La crisi della sinistra e il destino del nostro Foglio

Ritengo che per coloro che non vivono solo di riti e di miti della sinistra, per quei compagni e quelle compagne, cioè, che hanno il senso dei dati oggettivi, sia ormai chiaro che la sinistra, tanto nella sua versione moderata che in quella che si definisce più radicale, sia in piena crisi di identità e di prospettive. Il cemento antiberlusconiano si è sfarinato, nonostante i generosi apporti di vasti settori sociali, di fronte all’insipienza e all’indecenza di una sinistra, o meglio di un centro sinistra, incapace di esprimere programmi e volontà politica all’altezza della sfida neofascista e imperialista portata dalla Casa delle libertà. Si diffonde quindi tra i compagni e le compagne la consapevolezza che la destra possa riuscire, nonostante tutto, a tenere, aumentando peraltro la sua aggressività anticomunista, mafiosa e imperialista.

L’alternativa alla destra, sia nella sua versione di centro sinistra che in quella che si definisce radicale, non riesce a determinare una linea di resistenza adeguata su nessuno dei punti determinanti dello scontro. La guerra, la demolizione delle istituzioni democratiche, le forme di resistenza operaia, la politica sociale del governo. Questo rende arrogante il blocco di destra e semina sfiducia tra i lavoratori e i ceti che si oppongono a Berlusconi. Dobbiamo domandarci il perchè di questa situazione e come uscirne.

Ci sono due aspetti della questione che vanno analizzati. Uno riguarda il centro sinistra e in particolare il blocco ulivista, l’altro la cosiddetta sinistra radicale o alternativa.

Partiamo dall’Ulivo o meglio da quella che si definisce Fed, dalla rissosità dimostrata da questo schieramento per questioni legate alle posizioni di potere e dalla deriva moderata sul programma, che ricalca le orme del primo governo di centro sinistra, quello delle leggi Berlinguer sulla scuola e Treu sulla flessibilità e della guerra alla Jugoslavia. Pilatescamente, Prodi a domanda risponde: vedremo una volta al governo ciò che c’è da cambiare nell’operato di Berlusconi. Se dovessimo valutare in termini matematici il programma della Fed dovremmo prendere la politica del governo e farci uno sconto del 20%. Delle pensioni neppure si parla. Se è necessario capire da subito e attrezzarci contro questa ‘alternativa’ ulivista, la questione prioritaria, anche questa da afferrare bene, è che di fronte alla destra siamo indifesi, non possiamo pensare di essere garantiti dalla politica che ci propone l’Ulivo. Il grande movimento antiberlusconiano si è infranto sugli scogli di un centrosinistra vischioso e inconcludente, che rischia di perdere le elezioni e di disperdere lo slancio che si è espresso contro il governo di destra. Rutelli e soci, in sintonia con la direzione DS, strizzano l’occhio ai poteri forti, Confindustria, Banca d’Italia, Chiesa, ecc. e procedono in perfetta sintonia con Bruxelles.

A coloro che si aggrappano alla sinistra ‘radicale’ per tentare di giocare su un tavolo truccato in partenza, parliamo ovviamente di quelli in buonafede, dobbiamo mostrare il bilancio di questo periodo per capire la debolezza e la subalternità del suo operato. Il saltimbanco Bertinotti è salito sul carro della GAD senza domandarsi in che direzione stava andando, mentre l’area critica del centrosinistra ha tentato all’ultimo momento di esprimere i propri mal di pancia con l’iniziativa del 15 gennaio a Roma. Nella sostanza, però, la situazione non si sblocca. Le truppe italiane rimangono in Iraq, il movimento è stagnante, la situazione sociale si incancrenisce, la destra rischia di vincere di nuovo. Si sta ripetendo in Italia la vicenda Bush-Kerry delle ultime elezioni americane, dove Kerry è il pensiero debole del centro sinistra.

Si dirà che i compagni e le compagne più avveduti queste cose le capiscono e qualcuno le scrive pure. Non dubito di questo, ma sono le conclusioni che contano. Perchè se è vero che stanno venendo al pettine i nodi politici del centro sinistra, non sembra affatto avviato il dibattito sulle prospettive della sinistra.

A mio parere tre questioni non sono state finora affrontate. In primo luogo l’inutilità di gestire i rapporti col centro sinistra dall’interno, accettando l’egemonia moderata o tentando di giocare, come si è detto su tavoli truccati. Bisogna dire a questo proposito, e chiaramente, che il centro sinistra non esprime la sintesi di un movimento reale contro la destra, ma la politica e le contraddizioni di forze moderate che sul terreno della politica internazionale e su quello sociale non hanno nulla a che fare con un programma di sinistra. Anche nello scontro con la destra, in secondo luogo, non c’è la forza dell’alternativa e anzi è la destra a dirigere l’orchestra, sulle foibe, sull’anniversario della memoria, sulle ‘elezioni’ in Iraq, sui parametri di Maastricht, ecc. Quindi, quei compagni che si adattano sempre sul meno peggio, ora sono serviti. L’unità si fa sempre sui contenuti e sulla forza che può esprimere, non sugli slogans generici. Questo ragionamento vale anche per coloro che ‘opponendosi’ dentro partititi come Rifondazione, lasciano che il timone rimanga in mano ai moderati.

E qui arriviamo alla conclusione vera del mio discorso. Difatti, se il ragionamento fin qui fatto è condiviso, occorre trarne la conclusione che in Italia c’è bisogno di un partito di classe, internazionalista, organizzato non parlamentaristicamente, che sia capace di dare forza e prospettiva a tutte le forze autenticamente di sinistra, alle lotte, alla volontà di pace di ampi strati della popolazione.

Per ottenere questo risultato occorre vincere la subalternità al moderatismo ulivista, troncare con l’equivoco della rifondazione comunista, uscire dal rivendicazionismo e da quella cultura ‘critica’ che non produce progetti e organizzazione. Da buone Cassandre andiamo ripetendo queste cose da molto tempo. Ora ci riproviamo in una condizione più chiara. Speriamo che si possa fare un passo in avanti, sennò il destino di Aginform è segnato. Stare nel coro non serve. Bisogna saper andare oltre.

Roberto Gabriele


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