Note sulla strategia:
cambiare canzone quando si cambia montagna

Era un detto dei partecipanti alla Lunga Marcia. E contiene un messaggio preciso per chi si propone di coniugare scientificità e politica anticapitalistica.

A nostro avviso fare il punto epistemologico sulla situazione presente e non semplicemente sull’analisi della fase (meccanismo ritualizzato, condito, come ogni rito, di parole gonfie di retorica con effetti distraenti che depauperano il soggetto della sua ‘presa’ sugli oggetti contestuali) è un compito importante della lotta ideologica.

Esistono degli eventi nella storia che determinano mutamenti radicali, tra cui il crollo di sistemi di riferimento generali di moralità e di comportamenti politici. Una volta si usava il termine rivoluzione diffusamente, a profusione, per indicare anche cambiamenti che non determinano rivolgimenti duraturi nei sistemi di moralità e di opzione politica.

Gli operaisti se la cavavano (e cercano ancora di cavarsela) chiamando in causa una parola magica, degna di un esorcista esperto, la "composizione operaia" e rappresentare un universo (di nuovo tolemaizzato, dopo Copernico!) che vedeva (illusoriamente) la classe operaia al centro del sistema (dell’economia con i suoi cicli, delle insurrezioni e delle loro trame e congiunture esplosive) e riconosceva tutti i comportamenti operai come sinonimo di comunismo. Chi obiettava (e obietta) che la rivoluzione politica (e la sfera del politico) è un’altra cosa dalla rivolta anarchica o soreliana e dalle barricate (forse per effetto di una perversa continuità con il verbo marxista) propone un uso più cauto del termine rivoluzione.

E’ indubbio che sono operanti degli eventi che determinano la necessità di adottare nuovi standards, nuovi stili concettuali e nuovi procedimenti di complessificazione della teoria. I rapporti sociali si presentano come molto aggrovigliati e complicati, oggi come sempre, e i rapporti politici lo sono ancora di più. Denunciamo l’inadeguatezza (operativa, prima ancora che intellettuale) delle analisi correnti della lotta di classe a fronte del mutamento epocale della situazione sociale e politica cui assistiamo.

Tali mutamenti epocali fanno nascere la necessità di riformulare i concetti-chiave delle nostre argomentazioni e le linee portanti della nostra strategia. Il che non significa l’abbandono del marxismo-leninismo. Viceversa: il vero abbandono è un ossequio formale e senza conseguenze nei confronti non soltanto dell’autorità dei teorici del socialismo scientifico ma della lettera delle loro opere (che conterrebbero la quintessenza della realtà per i prossimi millenni… secondo la visione aristotelica della verità che alcuni "rivoluzionari" ancora diffondono).

Il discorso si presenta ancora più difficile se affrontato in termini di efficacia causale dei vecchi standards rispetto ai nuovi (che ancora non ci sono e che possono nascere però soltanto sulla base di un primo abbozzo, di un quadro di riferimento minimo entro cui sforzarci di comprendere quello cui stiamo assistendo (non la sconfitta della sinistra dopo il crollo dell’URSS ma la trasformazione di un sistema di relazioni etiche e politiche che veniva (giustamente) denominato "sinistra" con proprietà lessicale in un altro che tale non può più essere considerato, per effetto di trasformazioni mondiali nell’assetto dell’impero capitalistico). Quello cui stiamo assistendo non è una rivoluzione ma un crollo dei sistemi di riferimento dei comportamenti morali e politici del movimento operaio e socialista del XX secolo. Un crollo cui segue una mutazione genetica irreversibile e dal quale nasceranno nuovi schemi di reazione e di comportamento di queste forze. Quello cui stiamo assistendo è la fine della sinistra così come l'abbiamo conosciuta o ticonosciuta utilizzando la coppia di concetti, divenuti classici con il leninismo, "marxismo"/"revisionismo".

Quello che si chiamava revisionismo non esiste più come tale, cioè non esiste più come sinistra riformista. La specie ha divorato il genere. I riformisti sono, come dimostra la guerra contro la Jugoslavia, i sostenitori dello sviluppo imperiale del capitale e i rappresentanti degli interessi del capitale transnazionale. L’idea di "sinistra" entra con ciò in una crisi irreversibile, dalla quale non può trarla fuori nessuna "differenza specifica" proposta dalle teorie come quella delle "due sinistre". E tale cambiamento risulta irreversibile perchè sistemico. Non averlo capito e pensare di ricomporre l’ala avanzata e massimalista di questo schieramento in un progetto di cambiamento è stato l’errore di Rifondazione. D’altra parte concetti come "degenerazione", "tradimento" etc. appartengono al vecchio sistema generale di moralità e di comportamenti, che vigeva sotto il nome di sinistra, e risultano strumenti inutili per comprendere la situazione presente.

In altri termini ci sembra che chi faccia ricorso a tali categorie per fondare il suo discorso e di conseguenza la sua proposta o piattaforma politica subisca necessariamente uno scacco e sarà costretto a far ricorso 1) agli strumenti della propaganda, 2) alle liturgie vuote di significato, 3) ai metodi cospirativi o 4) alle strategie di isolamento tese a conservare la purezza ideologica in attesa di tempi migliori (come i molteplici rappresentanti delle microeresie divenute, con il passare degli anni, tradizioni bronzee di supposte "verità nascoste" che attendono la maturità dei tempi per la loro finale teofania).

Nel caso peggiore, coloro che, non paghi della mera propaganda stereotipata e logorroica con la quale hanno inondato gli scaffali di centri di documentazione e circoli rossi, hanno avvertito (a livello forse subliminale) l’improduttività della faccenda, hanno commesso l’errore imperdonabile di dimissionarsi dal corretto uso della ragione e sostituito alla propaganda (ormai nettamente dimostratasi inutile allo scopo) la coercizione della realtà, il tentativo (fallimentare) di far coincidere forzosamente la realtà con i propri sogni, progetti e ideali (sorti, appunto, fuori della realtà, finanche fuori dalla realtà di quel "movimento che abolisce lo stato di cose presente" che è il comunismo).

Un’ indicazione corretta di metodo vorrebbe che si facessero, invece, i conti con il cambiamento di sistema generale di rapporti morali e politici che il passaggio della "sinistra" (storicamente costituitasi in seno al movimento operaio) alla difesa delle ragioni dello stato di cose presenti, cioè fuori di se stessa (in modo irreversibile), rappresenta e ciò allo scopo di cambiare i nostri modelli di elaborazione della teoria, della strategia e della tattica e gli schemi di argomentazione relativi, non per riconquistare rigore e forza logica fine a se stessi, ma per riguadagnare il terreno perduto sul piano dell’efficacia causale, cioè dell’influenza sulla soggettività di massa e della capacità di promozione di processi politici in controtendenza, di largo respiro, di lunga durata e di portata strategica per la lotta proletaria.

Ad esempio, le posizioni del movimento contro la guerra alla Jugoslavia non sono risultate - a livello di massa - convincenti, perché hanno fatto leva su elementi di propaganda che appartengono ad un sistema di relazioni "disattivato", come quello dello schema denuncia-risposta emotiva-azione conseguente. Così si è continuato a fabbricarsi una ricetta e una regola generale, buona per tutti i casi e si è preteso che essa funzionasse in ogni caso singolo, che generasse un cambiamento nell’orientamento delle masse e promuovesse processi politici coerenti con la "nostra strategia". Ciò è errato, sia sul piano teorico che effettuale.

Sul piano teorico nessuna ricetta può considerarsi universalmente applicabile ai casi singoli, sul piano effettuale l’inefficacia può essere totale o parziale ma si deve essere in grado di distinguere tra una efficacia parziale (o un successo parziale) che contenga delle potenzialità dialettiche di sviluppo e una efficacia parziale affidata al caso, alla contingenza, alle circostanze del momento. Pena l’impotenza strategica e la paralisi pratica.

L’addestramento, diretto o indiretto, ricevuto da una pluridecennale tradizione marxista di terza e quarta mano, ha determinato in molte forze una "caduta" della teoria come scienza della previsione in funzione dell’efficacia pratica, ha limitato il campo percorribile dalla teoria e modellato l’azione sul sistema di riferimento generale di rapporti morali e politici ormai inoperante.

Il lento declino dell’efficacia pratica di quello che potremmo chiamare "il marxismo dell’epoca della vigenza del precedente sistema di riferimento generale dei rapporti morali e politici" data probabilmente non da oggi, ma oggi, dopo la guerra Nato alla Jugoslavia, il passaggio ad un nuovo paradigma e la necessità di formulare nuovi concetti e metodi da parte delle forze che si propongono di promuovere e rilanciare la lotta per la pace e il socialismo attraverso una strategia e una tattica messa a punto secondo criteri marxisti (cioè con le categorie o concetti direttivi del marxismo, che, insieme alle dottrine, alle teorie e alle leggi costituiscono il "marxismo-leninismo") balza all’ordine del giorno.

Mi sembra abbastanza agevole dal punto di vista storico affermare che il movimento comunista abbia iniziato ad orientarsi verso un nuovo sistema di rapporti morali e politici già prima della sua costituzione formale, rompendo ogni legame con le abitudini e le idee correnti (trasformate di senso comune e in visione complessiva) della Seconda Internazionale (che era la "sinistra" secondo il codice dei contemporanei). Per quanto riguarda Lenin e la sua tendenza all’interno del POSDR questo processo data dai primi anni del ‘900. Lenin e i suoi compagni hanno cominciato a creare il bolscevismo molto tempo prima che ne avessero una completa comprensione teorica. Qual’era il vantaggio del marxismo di Lenin agli inizi del Novecento sulle altre forme o letture-interpretazioni del marxismo, in Russia e in Europa? Non stava nei materiali ideologici di partenza (si studiava sugli stessi testi della II internazionale, oltre naturalmente ai classici), o nella psicologia personale dei suoi rappresentanti, ma in una metodologia che era riuscita ad avvertire e segnalare l’obsolescenza del paradigma precedente del "marxismo", la sua non-vigenza nella nuova configurazione delle condizioni del mondo e non soltanto a livello filosofico e ideologico, ma politico, cioè in termini di efficacia. La rottura politica consumata nel 1914 (dopo aver costituito un partito marxista rivoluzionario indipendente) con la stragrande maggioranza dei partiti socialisti di allora fu il risultato di tale metodologia, non la reazione emotiva al loro tradimento e la condanna morale del loro comportamento.

Nel modo più chiaro tale metodologia, che esclude l’adesione a qualsivoglia schema storico astratto e intangibile, cioè ad ogni filosofia della storia, è rappresentata da Lenin nella sua polemica contro i populisti russi, che vedevano nella dottrina di Marx una teoria generale di tipo filosofico. "I marxisti prendono senza riserve dalla teoria di Marx soltanto i metodi preziosi, senza i quali non è possibile mettere in chiaro i rapporti sociali, e, per conseguenza, essi hanno come criterio per l’apprezzamento di questi rapporti, non degli schemi astratti ed altre assurdità, ma la giustezza della teoria e la sua corrispondenza alla realtà" (V. I. Lenin, Che cosa sono gli ‘amici del popolo’ e come lottano contro i socialdemocratici, trad. ital. p. 83).

Sapremo noi oggi essere all’altezza del compito che il nuovo sistema di rapporti morali e politici rappresenta nel tessere i fili di un percorso di ricomposizione delle forze che si battono per la pace e il socialismo, nell’orientare la nostra azione in termini di efficacia causale della lotta anticapitalistica e antimperialista? La tendenza è dirompente, è quella dell’epoca e della soggezione all’impero-capitale, la soggettività di massa è disorientata, il progetto dei soggetti dell’antagonismo è di là da venire…soltanto la lotta ideologica dei comunisti è praticabile.

Massimo Piermarini

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