Dalla Rifondazione del Comunismo
alla Rifondazione del Revisionismo

Ho sempre avuto dei dubbi sull’ambiguità dell’espressione "rifondazione comunista". Da quando, fondato il Partito, si è sempre rifiutato di chiamarlo Partito Comunista, (salvo un accenno nominalistico nel simbolo), prendendo a pretesto una necessaria "rifondazione", esigenza che scaturiva, a sentire i nostri dirigenti, dal fallimento dell’esperienza del novecento tanto dei partiti comunisti quanto del primo tentativo di costruzione della società socialista (l’URSS). E’ stato così che abbiamo atteso messianicamente che fosse avviato tale processo di rifondazione. Ora, tale attesa, che dura ormai da oltre dieci anni, pare che finalmente si avvii a conclusione, anche se quel processo avviene molto lentamente e in maniera discontinua. Un processo che io pensavo dovesse coinvolgere la base del Partito, oltre che i suoi dirigenti, tramite incontri, seminari, dibattiti, convegni ecc., attraversandolo in maniera profonda a tutti i livelli e coinvolgendo anche altri al di fuori delle nostre file. Povero ingenuo. Nulla di tutto questo. Ancora una volta il tutto si esaurisce nell’apprendere dai mezzi di informazione alcuni "strappi" che il compagno Bertinotti fa con la nostra identità e le nostre radici, con la tradizione e la storia dei Comunisti, che poi è la Storia dell’Italia democratica. Dopo l’abbandono di Gramsci, l’abiura di Lenin, la condanna di Stalin, dopo aver rinnegato la grande Rivoluzione d’Ottobre, ora tocca a Marx e a tutto il nostro patrimonio teorico e politico e alla Resistenza antifascista.

Con un duplice intervento, il primo sul Corriere della Sera sul problema della violenza e del terrorismo, il secondo concludendo un convegno sulle Foibe, organizzato dopo "l’abiura"(?!) da parte di Fini del fascismo, (evidentemente sentitosi "punto" dal conseguente attacco su tali questioni, le foibe appunto), il Rifondatore del Comunismo compie un ulteriore passo avanti, anzi indietro, affermando che "all’origine della crisi di civiltà c’è la modernizzazione capitalistica… che attraverso la guerra cerca di imporre le sue regole, le regole del mercato e dell’impresa… che compromettono il progresso e il benessere sociale e civile, le condizioni di vita degli uomini e della natura. Da qui nasce l’esigenza del Comunismo che per affermarsi deve rompere con tre idee forza del 900: 1) il soggetto rivoluzionario, che non è più il proletariato, o classe operaia, o lavoratori che dir si voglia, bensì il movimento no global; 2) nell’idea di comunismo non c’è alcuna attesa deterministica come quella su cui si è fondata parte importante della strategia dei partiti e degli stati post - rivoluzionari, ma al contrario si pensa al comunismo come processo aperto, non ineluttabile, che punti sulla lotta di classe piuttosto che sulla definizione di ciò che dovrebbe essere una società comunista. Infine, 3) la non violenza è la condizione essenziale per far vivere tutta la radicalità di quel processo che chiamiamo comunismo." In pratica egli afferma che il vero comunismo è la non violenza. Solo con la non violenza si potrà cambiare la società e affermando ciò ne consegue una condanna senza mezzi termini di tutti gli episodi e i fatti storici passati, compresi quelli della Resistenza, che siano stati caratterizzati dalla violenza. Questa viene accomunata al terrorismo e perciò chi si definisce comunista deve condannare sia il terrorismo che la violenza. Per quanto riguarda poi le Foibe, "il nostro", al convegno tenutosi a Venezia, condanna quegli episodi e accusa tutti quei falsi comunisti che in tutti questi anni hanno taciuto, sono stati reticenti, non hanno avuto il coraggio di ammettere quegli errori ed orrori.

Sottolineo subito che più che di una revisione storica e di una riformulazione del giudizio in senso neofascista dei fatti e delle circostanze che tra la primavera del 1943 e il maggio del 1945 caratterizzarono la guerra di liberazione in Venezia-Giulia, Istria e Slovenia, quella di Bertinotti è in realtà una sporca operazione politica e strategica tesa a rinnegare l’essenza stessa della Resistenza, del comunismo, del socialismo e dell’esperienza storica dal proletariato internazionale. Proprio come Occhetto che nel 1989 avviò la liquidazione del PCI attaccando la Resistenza e si servì di Otello Montanari per denunciare i cosiddetti "crimini commessi dai partigiani nel triangolo rosso’’, così oggi Bertinotti attacca le foibe per rompere definitavamente ogni legame con la storia del movimento operaio, sostituire alla lotta di classe e alla pratica rivoluzionaria l’imbelle ideologia pacifista, non violenta e interclassista con l’obiettivo di collocare il PRC apertamente e stabilmente nel campo della borghesia e del capitalismo e al fianco dei riformisti e dei revisionisti politici e storici in attesa di entrare a far parte di un futuro governo dell’Ulivo. Quale credito si può dare a uno che, come Bertinotti, dice di difendere la Resistenza, ma subito dopo si smentisce affermando che tuttavia non condivide i metodi di violenza rivoluzionaria usati dai partigiani? Eppure egli ben sa che la Resistenza è stata una guerra di popolo caratterizzata in ogni sua fase dalla violenza di massa rivoluzionaria contro gli oppressori nazi-fascisti. E che le cose stiano effettivamente così lo dimostrano le conclusioni del dibattito in cui, nel criminalizzare la gloriosa guerra di liberazione e i partigiani, si rendeva responsabile dell’ennesimo e gravissimo inganno ai danni della propria base affermando fra l’altro che il fascismo sarebbe definitivamente morto e che pertanto il nemico principale della classe operaia, degli sfruttati e degli oppressi non sono più l’imperialismo e il capitalismo, ma più in generale la guerra e il terrorismo, che si devono combattere "solo col pacifismo e la non violenza’’. "Il momento storico che abbiamo scelto per discutere della questione delle foibe - ha detto Bertinotti - vede da un lato l’accettazione che il fascismo è definitivamente morto, lo stesso Fini prende atto che quella storia è finita, e dall’altra l’antifascismo che si trova davanti due nuovi nemici: la guerra e il terrorismo’’. Come se la guerra e il terrorismo non fossero le due facce della stessa medaglia capitalista e imperialista. Mentre la violenza rivoluzionaria di massa e le lotte di liberazione dei popoli vengono assimilate e confuse ad arte col terrorismo.

Perciò a suo dire, occorre "ripensare la nostra grande, ma anche terribile storia’’ e quindi nell’ottica pacifista dobbiamo riconoscere che: "è vero che la tragedia delle foibe è stata marginalizzata dalla cultura di sinistra, ma è altrettanto vero che la nostra direzione di oggi punta a una riflessione che trae forza dalla nostra propensione per il pacifismo e dal desiderio di verità’’. "Le foibe sono una tragedia terribile che non ha giustificazioni’’. E quindi "deve essere studiata criticamente come una violenza in cui si sono combinati fattori terzi e certamente è stata determinata da una volontà organizzata’’. Pertanto, ha proseguito, "di fronte a questi fatti, come di fronte ad altri, non possiamo reagire in modo giustificazionista, dicendo cioè che l’avversario ha fatto comunque di peggio’’. Infine, la stoccata finale: "è la prima volta che affrontiamo questa questione a livello nazionale. Abbiamo vissuto per tanti anni pensando che la nostra parte fosse quella giusta. L’abbiamo angelicata pensandola come la guerra dei giusti. Invece ci sono delle zone d’ombra che oggi è necessario rimeditare in maniera critica’’.

In realtà non c’è da "rimeditare’’ un bel niente perché sulle foibe e su tutti gli altri episodi che hanno caratterizzato la gloriosa Resistenza dei partigiani contro il mostro nazi-fascista la storia ha già da tempo emesso il suo inappellabile verdetto.

Le foibe sono delle voragini situate sull’altopiano del Carso e profonde anche centinaia di metri in cui tra la primavera del 1943 e il maggio del 1945 furono gettati i cadaveri di circa 4 mila e 500 soldati nazi-fascisti, spie e collaborazionisti uccisi in combattimento o giustiziati dai partigiani italiani e jugoslavi durante la Resistenza. Le foibe non furono un "massacro indiscriminato’’’ una "pulizia etnica’’ e né tantomeno un "olocausto’’ come sostiene la peggiore feccia fascista a cui Bertinotti si presta a fare da spalla, ma fu la risposta della gloriosa lotta partigiana dei popoli italiano e jugoslavo che insieme lottarono strenuamente e pagarono un prezzo altissimo per porre fine a 20 lunghi anni di dittatura fascista, caratterizzati da atrocità e nefandezze di ogni genere e culminati con l’aggressione fascista del 1941 e la successiva occupazione nazi-fascista iniziata all’indomani dell’8 settembre 1943.

Per quanto concerne il problema della violenza poi, il compagno Bertinotti quanto meno confonde i suoi pii desideri con la realtà e dimostra tutto il suo idealismo opportunista. Veramente crede che la classe dominante, qualora la sinistra andasse al governo e si apprestasse ad intaccare i privilegi e le posizioni di potere, anche solo per creare le condizioni di una trasformazione della società in direzione del socialismo, si limiterebbe a criticare verbalmente tale politica? Nulla ha imparato dalla storia? Crede forse che i capitalisti spodestati gli stendano un tappeto rosso e lo invitino in allegria a costruire la nuova società in cui anche loro possano vivere con il frutto del loro sudore e non con lo sfruttamento degli altri?

Certamente il movimento operaio e dei lavoratori, in condizioni di democrazia formale borghese, opera con mezzi pacifici per raggiungere i suoi obiettivi. Ma ritengo totalmente errato e disarmante teorizzare la non violenza come principio di una forza politica che si pone l’obiettivo di abbattere, o anche superare, il Capitalismo. Certamente, senza fuor di dubbio, è necessario combattere il terrorismo come metodo di lotta controproducente di gruppi estremisti distaccati dalle masse. Lo stesso Lenin condannò suo fratello perché faceva parte di un gruppo terrorista russo; consideriamo che vivevano nella Russia Zarista.

I comunisti sono per la lotta di classe e questa la si fa con le masse; ma ciò non vuol dire che azioni violente in determinate circostanze non ci possano essere, come fu all’epoca della Resistenza o come tuttora avviene in Paesi dove si lotta contro un regime dittatoriale o contro l’imperialismo o per cacciare l’invasore come attualmente fanno gli Iracheni. E’ evidente che tali azioni vanno inquadrate in un contesto di lotta di massa particolare. Nulla a che fare con i gruppi terroristi di casa nostra che, ormai lo sanno anche i polli, sono oggettivamente al servizio delle forze reazionarie e borghesi anche se si ammantano di sigle rosse.

E’ sbagliato quindi accostare e identificare violenza e terrorismo in linea di principio.

Il compagno Bertinotti, folgorato sulla via di Damasco, all’indomani della sconfitta referendaria, si sta facendo bello agli occhi delle classi dominanti per poter accedere anche lui al governo del Paese. Li vuole rassicurare che il processo di Rifondazione del Comunismo in realtà è un processo di rifondazione del riformismo e del revisionismo. Il PRC, da quando i trotskisti hanno preso saldamente nelle loro mani il partito a tutti i livelli, si appresta a ridiventare un partito che richiama alla memoria i gruppi della ex nuova sinistra: verbalmente estremista in realtà opportunista. E’ una fine ingloriosa per chi aspirava, all’indomani della fondazione di tale partito, di risollevare la bandiera rossa del Comunismo ammainata definitivamente con lo scioglimento del PCI. Toccherà ai comunisti autentici, oggi dispersi in mille rivoli ma che non rinnegano le proprie radici, riprendere quel lavoro di ricostruzione del Partito che condurrà i lavoratori e le masse popolari alla trasformazione della società.

Martina Franca, 25/12/2003
Mauro Cipriano

Ritorna alla prima pagina