Cina: apriamo il dibattito

Per gli USA il "pericolo giallo" è rosso

I due contributi che pubblichiamo in questa pagina sulla Cina e il PCC vogliono stimolare l'apertura di un dibattito forse non facile ma certo ineludibile per i comunisti

150 anni di storia

Sono passati 150 anni da quando, per la prima volta, viene lanciato l'appello all'unità dei proletari di tutti i Paesi. Alla fine della Grande Guerra quest'unità, contro i capitalisti e tutti i loro governi, è sul punto di saldarsi. Ma la rivoluzione proletaria vince solo in Russia. Comunismo e Russia si identificano. Difendere l'URSS diventa il primo punto del programma di ogni sezione del Komintern, anche se espone i comunisti all'accusa più grave, quella di essere agenti dello straniero. Poi il Komintern viene sciolto, ma la vittoria sovietica sul nazismo e la centralità di Mosca nella lotta contro lo strapotere imperialista USA confermano il ruolo egemone del PCUS nel movimento comunista internazionale. La contestazione maoista degli anni '60 e '70 fallisce, allontanando ben pochi satelliti dall'orbita sovietica. Alla fine degli anni '70 la Cina ripudia il modello sovietico, inclusa quella sua estremizzazione che è stato l'obiettivo della Rivoluzione culturale, rivelatasi un fallimento totale generatore di una gigantesca ondata di risentimento popolare non solo contro le Guardie Rosse, ma anche contro il Partito comunista. La svolta denghista si sforza di gettare le basi di un sistema economico molto più aderente ai bisogni popolari che la pianificazione imperativa centralizzata di stampo sovietico. Più tardi tale sistema verrà chiamato "economia di mercato socialista".

Liberazione delle forze produttive
senza bruciare le tappe

Negli anni '80 il tasso di sviluppo sovietico declina costantemente avvicinandosi allo zero, mentre in Cina si impenna vertiginosamente portando il PIL ad eguagliare quello sovietico appena prima che l'URSS si disintegri. Negli anni '90 il PIL cinese supera quello della Germania, impantanata nel processo di riunificazione (che le costa un milione di miliardi di lire), come pure quello del Giappone, il cui sviluppo si blocca dopo lo scoppio della bolla speculativa dei tardi anni '80. Alla fine del secolo il PIL della Cina si avvicina a quello USA (il PIL cinese denominato in dollari al tasso ufficiale di cambio ammonta appena a 1/10 di quello USA; ma, misurato con l'unico criterio razionale, la parità di potere di acquisto dello yuan e del dollaro sui rispettivi mercati interni, si avvicina appunto a quello USA, secondo valutazioni della Banca Mondiale).

La Cina dunque recupera il primato produttivo mondiale già detenuto per millenni fino alla prima Guerra dell'oppio (1839-1840). La differenza è che il Paese da feudale è diventato socialista senza passare per uno stadio di pieno sviluppo capitalistico. Chiunque conosca un minimo di letteratura marxista sa quante discussioni hanno preceduto, accompagnato e seguito l'identica "forzatura" fatta in Russia. Sa anche che dopo la Rivoluzione d'Ottobre l'adozione della pianificazione imperativa centralizzata non è stata affatto scontata e che, anzi, vivo e attivo Lenin, è stato adottato un altro meccanismo economico, quella NEP che nessuno può impedirsi di pensare Lenin avrebbe trasformato in modello se non fosse prematuramente scomparso.

Secondo chi scrive, tale trasformazione l'ha compiuta il Partito comunista cinese. Nel "pensiero di Deng Xiaoping", che da 20 anni costituisce la base teorica del programma del partito, la legittimità storica del socialismo e del comunismo riposa nella loro capacità di liberare le forze produttive dal freno dei rapporti capitalistici di produzione, innalzando lo sviluppo della ricchezza sociale a vette incomparabilmente superiori a quelle che la società capitalistica, anche la più avanzata, possa mai raggiungere. Tale primo postulato è però completato da un secondo, che afferma che il processo di avvicinamento al comunismo non deve in nessun modo bruciare le tappe imponendo alla società rapporti di produzione futuribili e impraticabili, che non generano lo sviluppo, ma il marasma economico / sociale e quindi il crollo del socialismo, come in URSS. Questo sembra autentico marxismo, anche se oggi non è più popolare in Occidente dove dominano, in versioni variamente suggestive e sofisticate, il cosiddetto "marxismo eretico" e la moda della contaminatio marxo-ecologista (sulla vuotezza del "marxismo eretico", in particolare dell'operaismo italiano nelle sue diverse correnti, diremo in uno dei prossimi numeri di Aginform).

La spettacolare contrapposizione tra due sistemi

E' curioso come tanti intellettuali sedicenti marxisti abbiano preso l'abbaglio di considerare come pragmatismo assoluto il marxismo denghista. L'abbaglio non ha comunque influito sul corso degli eventi e, a dispetto del fittissimo fuoco propagandistico anticinese della macchina informativa imperialista, il nuovo millennio incomincia con la spettacolare contrapposizione tra il sistema capitalistico attanagliato da una progressiva paralisi produttiva, che si diffonde sempre più dagli arti verso la testa e il cuore del sistema, ed un sistema socialista cinese lanciato in un prodigioso sviluppo. Con il 22% della popolazione e il 15% del PIL mondiale, la Cina produce, in proporzione al resto del mondo e per qualità dei prodotti e dei servizi, molto di più di quanto producevano l'URSS e i suoi satelliti. Delle 500 megaaziende statali cinesi, 450 sono in attivo, sebbene ancora gravate da fardelli impropri; alcune, c'è da non crederci, sono anche parzialmente quotate a Wall Street!

Il capitalismo internazionale, abituato da sempre a vittoriosi confronti con il "socialismo della penuria" non sa come trattare questa Cina che attua seriamente, passo dopo passo, il progetto di ricchezza per tutti che è iscritto nel nome stesso del PCC (che in cinese significa appunto "Partito della ricchezza comune") . Il mercato costringe le aziende all'efficienza produttiva sia mediante un'incessante ed accelerata ristrutturazione tecnologica e organizzativa (un esempio: in pochi anni i consumi di energia per unità di prodotto si sono ridotti della metà), sia mediante la liberazione da una serie di oneri impropri, soprattutto l'obbligo di fornire al personale, anche in quiescenza, la casa, l'assistenza sanitaria e la pensione. Il rilevante aumento della produttività del lavoro è alla base del forte attivo della bilancia commerciale e dell'accumulazione delle risorse valutarie, che sono le seconde del mondo e buona parte delle quali sono investite in T-bond USA. Il debito estero è inferiore alle risorse, il debito interno pubblico è pari al 9% del PIL (in Italia, come si sa, è pari al 110%), così basso da consentire un deficit di bilancio annuale, anche forte e per molti anni, volto a sostenere un prolungamento pluriennale dell'attuale stasi della domanda privata. Lo yuan è stabile, a dispetto delle innumerevoli previsioni di svalutazione a breve scadenza su cui si sono giocati il credito come studiosi molti celebri analisti finanziari. E le statistiche produttive sembrano falsificate non per eccesso, come martella la propaganda occidentale senza portare ombra di prova, ma per difetto, non solo e non tanto sull'evidenza di una serie di solide argomentazioni a priori che qui per brevità omettiamo, ma soprattutto sull'osservazione diretta della frenetica attività di costruzione di infrastrutture, edifici residenziali compresi, che qualunque viaggiatore può fare in ogni angolo dell'immenso Paese.

Modello socialista cinese e modello capitalista

Ma, molti si chiedono, in che cosa il modello sociale cinese si differenzia da quello capitalistico, a parte il predominio della proprietà pubblica nell'economia? La differenza più rilevante è che nelle aziende statali il piano generale di produzione è deliberato dall'assemblea dei lavoratori, che contestualmente eleggono il direttore (nelle amministrazioni pubbliche le cariche gerarchiche superiori sono anch'esse elettive). Nelle aziende private cinesi e straniere i sindacati attualmente sono riconosciuti (come anche le organizzazioni di Partito) e assicurano ai lavoratori il godimento degli standard salariali e normativi nazionali (nel complesso del Terzo Mondo la situazione è molto peggiore!).

I salari e il reddito medio annuo aumentano regolarmente di un 4 / 5%, in una minor misura aumentano i consumi, cosicché il risparmio costituisce il 30 / 40% del reddito. La differenza tra redditi minimi e massimi non supera il rapporto 1:3, checché ne dicano i massmedia occidentali, i quali puntano i riflettori su una percentuale di milionari statisticamente irrilevante. L'orario settimanale di lavoro è di 40 ore (10 anni fa era di 48) e gli straordinari non sono obbligatori.

Decine di milioni di famiglie nelle campagne ingrandiscono, nelle città migliorano e acquistano, la propria abitazione (nelle campagne i mq. a disposizione procapite si avvicinano a quelli europei). L'uso dei beni di consumo durevoli, ad eccezione della vettura privata e della seconda casa, è ormai sui livelli medi europei. E' vero però che nell'attuale fase di ristrutturazione aziendale generale si è formato un consistente strato di disoccupati. Ma il processo di ristrutturazione nell'essenziale sarà completato verso il 2000 e i disoccupati usufruiscono di un meccanismo di cassa integrazione fino al reimpiego (che nel giro di un anno o due perviene al 100%), che non sempre significa un lavoro pagato meno del precedente, specie nel settore dei servizi, fino a poco tempo fa praticamente inesistente e tuttora lontanissimo dalla quota di PIL raggiunta nei Paesi sviluppati.

La propaganda anticinese dà inoltre molto rilievo alle decine di milioni di lavoratori fluttuanti che si spostano di città in città a cercare lavoro, senza diritti, ecc. Ma omette di specificare che i fluttuanti sono in realtà lavoratori autonomi di tipo particolare, che alternano lunghi periodi di disponibilità a lavorare tutto il giorno nell'edilizia urbana a periodi altrettanto lunghi di ritorno al villaggio dove, con i soldi guadagnati, ingrandiscono o si costruiscono l'abitazione e avviano attività imprenditoriali spesso di successo.

Quanto ai 150 milioni di esuberi nelle campagne, esistono realmente. Ma chiamarli disoccupati è come dichiarare tali 800 mila del milione di commercianti italiani per il fatto che se il settore del commercio fosse razionalizzato, ne basterebbero 200 mila a mandarlo avanti! Certo, nel tempo, col procedere della razionalizzazione agricola, gli esuberi rurali rappresenteranno una formidabile risorsa per lo sviluppo degli altri settori: già ora milioni di lavoratori, tra cui i fluttuanti, si spostano dall'ovest e dal centro verso la costa che manca di manodopera. Per finire, come abbiamo già accennato, si sta impiantando un sistema nazionale di previdenza e assistenza sanitaria, cui contribuiranno lo Stato, le aziende e i singoli lavoratori e che comprenderà anche un reddito minimo per gli inoccupati.

Un sistema molto solido
ma ancora vulnerabile all'aggressione militare

E' sulla base di tutto quanto precedentemente detto che un esperto, in un recente servizio della CNN, ha potuto sostenere che in Cina "il contratto tra società e governo si presenta molto forte" (tant' è che Clinton nel viaggio dello scorso anno ha potuto salmodiare in diretta TV sulla "repressione di Tienammen" nell'indifferenza dei telespettatori) e che "The Economist" prevede il mantenimento in Cina, ancora per alcuni decenni, di un governo "autoritario". Ed è ancora per questo che il capitalismo internazionale, malgrado innumerevoli sforzi e altrettanto innumerevoli colpi di assaggio (il governo di Pechino con una riuscita politica verso le minoranze nazionali ha reso irrilevante o impotente l'irredentismo etnico, anche in Tibet), non è finora riuscito a trovare il punto di attacco giusto per l'inizio dello sgretolamento del sistema socialista più solido del mondo.

La Cina è dunque una fortezza inattaccabile? Al contrario, è proprio sul terreno militare l'elemento più grave di debolezza. Il Partito non ha mai consentito che lo sviluppo dell'apparato militare sopravanzasse o superasse quello delle infrastrutture e delle produzioni civili. Solo recentemente l'Esercito Popolare di Liberazione si è impegnato nella teoria e nella pratica della guerra moderna, creando una missilistica avanzata e "truppe di élite rivoluzionarie" (paracadutisti e fanti di marina). Ma attualmente non è assolutamente in grado, in caso di guerra totale con gli USA, di proteggere se stesso e l'apparato produttivo dalla completa distruzione nel giro di poche settimane. Tra dieci anni la situazione sarà completamente diversa, ma ora è piena di pericoli. Inoltre ci sono manifestazioni molto precise della volontà USA di riprendere e rendere operativo, guarda caso proprio tra dieci anni e stavolta in funzione anticinese, per vanificare i grandi progressi missilistici presenti e futuri dell'EPL, quel progetto di "guerre stellari" che, come ha permesso agli USA di vincere, solo con la sua enunciazione, la III guerra mondiale (virtuale) contro l'URSS, così in futuro dovrebbe permettergli di vincere senza colpo ferire anche la IV, altrettanto virtuale.

La conquista della parità militare con gli USA rappresenta la prova più ardua che la Cina deve superare per rendere stabile e definitivo il proprio inserimento non subalterno nella società mondiale del 21° secolo. I dirigenti lo sanno benissimo, specie dopo lo sgretolamento dell'URSS e della Yugoslavia e l'annessione dei loro frammenti all'impero americano, come lo sanno tutti i cinesi, tranne il pugno di agenti della CIA che anche la sinistra chiama "dissidenti". Per questo il recente impegno nella modernizzazione delle forze armate.

Una grande forza di attrazione

La posizione geopolitica della Cina, invece, mai è stata favorevole come in questo momento. Ai confini del Paese sono sprofondate la Russia e l'Indonesia e sono entrati in profonda crisi il Giappone e la Corea del sud. Quanto tempo passerà prima che il socialismo vittorioso della Cina cominci a dislocare politicamente, per attrazione, un capitalismo asiatico che si indebolisce ogni giorno di più? (vedi F. Sisci, "La Cina al centro dell'Asia", in "Limes", 1,'99) E quanto tempo di più perché la stessa cosa avvenga in Africa e in America Latina? E che autonomia resterà allora alle cittadelle europee e americane del capitalismo?

Cina o Stati Uniti

Nato in Europa con l'appello "Proletari di tutti i Paesi, unitevi!", il comunismo sembra essere definitivamente approdato al continente cinese, una comunità che per sopravvivere ha dovuto distruggere una civiltà cinque volte millenaria e che per non omologarsi e arrendersi all'Occidente ha come unica possibilità la creazione di una civiltà superiore a quella capitalistica. Solo una condizione storica senza più speranza poteva abbracciare fino in fondo il millenarismo comunista, così come la possibilità di praticare la più felice delle avventure individuali ha radicato negli USA un millenarismo capitalistico.

Comunismo o capitalismo si diranno, nel 21° secolo, Cina o Stati Uniti. Siamo arrivati molto lontano dalla forma prevista della rivoluzione comunista. Ma il destino, o la storia, questo ci hanno consegnato. Nessuno potrà sfuggire a questa alternativa, tanto meno gli ultrarivoluzionari che, incapaci di riconciliarsi con il loro proprio naturale destino, rischiano di crearsene uno peggiore come truppe ausiliarie del nemico.

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