Terrorismo e resistenza

La guerra è una cartina al tornasole, riduce progressivamente tutte le sfumature politiche intermedie, semplifica gli schieramenti e obbliga le forze in campo a schierarsi senza ambiguità (con gli Usa contro l’Iraq; oppure con l’Iraq contro gli Usa). Tertium non datur. Eppure, la sinistra cosiddetta antagonista ha escogitato un artificio da terza forza: né con gli Usa, né con l’Iraq. Qualche tempo fa su Liberazione comparve un vero e proprio panegirico della filosofia del "né con, e né con" di cui si rivendicava con orgoglioso autocompiacimento la paternità. E quando questa sinistra antagonista dice che la guerra e il terrorismo sono due facce della stessa medaglia, che l’una si nutre dell’altro, viene fuori l’artificio terzaforzista. Ma l’artificio è appunto tale, non riesce a camuffare che ci si colloca, di fatto, dalla parte dell’Occidente contro l’Iraq. Ieri i terzaforzisti dicevano né con Clinton né con Milosevic; oggi ripetono: né con Bush né con Saddam. Quando la violenza occupa la scena - è ciò che insegna la storia - la distinzione fra centro-destra e centro-sinistra si attenua fino a scomparire: alla vigilia della prima carneficina imperialista, per esempio, i riformisti votarono i crediti di guerra e si smascherarono, divenendo socialisti a parole, sciovinisti guerrafondai nei fatti.

Non c’è solo un neocolonialismo di destra dei Berlusconi e Fini e di centro-sinistra dei Rutelli e D’Alema, ma ve ne è anche uno che si ammanta di sinistra antagonista e che ha il suo principale rappresentante in Bertinotti. Non stiamo a ripetere le argomentazioni del compagno Losurdo (che qui pubblichiamo) sul ruolo, esso sì terrorista su scala planetaria, che quella specie di Quarto Reich costituito oggi dall’imperialismo americano esercita, per cui accreditare l’idea che gli Usa fanno una "guerra", mentre la Resistenza irachena contro quella "guerra" è "terrorismo", rappresenta un madornale errore politico lontano mille miglia da una posizione comunista.

Anche nelle tesi del prossimo congresso del Pdci vengono tenute ben distinte le categorie di guerra e terrorismo. "Dobbiamo sconfiggere il terrorismo" dicono le tesi. Siccome questo partito, sicuramente più del Prc, mantiene un certo legame con la tradizione del comunismo novecentesco, userà (presumibilmente in maniera dogmatica) gli argomenti che svolgeva Lenin, all’inizio del secolo scorso, contro il terrorismo dei Narodniki poiché esso danneggiava lo sviluppo di una forza rivoluzionaria di tendenza marxista organizzata in partito. Queste argomentazioni, che mantengono tutta la loro validità nella critica alle Br, non valgono più sugli scenari delle sanguinarie guerre Usa contro popoli oppressi. Già in un’altra epoca storica, cioè dopo la rivoluzione, fallita, del 1905, quando, come riverbero di una grande rivoluzione popolare sconfitta, si diffondevano in tutta la Russia azioni armate spontanee di ogni genere contro l’autocrazia, e lo stesso partito comunista (che allora si chiamava socialdemocratico) organizzava, militarmente, espropri e soppressioni di spie e di elementi della polizia segreta zarista, il grande dirigente bolscevico difendeva queste azioni dalle accuse indiscriminate di terrorismo che venivano mosse dagli opportunisti. Il marxismo, diceva Lenin in quell’epoca, lungi dal determinare in astratto, a tavolino, inedite forme di lotta, deve imparare, mettersi alla scuola (usava proprio questa espressione) di ciò che concretamente nasce, in un determina-to periodo, sul terreno della lotta armata (Lenin, op. complete vol 11° pag. 194 e segg.). E’ lo stesso incolmabile gap tecnologico-militare che induce i popoli in lotta contro l’imperialismo Usa ad "inventare" risposte militari efficaci con il minimo possibile di perdite. Quindi, nel vantarci di essere ligi ad un’ortodossia presunta, misconosciamo il concreto significato storico (progressista) della battaglia antimperialista che si svolge fuori dei confini d’Europa, e scivoliamo, pur ritenendoci di sinistra, nel pantano dell’ideologia del Popolo dei Signori.

Durante la Seconda guerra mondiale, quando l’Unione Sovietica reggeva l’urto terribile degli eserciti nazifascisti ed era alleata agli anglo-americani, nessuno avrebbe osato dire "né con Hitler, né con Stalin". Ci ha pensato il revisionismo storico dell’epoca successiva, il quale ha sistemato, per così dire, la nostra storia di Occidentali espungendo da essa gli orrori e le violenze del cosiddetto secolo breve sussumendoli sotto la categoria dei due opposti "totalitarismi": nazismo e comunismo. Rimosse queste due mostruosità può di nuovo riprendere il suo cammino, e risplendere in tutto il suo fulgore, la democrazia liberale.

Il revisionismo storico di destra può alimentarsi anche di robaccia del tipo Libro nero del comunismo. E non c’è dubbio che Bertinotti e Revelli (fondamentalista della non violenza) non lo sottoscriverebbero, ma solo per una questione di stile. Il loro revisionismo storico è più colto, più sofisticato. In un affettuoso scambio epistolare apparso su Liberazione (caro Fausto, caro Marco...) Revelli con un’audacia degna di Nietzsche va ben oltre il Secolo breve e dice che il "naufragio della politica" affonda le sue radici in Hobbes oltre che in Lenin. Infatti egli preconizza "una linea di ricostruzione dell’idea di politica oltre il naufragio di quella che chiamo ‘politica dei moderni’, (oltre ndr) il paradigma che da Hobbes a Lenin ha dominato il percorso della modernità". Qui Revelli sembra suggerire a Bertinotti di non attardarsi sulla demonizzazione di Stalin ( ritenuto, forse?, "l’inevitabile" continuatore del leninismo) ma mette in discussione tutto il "percorso della modernità" lungo il quale, oltre a Hobbes e Lenin si trova notoriamente anche Marx. E, inutile dire, il fulcro di questa innovativa "linea di ricostruzione dell’idea di politica" sarebbe la non violenza. Cosa su cui Berinotti è entusiasticamente d’accordo, ma fa notare al suo amico che si sta facendo strada un’altra grandiosa novità: "Credo che non ti sfugga, caro Marco, ai fini della costruzione di una cultura e di una pratica politica non violenta l’assenza in questo movimento (dei movimenti ndr) del problema della conquista del potere. Questa assenza estirpa alla radice una modalità di comportamento di tanta parte del’900". Quindi il movimento dei movimenti inaugura un Nuovo Evo che a partire dal terzo anno del Terzo millennio dell’era volgare "estirperà alla radice" una "modalità di comportamento" che ha rovinato il ‘900, cioè il maledetto vizio che avevano le classi oppresse e sfruttate di Russia e Cina, per esempio, di lottare per la conquista del potere invece di esprimere un antagonismo compatibile con le dinastie regnanti.

Scherzi a parte, com’è possibile che tanti, troppi compagni diano ancora credito e attenzione a queste colossali scempiaggini? Uno come Bertinotti può legittimamente leggere l’attacco degli USA all’Iraq come "due progetti di violenza ed aggressione ("guerra" e "terrorismo" ndr) che , in concorso fra loro portano alla guerra di civiltà". Ma che cosa ha a che fare tutto ciò con il comunismo, con il dovere internazionalista di schierarsi dalla parte di un paese sovrano aggredito dall’imperialismo Usa e martoriato da dieci anni di embargo? Perché non prova ad andarle a dire a Bagdad queste cose il rifondatore del comunismo? Uno come Bertinotti è arrivato ad affermare che se il Parlamento italiano ritirasse le truppe italiane dall’Iraq farebbe un atto di coraggio (!). Grazie ad una legge truffa il parlamento è saldamente nelle mani del centro-destra quindi l’appello al "Parlamento" è, in ultima analisi, un appello ai lacchè di Washington che hanno sulla coscienza i morti di Nassirya a compiere un atto di coraggio! Come può quest’uomo dire cose così gravi nella generale indifferenza dei compagni?

Amedeo Curatoli

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