Aginform: articolare l'analisi

Lettera del compagno Cipriani

Cari compagni,

leggo da parecchio tempo Aginform che ritengo una delle poche autentiche voci di opposizione nell’oscuro panorama italiano. Vi scrivo dunque per comunicarvi il mio apprezzamento e il mio sostegno, ma anche per esprimere alcune valutazioni critiche, che invio come contributo alla discussione. Tanti sarebbero gli argomenti da affrontare, specifici e generali; perciò permettetemi di procedere un po’ a vista, evidenziandone alcuni senza pretese di organicità. Ho innanzitutto presente una fondamentale questione di metodo, che non si può ignorare: nell’attuale fase: gli elementi di complessità e di novità sono tali da richiedere un radicale rinnovamento di analisi. Facciamo i conti con contraddizioni i cui aspetti reali non troveremo facilmente nei sacri testi che siamo abituati a consultare. Abbiamo di fronte modelli antropologici che ci sono pressoché sconosciuti, ma sono quelli che agiscono politicamente e ci sconfiggono; sfoglio un catalogo per ragazzi dove magliette, orologi e tazze del Che sono reclamizzate insieme a coltelli da lancio, manette, berretti della Folgore, magliette a stelle e strisce e così via; leggo anche, quasi contemporaneamente, il dato del 60% di astensionismo giovanile nell’ultima tornata elettorale francese e il collegamento mi pare evidente. Le trasformazioni dell’economia mondiale - in termni che ci appaiono tanto veloci quanto sconcertanti e sfuggenti -, le innovazioni tecnologiche (che consentono fra l’altro speculazioni finanziarie solo pochi anni fa inimmaginabili), ciò che viene comunemente definito ‘globalizzazione’, sono cose reali, inerenti all’attuale processo di sviluppo delle forze produttive. Se le consideriamo semplicemente concetti propagandistici dell’imperialismo o invenzioni della ‘sinistra borghese’, ho il timore che ci si avvii a una lotta in cui siamo già battuti in partenza. Certo, su questi argomenti (e non solo) le mistificazioni del sistema di informazione sono colossali, e nostro compito deve essere smascherarle senza neppure minimamente accettare il terreno ideale imposto dall’avversario, inevitabile premessa di qualsiasi revisionismo: in questa prospettiva sta a mio avviso la peculiarità di Aginform e uno dei suoi meriti fondamentali. Non si tratta di negare la realtà (entrerei in contraddizione con quanto ho detto finora); si tratta di saper contrapporre al preteso orizzonte unico capitalista una lettura materialistica del presente in grado di individuare le contraddizioni fondamentali - inevitabilmente su un piano mondiale -, di spiegarle nei limiti del possibile e di farne il punto di aggregazione di un soggetto antagonista ancora sfocato e frammentato, almeno per chi non ha da riproporre formule immutabili. Credo che uno dei punti essenziali di riflessione dovrebbe essere quello dei rapporti fra contraddizioni locali e mondiali; a questo proposito, sono convinto che all’interno dello stesso movimento contro la globalizzazione ci siano forze che hanno colto alcune contraddizioni importanti in tutta la loro sostanza materiale, se non ancora da un punto di vista ‘scientifico’: forze che devono essere prese in considerazione. Non mi faccio illusioni sul tasso di soggettivismo dei movimenti esistenti nei nostri Paesi; penso piuttosto a iniziative e collegamenti in corso nel Sud del mondo, come per esempio tra Sem Terra brasiliani e contadini dell’India sulle tecniche di conservaizione dei semi non resi sterili; penso alle dinamiche dell’area caraibica dove la presenza di una delle più scomode testimonianze della storia del socialismo si scontra con uno dei più insidiosi progetti dell’imperialismo statunitense (il Plan Colombia) e con la questione del controllo delle risorse petrolifere venezuelane. E si potrebbe continuare con una quantità di altri riferimenti. Dobbiamo dimostrare la nostra capacità di individuazione, distinguendo tra chi si batte contro l’organizzazione mondiale della produzione capitalistica e chi non prende una posizione chiara o si limita a battaglie sovrastrutturali. Ma il problema non è fare in modo che le forze ancora disaggregate si riconoscano nell’identità marxista-leninista; arrivo a dire - e spero con questo di suscitare un’accesa polemica, ma lo spero benevolmente - che chi sostenesse una simile posizione sarebbe già uscito, senza rendersene. conto, dalla visione marxista-leninista. Il vero problema, credo, è che quelle forze si riconoscano all’interno dì una contraddizione fondamentale, discriminante, e che attraverso la crescita di questa consapevolezza possano progressivamente aggregarsi ed esprimere una progettualità politica. Il problema, tanto per fare l’esempio più attuale e disarmante (per noi), è come spiegare ai lavoratori indiani e pakistani - che magari producono componenti dello stesso manufatto elettronico - l’inutilità dell’ennesima guerra di religione, il suo carattere sub-imperialista funzionale agli interessi occidentali, il suo potere fuorviante rispetto alle contraddizioni della nuova organizzazione produttiva. Per fare questo, abbiamo bisogno di uscire dal dibattito storico - pur rilevante - sulla destalinizzazione o sul trotzkismo e di trovare i nuovi interlocutori. A noi sta individuarli e lavorare con loro in un lungo processo di analisi, di formazione della coscienza, di iniziative.

Roberto Cipriani

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