire, come ci ha indicato Lenin, imparare a lavorare in qualunque contesto in tutti i tipi di organizzazioni e partecipare all’attività del parlamento fosse pure il più reazionario.

Esiste nella storia del PdCI un periodo non trascurabile che è fatto di partecipazione al governo D’Alema che ha gestito non solo la sconfitta della sinistra, ma anche la guerra Nato alla Jugoslavia. Come spieghi che un partito che si definisce comunista possa fare scelte simili?

Scorgo dal contenuto della tua domanda e da come la formuli, che in te nutri un sentimento di accusa verso il PdCI, fondato su qualcosa che ritieni particolarmente grave. Potrei farti notare, e così penso me la caverei a buon mercato, che il PCC di cui tanto bene si parla su Aginform, ha introdotto nella costituzione cinese il diritto alla proprietà privata e altre cose che non dovrebbero trovare ospitalità in un paese che da oltre 50 anni si dice socialista e da un partito che ha fatto della lotta al moderno revisionismo la sua ragione di vita. Ma non lo faccio perché non sarebbe giusto e sarebbe il tentativo di nascondere difficoltà che esistono nel mio partito. Difficoltà che non solo esistono ma sono anche esplicitate pubblicamente dai massimi dirigenti del partito. E questo è da attribuirsi al fatto che i Comunisti Italiani sono anzitutto un piccolo partito, un partito che non ha niente a che vedere, e nel numero e nel radicamento, rispetto al vecchio PCI, e che con questa sua debolezza deve e fa sempre i conti. Inoltre è un partito che con grande umiltà dice di volere essere comunista, ma che a tutt’oggi non lo è ancora. Io trovo che invece vi sia del miracoloso che in più occasioni abbia potuto agire da partito comunista, malgrado, ripeto, al suo interno non vi sia solo una presenza comunista. Abbiamo celebrato tre Congressi ed ognuno di essi è stato un passo avanti nella costruzione del Partito, penso per esempio alla reintroduzione del centralismo democratico, alla presenza del 50% delle donne nel comitato centrale, alla ridefinizione della linea politica con significative e sostanziali correzioni che si sono esplicitate nel no alla guerra imperialista, no alla politica della concertazione, alla trasformazione dello slogan "unità ed autonomia" in "unità e competizione" che ci permettono di partecipare all’alleanza leale con il Centro-Sinistra e rimarcare la nostra specificità di comunisti.

Ho spesso ribadito nelle istanze del partito, che alcune scelte mi causavano il mal di pancia e coerentemente nel mio intervento al Congresso Nazionale ho affermato che sulla guerra avremmo dovuto fare autocritica a voce più alta. Ma nel contempo, mi rendo conto che oltre i fatti sopra riportati, alcune scelte, per essere comprese, richiedono una conoscenza più approfondita delle vicende che, al momento, per la limitatezza delle mie possibilità non posso sviluppare.

Tornando alla guerra, vorrei ricordare che l’opera meritoria portata avanti dal compagno Cossutta, nell’intento di ridurre le sue conseguenze e fare in modo che cessasse al più presto, è stata rimarcata perfino dal Vaticano.

Ci sono diversi tipi di errore, ma tra questi alcuni si debbono fare anche sapendo che lo sono. Questo mi fa venire in mente un pensiero di Wittgenstein "Se gli uomini non commettessero talvolta delle sciocchezze, non accadrebbe assolutamente nulla di intelligente".

Posto che un partito comunista non si inventa, come dici tu, come vedi la vicenda del PdCI dal punto di vista tattico e di prospettiva?

Credo per certi versi di aver già risposto parzialmente a questa domanda; il primo grande merito che va riconosciuto al PdCI è quello della sua esistenza e non solo quale momento testimoniale e di argine alla deriva ideologica a cui è sottoposto il movimento operaio, ma anche e soprattutto quale presenza politica effettivamente operante. Ha avuto la forza di sostenere l’attacco concentrico portatogli sia dai DS che da RC con l’obiettivo della sua distruzione.

Oggi il risultato elettorale del 2.4% lo conferma come partito non provvisorio, un’organizzazione politica che, sebbene ridotta, è in continua crescita e con la quale è necessario confrontarsi. Il secondo merito è quello di opporsi all’egemonia del pensiero borghese, intraprendendo anzitutto una battaglia culturale con l’obiettivo di ridare ai comunisti la propria identità, la propria teoria. In questo ambito trovo necessario procedere ad arricchire la nostra analisi procedendo parallelamente e dialetticamente per:

- adeguarla alla situazione odierna, ai problemi attuali, per coglierne il senso e la complessità. In proposito la ri-pubblicazione del Contemporaneo come inserto della Rinascita credo assolva in parte anche a questo compito,

- ridurre il forte ritardo sul piano teorico e ciò, dando vita quanto prima ad una rivista specifica che sia luogo di elaborazione, di progetto della nostra politica, come anche la fucina di strumenti/armi per le battaglie di tutti i giorni. Ma anche il funzionamento del nostro partito, le sedi di partito debbono operare come fucina collettiva. Sono questi i luoghi privilegiati (per la loro specificità, dimensione sociale e capillarità) dove dobbiamo e possiamo lavorare per fare chiarezza sulla nostra storia, su cosa e quanto dobbiamo recuperare del nostro vecchio PCI, quali insegnamenti dobbiamo trarre dall’esperienza del PCUS, del bolscevismo e quindi enucleare quale sia il partito che dobbiamo forgiare e far crescere.

Ciò va ricompreso nella definizione del ruolo del partito in questa fase storica e all’interno del processo produttivo e ri-produttivo della società attuale, traguardando quella società che dobbiamo contribuire a produrre. Costruire il partito così come Marx lo costruì sull’operaio artigiano e Lenin sull’operaio massa del taylorismo. Sarà poi la nostra capacità politica a scegliere le giuste alleanze e a distinguere le contraddizioni nell’ottica unità-critica-unità.

Il partito non è il prodotto del pensiero "geniale" di qualcuno, ma il prodotto della conoscenza sociale della classe che lottando impara, acquista esperienza e coscienza, sia dai successi che dagli insuccessi. Operando in direzioni di grandi riforme sociali e civili, come fece il PCI.

Quando oggi si parla di crimini dei comunisti si opera certamente per veicolare grandi menzogne, perché alla presenza e all’ opera dei comunisti dobbiamo la legge sul divorzio, sull’aborto, la riforma sanitaria, la riforma psichiatrica, la riforma del diritto di famiglia, dei patti agrari, dell’equo canone, del punto unico di contingenza. Una serie enorme di provvedimenti e in aggiunta il PCI è stato anche il motore sociale che ha prodotto un’evoluzione straordinaria nel pensiero alternativo, che ha fatto da substrato all’ introduzione di elementi di socialismo nella nostra società, ha operato un’evoluzione culturale poderosa. Si è battuto per conquistare e creare le condizioni per la percezione e la fruizione dei diritti, dando vita allo stato sociale, dal vuoto di assistenza in cui il singolo individuo era praticamente abbandonato a se stesso in quella giungla selvaggia che è la legge di mercato.

Detto francamente e fuori dai denti, i compagni comunisti che non si sono omologati nei partiti che si definiscono comunisti, PRC e PdCI, sono degli idealisti o potrebbero e a quali condizioni contribuire a rafforzare l’area comunista?

Anche questa come le altre domande fin qui postemi, non è facile sia perché, come ti dicevo nella premessa, in questo spazio rappresento il PdCI, sia perché merita una risposta complessa e molto articolata.

Ad esempio si dovrebbe esaminare anche la posizione di compagni che, pur militando in una delle due organizzazioni, ricoprendo anche ruoli importanti e ben visibili, dotati di grande prestigio, nonché di grandi qualità intellettuali, pur tuttavia si limitano a pubblicare libri ed articoli, di valore certamente, ma che risultano essere solo opere letterarie, mancando la lotta che tutti i comunisti debbono praticare all’interno del partito per affermare la giusta visione di classe. O chi pur promuovendo validissime iniziative editoriali e di studio sui vari aspetti vissuti dal movimento operaio internazionale, li esaurisce in una direzione commerciale.

Penso che questo non sia il luogo per affrontare in modo così complesso l’argomento, mancando lo spazio e probabilmente anche da parte mia la capacità per fare ciò, per questo mi limiterò a dare un giudizio complessivo sperando che chi legge mi perdoni per la superficialità e sappia anche leggere fra le righe.

Anzitutto non userei il termine 'omologati' come fai tu, lo trovo vagamente spregiativo, direi invece che non si riconoscono nel PRC e PdCI; poi distinguerei tra chi si è completamente isolato e chi invece aderisce a qualche forma sia pure minima di organizzazione; infine bisogna indagare il perché di questa scelta, perché dei comunisti non trovano il loro collocamento in partiti che si proclamano comunisti. Se cioè la "colpa" è da attribuire a quest’ultimi, oppure è da ricercare in chi si auto definisce comunista, o ancor meglio rivoluzionario e assume atteggiamenti di scomunica, accusando di tradimento organizzazioni che, con tutti i limiti, le inadempienze, gli errori, operano e sono riconosciute come soggetto politico da consistenti settori di lavoratori.

Questo non è certo un problema nuovo nella storia del movimento operaio: si può dire che sia nato insieme ad esso. E’ il prodotto della divisione in classi della società , classi che lottano per mantenere o impadronirsi del potere cercando di imporre all’intera società la propria visione del mondo, i propri interessi. Nel movimento operaio italiano è da sempre presente una forte tradizione massimalista ed anarchica, imperante tuttora.

Sarà capitato anche a voi certamente, come capita a me, navigando su internet, partecipando a convegni, in occasioni di grandi manifestazioni sindacali o sociali, di imbattermi in una vera galassia di scritti, volantini, fogli, comunicati, giornalini, e quant’altro, che riportano sigle di fantomatici partiti, comitati, collettivi, ecc., "rivoluzionari", "autentici comunisti" che, alla verifica, sono soltanto l’espressione folcloristica ed infantile di singole figure, o tutt’al più di uno sparuto gruppo completamente distaccato dalla realtà, che si illude di poter influenzare la lotta politica. La durata di queste piccole formazioni è breve e in pochi si accorgono della loro esistenza. Sono "comunisti" di varia specie, alcuni citano classici sfoggiando, beati loro, una memoria incredibile, altri, e sono molti, conoscono molto poco del marxismo, animati da un attivismo senza alcun progetto, eppur ricchi di definizioni e certezze. Poi molti di quelli che si dichiarano marxisti sono nella realtà dei perfetti anarchici senza saperlo. E’ la caricatura del marxismo, cioè quello che portò un giorno Karl Marx a dire che se quello era il marxismo lui allora non era marxista.

Un comunista dovrebbe acquisire le capacità necessarie alla comprensione della realtà che lo circonda ed imparare a guidare e a comprendere le masse (GRAMSCI "Il popolo lavoratore non può vivere tutti i giorni in continua tensione. Chi non sa comprendere l’animo delle grandi masse, è assente dalla loro vita: è fuori dalla realtà della lotta di classe").

Anziché impugnare la matita rossa e blu per segnare tutte le "deviazioni" che esse compiono al di fuori dei testi sacri, deve essere capace di comprendere la situazione reale così come si sviluppa nella storia cercando di dialogare con esse. Qualora non sia disposto a fare questo, a prendere atto che la masse operano in modo contraddittorio, resterà soltanto un prete salmodiante. Una mentalità dottrinaria e meccanicistica riduce la possibilità di influenzare la classe e di essere da questa riconosciuta quale avanguardia. Un comunista deve capire che nei processi di sviluppo non esiste uno schema prestabilito da seguire, ma che in ogni fase bisogna avere la capacità di distinguere ciò che va verso il progresso da ciò che va verso la reazione. "Dobbiamo costruire il partito!", è ciò che si sente ripetere ossessivamente da tutti, in modo particolare da tali personaggi. Su questo nessuno è contrario. Ma come procedere? Si può fare un partito senza analizzare in modo realistico la fase di sviluppo che attraversa il movimento? Il suo operare non è certo il prodotto di formule magiche e di leggi naturali. Engels nell’Antiduhring "Le cause ultime di ogni mutamento sociale e di ogni rivolgimento politico, vanno ricercate non nella testa degli uomini, nella loro crescente conoscenza della verità eterna e dell’eterna giustizia, ma nei mutamenti del modo di produzione e di scambio; esse vanno cercate non nella filosofia, ma nell’economia dell’epoca che si considera". Il capitalismo è lo sviluppo di "potenti forze produttive; sino a quando ostinatamente ci rifiuteremo di intendere la natura ed il carattere - e a questa intelligenza si oppongono il modo di produzione capitalistico e i suoi sostenitori - queste forze agiranno malgrado noi e contro di noi,... ci domineranno".

Tra l’altro come si fa, non solo a dichiararsi comunisti, ma a volere che si operino trasformazioni sociali senza essere coinvolti nella militanza? Per essere comunisti si deve operare come uomini di partito (quando non si è in un partito) o essere un uomo di partito, non ci si può chiamare fuori, qualora il partito a cui ci si riferisce non s’impersona con quella purezza con cui lo immaginiamo. Ammesso che sia mai esistito un tale partito o mai ne esisterà uno. Bisogna sapersi "sporcare le mani" e operare, lavorare e lottare per la sua costruzione. Non serve a niente ed è comodo starsene fuori unicamente a inveire, a fare elenchi di cose che non vanno. Questo a mio parere, è una riedizione (ma da parte del ceto sociale non ricco) del salotto borghese. Cito in proposito una frase di Lenin "Sappiamo che dal cielo non ci piove nulla, sappiamo che il comunismo sorge dal capitalismo, che solo dalle sue vestigia si può costruire il comunismo. Sono cattive, è vero, ma non ve ne sono altre".

Come avete potuto capire, non ho molta simpatia per chi si estranea dalla lotta politica, astenersi è la cosa più sbagliata che si possa fare per un comunista; quale contributo può dare mai chi sta alla finestra vedendo solo con gli occhi la lotta politica? Gramsci stesso, interviene con un giudizio molto duro su questo aspetto "Vivo sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti". Ma vorrei poi dire un’altra cosa, da dove possono mai astenersi o estraniarsi se non da se stessi, dalla loro vita, dai loro diritti?

Credo che se, come dite, sono dei comunisti la loro astensione non potrà consistere che in un momentaneo attimo di riflessione, sapranno poi prendere il loro posto nella lotta a fianco agli altri comunisti già organizzati. Come puoi notare volutamente ho evitato la "propaganda" per una delle due organizzazioni, innanzitutto perché la divisione (e questo è un giudizio del tutto personale ma mi voglio permettere questo privilegio) è più nei vertici che tra la base o tra i quadri intermedi dei due partiti. Considero, frequento e lavoro insieme a compagni di Rifondazione come sapete e credo che due più due fa sempre quattro. Se analizziamo in modo corretto le sensibilità espresse da molti compagni della base in entrambe le formazioni, penso che la scelta sia una ed una sola; a buon intenditore poche parole.

Mi rendo conto di essere stato lungo ma permettetemi un ultimo passaggio. Rispondendo a questa domanda ho tenuto conto della mia personale esperienza. Mi sono avvicinato al comunismo che avevo 15 anni e l’ho fatto iscrivendomi all’Unione della Gioventù m-l, quindi, al PCd’I m-l, questo fino al 3° Congresso. Mi sono allontanato dopo la vicenda del giornale Ottobre, confluendo successivamente nel PCI, poi Rifondazione e con la scissione nel PdCI. Oggi all’età di 53 anni posso dirvi questo; da un punto di vista personale ed umano l’esperienza fatta nel PCd’I mi ha formato politicamente dandomi il giusto atteggiamento comunista - la coerenza con i principi, la necessità dello studio e della militanza, la giusta lotta contro il revisionismo, il rifiuto dei personalismi e del carrierismo, la lealtà verso l’altro. E’ stata un’importante scuola quadri; politicamente non credo abbia avuto, tranne forse nel primo periodo, una grande influenza sulle masse operaie e non ha prodotto, in tal senso, molto fino ad oggi. Non sono ancora riuscito a capire se quell’esperienza, che ripeto era importante, potesse essere fatta all’interno del PCI ottenendo gli stessi risultati.

Quale lezione viene dalla vicenda del PdCI nella partecipazione alle alleanze politiche di centro sinistra e quali dovrebbero essere le condizioni delle alleanze?

I risultati elettorali ci mostrano che in Italia il settore moderato è ineludibile per qualsiasi progetto politico, pertanto ritengo valida la scelta, operata dal partito, di un’alleanza organica con il centrosinistra; quello su cui forse non concordo pienamente è la ricerca del voto all’interno della coalizione, quasi che il nostro compito fosse esclusivamente di recupero di voti. Se mi fai passare il termine, da raccattapalle.

Non si tiene presente il fatto che oltre 18 milioni di elettori hanno rifiutato, in un modo o nell’altro, di identificarsi nei partiti in lizza e questo non credo solo perché disimpegnati. Credo che bisognerebbe riflettere di più su questo aspetto.

Mi sembra invece giusta la decisione del partito di continuare sulla linea lanciata all’ultimo congresso, sul bisogno di sinistra. Approfittando della confusione in cui si dibatte il listone nel rilanciare la proposta della confederazione della sinistra a tutte quelle forze che ci stanno e che vanno da Rifondazione ai verdi ai DS fino ad arrivare a Ochetto-Di Pietro. Concordo in definitiva con quanto ha affermato Oliviero Diliberto alla relazione del Comitato Centrale del 19/20 Giugno: "un centro sinistra con il trattino, cioè l’alleanza tra la sinistra che fa la sinistra e i moderati che fanno i moderati".

Alleanze ministeriali o alleanze politiche, è questo il dilemma?

Albert Einstein diceva "è più facile spezzare un atomo che un pregiudizio"; nei confronti del PdCI vi è sempre stata l’accusa infamante di essere "governativo", intendendo con ciò affermare che è un partito affamato di poltrone, un partito di ministeriali ed assessori. Se questo può essere vero per qualcuno al suo interno, dico subito che non si può generalizzare. A tale proposito è doveroso ricordare che il nostro segretario ha rinunciato alla sua rielezione come ministro per fare il segretario. Certamente noi sappiamo l’importanza che riveste ricoprire ruoli di governo e lottiamo senza ipocrisia perché ci venga riconosciuta la possibilità di rivestire un tale ruolo. Non siamo extraparlamentari o anime belle che non si sporcano le mani di calce, e ci battiamo per il potere. Ma va sfatata anche la leggenda del disinteresse 'rifondarolo' per le poltrone che, se al parlamento nazionale ha sdegnosamente ritirato il suo appoggio, al governo delle amministrazioni locali è presente in modo molto più significativo di noi e questo non soltanto perchè è più grande. Per esperienza personale, avendo io partecipato ai tavoli delle trattative, ti assicuro che i compagni di RC sono molto spregiudicati. Credo che per quanto detto sopra sia inutile rimarcare che la nostra battaglia è una battaglia politica il cui fine non sono certamente i ministeri, quindi per noi nessun dilemma.

Potenza,10/7/2004

Luciano Bronzi
(responsabile organizzazione regionale PdCI regione Basilicata)

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