"Convergenze parallele"

Vi è un’affinità ideologica di fondo fra le tesi di maggioranza e quelle di minoranza sul terreno dell’antistalinismo. Non si tratta di una questione nostalgica, un fatto di ideologia inteso come falsa coscienza o "ideologismo", non è neanche un argomento obsoleto, anacronistico e che non ha più vita. Al contrario, si tratta di una discussione tremendamente attuale, e a renderla tale sono proprio Bertinotti e Ferrando: se i compagni possono attaccare la figura e l’opera di Stalin con grande disinvoltura, giungendo a falsificare la storia del comunismo, è giusto che vi sia chi a queste falsificazioni si oppone. La cosa migliore sarebbe stato procedere con cautela e dedicare alla questione seminari di studio perché non si tratta del giudizio su una persona ma del bilancio storico di un’epoca del comunismo, un bilancio storico della Rivoluzione d’Ottobre. Nel partito non si è mai fatta una scelta del genere. Tuttavia se il documento di maggioranza riconosce (alla tesi 49) il merito, sia pure attribuito genericamente alla rivoluzione d’Ottobre (non all’Urss né tantomeno a Stalin) di aver "contribuito in termini decisivi (meglio sarebbe stato dire: determinanti ndr) alla sconfitta del nazifascismo", nel documento presentato da Ferrando questo episodio centrale della storia del secolo appena trascorso viene occultato. Del resto il trotskismo si è sempre caratterizzato come nemico irriducibile dello "stalinismo" per cui ammettere il ruolo del popolo sovietico nella disfatta delle armate hitleriane implica il riconoscimento anche del ruolo svolto nella vittoria sul nazismo (che non è avvenuta per miracolo) dalla industrializzazione dell’Urss (a seguito dei Piani quinquennali) e dalla direzione militare di Stalin. L’occultamento di questa inconfutabile verità storica serve inoltre a dare una certa credibilità alla rappresentazione (molto fosca) di quel grande Paese, in cui vigeva, secondo il documento presentato da Ferrando, "il potere di una burocrazia" i cui "crimini efferati contro lavoratori e comunisti" hanno rappresentato "un mezzo brutale di difesa del privilegio burocratico"(pag.18). Non si comprende come la dittatura di una casta di burocrati privilegiati che fondavano il loro potere su crimini efferati contro i lavoratori e i comunisti non sia stata spazzata via dalla guerra (come avvenne per Hitler) ma anzi, abbia potuto reggere all’urto ed alimentare atti di eroismo collettivo da cui generò la vittoria, al costo di venti milioni di morti fra la popolazione sovietica. Anche la tattica dei Fronti popolari definita dal 7° congresso dell’Internazionale comunista e che diede grande impulso alla Resistenza europea antifascista viene sommariamente liquidata: "Lo stalinismo condusse l’Internazionale prima alla collaborazione di classe e di governo con le "borghesie progressiste" (i "fronti popolari"), poi al suo scioglimento formale nel 1943" (pag.29). Costituzionalmente incapaci di concepire una qualsiasi politica delle alleanze, i trotskisti sono portati ad una tale semplificazione delle forze politiche in campo (tutte borghesi come tutte nere sono le vacche nella notte), da indurli a considerare sé stessi come unico faro di purezza rivoluzionaria. Ma nel fare ciò si sono venuti a trovare, tradizionalmente, dall’altra parte della barricata. Anche il panorama internazionale illustrato da Ferrando è davvero desolante: accanto ad una " Russia borghese di Putin" vi è una "burocrazia cinese" tutta tesa ad "investire la propria eccezionale potenza economica in un disegno di egemonia su larga parte dell’Asia" (che è proprio ciò di cui gli Usa accusano la Cina) (pag.9). Quindi nessuna ipotesi campista ma la riproposizione dogmatica e dottrinaria di un’Internazionale comunista (la Quarta?) intesa come "il partito globale della classe operaia" (pag.30). Come si può agevolmente vedere, "l’area programmatica" dei comunisti, che pure ha accolto al suo interno compagni di diverse sensibilità, tradizioni ed "appartenenze", si è andata configurando in maniera chiara ed esplicita come frazione trotskista ortodossa, conservatrice, del tutto incapace di un sia pur minimo spirito innovativo. Non manca neanche la simbologia delle "cinque teste": "un’Internazionale comunista non potrà che basarsi sulla teoria e sulle posizioni programmatiche del marxismo rivoluzionario….: Marx, Engels, Lenin, Trotsky, Luxemburg" (pag.30). Quindi tutto ciò che di valido il documento di Ferrando contiene (la polemica con le tesi di maggioranza sull’imperialismo, il partito, il movimento ecc.) va preso con le molle perché le singole questioni, anche se formalmente corrette dal punto di vista teorico, quando saranno affrontate in termini politici, nel loro insieme , risentiranno dei limiti e delle forzature di quella ideologia organica e compatta che il movimento comunista internazionale organizzato (la III Internazionale) ha sconfitto perché l’ha giudicata estranea ed ostile.

Le tesi di maggioranza sono costruite sull’idea della presenza, sul nostro pianeta, della cosiddetta globalizzazione neoliberista. Il termine, mai spiegato in modo più o meno convincente, viene ripetuto ossessivamente, nel documento, alla maniera di uno spot, per ben sessantaquattro volte. E’ un fenomeno onnivoro perché, fatta la sua apparizione, questa globalizzazione ha inghiottito tutto ciò che di "cultura comunista" era sopravvissuto alle "macerie". In questa nuova epoca, dunque, non dobbiamo neanche più pensare alla rivoluzione nei termini tradizionali: "essa si prospetta come una costruzione profondamente diversa sia dall’idea classica della presa del potere (la rivoluzione come "ora x") sia dall’ipotesi strategica riformista". E allora che idea dobbiamo farci di una possibile rivoluzione? Essa "si fonda su una dialettica permanente tra rappresentanza istituzionale e forme di autogoverno, tra poteri centrali e contropoteri" (tesi 46). Che cosa saranno mai questi "contropoteri": qualcosa di simile alle basi rivoluzionarie di maoista memoria, istituite in alcune regioni cinesi liberate dall’Esercito rosso, oppure qualcosa di molto più modesto ed effimero come zone di fuoriuscita volontaristica dal capitalismo teorizzate dal proudhoniano Revelli? La globalizzazione ci ha indotto a scoprire anche la nonviolenza, essa è una "pratica di lotta non distruttiva …che non va intesa come negazione del conflitto, e neppure della forza, ma all’opposto gestione altra, e più alta, del conflitto stesso" (tesi 22) (Che sarà mai questa misteriosa gestione "altra e più alta" del conflitto?). Non esiste più la categoria di "imperialismo": "Propongo - ha affermato al riguardo Bertinotti - una ricerca in campo aperto per trovare nuove chiavi interpretative", ma quando qualcuno gli ha ricordato che Rossanda, Magri, Parlato e Ingrao (che non hanno mai brillato per vocazione leninista) son rimasti fermi a determinati fondamenti di cultura comunista, egli, forse con una punta di orgoglio, ma sicuramente sollevando, in chi ascoltava, perplessità intorno ai dati anagrafici, ha detto che "il conflitto con il padre e la madre è un fattore di crescita". Conseguentemente alla scomparsa dell’imperialismo, anche le guerre imperialiste non sono più tali. Per definire l’attuale criminale aggressione Usa all’Afghanistan Bertinotti introduce nelle tesi (con grande coraggio, bisogna ammetterlo) l’inedita categoria di "Guerra Civile Planetaria" (altra cosa misteriosa che si stenta ad interpretare). Dissolto l’imperialismo, "appare improponibile l’idea della costituzione di fronti antimperialistici tra stati", anche perché mentre la Russia è "disponibile" verso la Nato, la Repubblica popolare cinese "dimostra la sua propensione ad integrarsi nel processo di globalizzazione" (tesi 17). Qui ci sarebbe una perfetta consonanza con il documento di minoranza se non vi fosse un distinguo sulla Cina: per Bertinotti la colpa più grave del grande paese asiatico non è, come per Ferrando, "il disegno egemonico su larga parte dell’Asia", ma l’ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio (WTO). Inoltre "… le contraddizioni tra grandi paesi capitalisti…non comportano guerre...perché i vari organi di governo del processo di globalizzazione servono da camera di compensazione dei contrasti e delle contraddizioni" (tesi 16). Questa riedizione aggiornata del superimperialismo in versione "camere di compensazione" implica anche la dissoluzione (delittuosa) del ruolo preminente dei contrasti Nord-Sud del mondo, che vengono "annacquati" attraverso l’invenzione "innovativa" dei contrasti Centro-Periferia, che comprendono anche le periferie dei paesi ricchi. Da questo panorama internazionale altrettanto sconsolante di quello delineato nelle tesi trotskiste chi ci risolleverà lo spirito? Ce lo rissolleverà il partito globale della classe operaia di Ferrando, e il movimento dei movimenti di Bertinotti. La tesi 2 si spinge fino al punto di dire che "per fronteggiare la crescita del movimento dei movimenti questo governo (della globalizzazione) tende a costituirsi nella forma di un inedito (?) dominio autoritario su scala mondiale" Quindi gli Usa temono il riformistissimo, pacifista e a-comunista movimento dei movimenti (con tutto il rispetto per riformisti, pacifisti e a-comunisti che si oppongono alle guerre e ai G8) molto più che i missili intercontinentali a testata termonucleare della Russia e della Cina, visto che "si va realizzando un sistema di alleanze ..che vede oggi schierati dalla stessa parte gli Usa, l’Europa, la Russia, i regimi arabi moderati e la Cina" (tesi 2). Al No al "campismo" di Ferrando fa eco il No all’"alleantismo" (altro mostruoso eufemismo) di Bertinotti. Per concludere: l’antistalinismo di Bertinotti è ancora più fanatico assoluto e indiscutibile di quello del trotskismo tradizionale. Nella tesi 51 che si apre con un titolo di sapore sportivo: comunismo contro stalinismo, vi è un’affermazione tanto ridicola quanto grave perché offensiva dell’intelligenza dei compagni: un’identità comunista, vi si dice, implica una rottura radicale con lo stalinismo (e fin qui tutto normale). Ma l’offesa all’intelligenza viene ora: "Non proponiamo qui un’operazione di bilancio storico, ben altrimenti impegnativa, ma di verità politica e di identità teorica". Bertinotti ci sta facendo una lezione di filosofia kantiana, ci dà ad intendere che ci troviamo in presenza di un giudizio analitico apriori fondato sul principio di identità e di non-contraddizione, un giudizio che non ha bisogno di reggersi sull’esperienza perché afferma, nel predicato, proprietà già contenute nel soggetto, per esempio: "il triangolo ha tre angoli". Qui il predicato ("ha tre angoli") è già contenuto nel soggetto ("il triangolo" che significa appunto tre angoli). "Il comunismo è antistalinismo" : l’antistalinismo è già contenuto nel comunismo quindi non ha bisogno di essere dimostrato, ne va della nostra identità di comunisti. E il bilancio storico ben altrimenti impegnativo a che cosa servirà mai, se l’antistalinismo è già stato aprioristicamente accertato? Probabilmente un bilancio storico ben altrimenti impegnativo servirà per affossare definitivamente anche Lenin, il quale ultimo, però, avrà almeno avuto l’onore di un bilancio ben altrimenti impegnativo. Secondo i due documenti il nostro passato è tutte "macerie", la storia del comunismo è una storia drammatica di crimini che ha disatteso tutte le speranze, ecc. Per comprendere le ragioni che hanno determinato la degenerazione dei Ds il compagno Domenico Losurdo usa la categoria dell’autofobia. "Disgraziatamente, però, - egli scrive - l’autofobia alligna anche tra le fila di coloro che, pur continuando a dichiararsi comunisti, si rivelano ossessionati dalla preoccupazione di ribadire la totale estraneità rispetto ad un passato che, per essi come per i loro avversari politici, è semplicemente sinonimo di abiezione""(Losurdo, fuga dalla storia?, pag.8).

Andrea Canonico
del CPN del PRC

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