I guasti del massimalismo

Non vogliamo fare i profeti di sventura. Non vi è nulla da profetizzare, la sventura è sotto i nostri occhi: prima o poi in seguito al catastrofico esito del referendum voluto da Bertinotti, la destra - ripreso coraggio - abolirà definitivamente, e per tutti i lavoratori, l’articolo 18.

Quando questo governo aveva osato attaccare l’art.18, la Cgil, grazie soprattutto a Cofferati, aveva scatenato una battaglia conclusasi con la più grande manifestazione politico-sindacale della storia della Repubblica. Questa manifestazione aveva spaventato il governo, e i propositi reazionari miranti ad abbattere le tutele giuridiche del lavoro dipendente erano stati ricacciati in gola a Berlusconi e soci. Aveva un bel provocare, il capobanda di Arcore, i tre milioni di lavoratori confluiti a Roma: lo schiaffo in faccia lo avevano sentito forte tutti, Governo e Confindustria. All’indomani di quel grande evento, di articolo 18 - almeno per un pezzo - non si sarebbe più sentito parlare. Ora invece, grazie sempre a Bertinotti, i nemici dei lavoratori stanno tirando un lungo respiro di sollievo e rimettono prontamente tutto in discussione. "Gli italiani - dicono col cuore colmo di gioia - hanno respinto la campagna fondamentalista iniziata da Cofferati". Oppure: "Adesso - afferma D’Amato - mi godo un’ora di soddisfazione dopo anni di terribile battaglia contro la demagogia" (di Cofferati, evidentemente). Gli fa eco il cosiddetto ministro del lavoro leghista: con il fallimento del referendum "è stato spazzato via definitivamente il fondamentalismo cofferatiano".

Come si vede, il "fondamentalismo" dell’allora segretario Cgil li aveva davvero inquietati e quindi costretti a fermarsi. Adesso procederanno a valanga sul "cammino delle riforme" e possono tranquillamente dichiarare, con spavalderia, di "voler completare la riforma sperimentale dell’art.18" (cioè abolirlo), attraverso l’approvazione di una legge, la 848 bis, che hanno tirato prontamente fuori dal cassetto dov’erano stati costretti a riporla.

Il referendum, dunque, ha distrutto gli effetti della più grande manifestazione avutasi in Italia dalla caduta del fascismo ad oggi, ha ridato slancio all’offensiva reazionaria e, cosa più grave di tutte, ha distolto l’attenzione dell’opinione pubblica dalle imprese guerrafondaie del governo italiano. Questa è l’amara realtà, tanto amara da indurre gli avventurieri referendari a dire un cumulo di falsità pur di non ammetterla. A Bertinotti principalmente, ma anche a quanti hanno proposto il referendum, si presentavano due alternative: o ammettere la bancarotta politica e trarne le conseguenze, oppure imbrogliare la gente, come fanno i magliari, capovolgendo la verità dei fatti.

Barenghi - che non è segretario di un partito ma il direttore di un giornale d’opinione sedi-cente comunista - se la cava incredibilmente con questo piccolo lamento: "Speriamo solo che il boomerang non ci torni in testa" (Manifesto del 17 giugno) che è una frase non solo falsa (nel senso che c’è poco da "sperare": i padroni parlano chiaro su ciò che intendono fare dopo il referendum fallito) ma è una frase anche abbastanza ipocrita, perché il boomerang di cui parla Barenghi non ricadrà sulla sua nuca, ma su quella di milioni di lavoratori salariati sul cui destino si è delittuosamente giocato.

Ma il più furfante, imbroglione e irrispettoso dell’intelligenza altrui è Bertinotti. "L’Ulivo - egli ha detto - è stato dimentico (!!) dei problemi giganteschi che una sconfitta avrebbe posto" (Repubblica del 17 giugno). Dunque egli sapeva bene che c’era il rischio di andare incontro a "problemi giganteschi" in caso di sconfitta, ma ha tentato ugualmente la sorte, ed ora, invece di prendersela con se stesso, impreca contro gli avversari ("dimentichi" di questi rischi) che non si sono comportati secondo i suoi desideri! Non è stato lui l’avventurista ma chi si è opposto al referendum (per buone o cattive ragioni non importa: bisogna saper valutare i legami che i partiti hanno con il loro elettorato prima di scatenare un referendum, altrimenti si è degli stupidi populisti). "Quella dei Ds - dice lo scaricabarile Bertinotti - è stata una scelta avventurista" (ibid.). E se furbescamente ha ammesso la sconfitta l’ha fatto solo per dare risalto all’eccellenza della propria linea politica: "Senza nascondere il dato della sconfitta - ha detto in Direzione nazionale - riteniamo che la scelta del referendum sia stata giusta". Esibizionista fino al narcisismo e lontano mille miglia da ogni possibile sentimento di umiltà, questo personaggio, che rinnova e arricchisce (per così dire) le tradizioni del massimalismo italiano, dimostra, in ogni svolta politica di una certa importanza, la sua costituzionale incapacità di saper costruire una determinata politica fondata sulle distinzioni di principio che occorrerebbe operare nel campo avverso. Per questo motivo si è sempre opposto a mettere al centro dell’agitazione politica la caduta del governo Berlusconi, e spesso nobilita le scelte del centro-destra ammantandole di significato politico-ideologico che non hanno. Come nel caso di Bossi, il quale, di fronte ad una sua criminale dichiarazione di cannoneggiamento di "clandestini" viene ridicolmente accreditato di "vedere nell’immigrato il nuovo vettore di una sorta di neo-illuminismo(!!)" (Liberazione del 29 giugno) anziché uno sporco negro da prendere a cannonate.

Bertinotti mette sullo stesso piano centro-destra e centro-sinistra e li vede in maniera indifferenziata come facenti parte del cosiddetto sistema dell’alternanza. A tutte le "difficoltà" della globalizzazione "si aggiunge - egli dice - quella imposta dal sistema dell’alternanza. Lo schema bipolare ti preme in continuazione sottoponendoti ad una domanda esasperante: a cosa servi, a cosa mi servi? In realtà, il regime di alternanza, che rimane un’espressione coerente dell’attuale sviluppo della globalizzazione, diviene un elemento demolente di un partito di alternativa" (Liberazione del 26 giugno). La domanda esasperante cui lo sottopone il cosiddetto sistema bipolare: a cosa servi? a cosa mi servi? è in effetti l’ammissione implicita di totale incapacità ad avere una politica concreta in una situazione storica data. Da qui l’enfasi posta su una fumosa "alternativa di sinistra" che è ancora più utopistica, chimerica ed ingannatoria della "via italiana al socialismo".

La batosta subita lo aveva spinto in un primo momento a rendere ancora più tesi i rapporti con il centro-sinistra. Poi il dibattito interno lo ha costretto, quindici giorni dopo, a mutar rotta. Sarà anche merito dei compagni dell’Ernesto, i quali però si sono imbarcati anch’essi nell’avventura fallimentare del referendum. Verrà un giorno in cui questi leninisti scaglieranno contro Bertinotti il celebre "Fino a quando abuserai della pazienza nostra?".

Amedeo Curatoli

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