La pericolosa equidistanza della sinistra imperialista

E’ apparso recentemente sul settimanale “Newyorker” l’articolo di un coraggioso giornalista americano, Seymour M. Hersh (che in passato svelò le torture dei militari Usa contro i patrioti iracheni detenuti nel carcere-lager di Abu Graib), nel quale viene spiegato nei dettagli, riportando affermazioni di alti ufficiali dei servizi segreti americani, come l’Amministrazione Bush stia attivamente preparando il bombardamento dell’Iran con conseguente possibile invasione di quel paese sia dal mare (dal Golfo Persico o dal Golfo di Oman) sia da terra (dall’Afghanistan o dall’Iraq). Ma si tratterebbe di un’avventura che potrebbe spingere il mondo sull’orlo di una catastrofe poiché non è da escludere - sempre secondo il parere degli alti ufficiali intervistati da Hersh - un contrattacco iraniano con missili a lunga gittata che l’Iran possiede. Del resto è facilmente comprensibile come l’ aggressione Usa all’Iraq abbia innescato febbrili preparativi di autodifesa e di contrattacco da parte dei paesi del cosiddetto Asse del male, in particolare quelli che oggi sono più direttamente a rischio di aggressione, cioè l’Iran e la Siria. E si comprende anche come la minaccia di estendere la guerra ad altri paesi, con la tracotante certezza dell’impunità, stia mettendo sul chi vive anche l’Europa comunitaria, la Cina, la Russia, l’India. Hersh denunzia il fatto che gli sforzi di mediazione che l’Europa sta facendo verso il governo iraniano sulla questione dell’armamento nucleare saranno fatti fallire dagli Usa. Ormai la macchina bellica americana è, in sostanza, tutta nelle mani del potere esecutivo con la pratica, totale esclusione di ogni possibile controllo da parte del Congresso e della Camera dei rappresentanti che verranno messi di fronte al fatto compiuto. Il disvelamento, da parte di Hersh, dei termini concreti in cui si dispiegherà la strategia militare dell’Amministrazione Bush, dovrebbe indurci, ancora una volta, a considerare il fatto che un giornalista americano può essere notevolmente più realistico di certi analisti politici di sinistra.

A tal proposito suggeriremmo di leggere (o di rileggere con maggiore attenzione) un articolo comparso su "Liberazione" il 20 gennaio scorso dal titolo “Bush fase due: il ritiro”, firmato da Immanuel Wallerstain. Vi si legge, a proposito dell’Amministrazione Bush che “resta ancora oscuro che cosa cercherà di fare in politica estera”, che però in Iraq le cose sono abbastanza chiare perché gli Stati Uniti “sperano che la lotta politico-militare in Iraq passi dalla situazione in cui i ribelli (i ribelli!) iracheni si scontrano con le forze di occupazione a quello in cui si scontrano invece con un governo iracheno eletto legittimamente”. Wallerstein, che evidentemente dà per certo il successo delle elezioni-farsa, prevede che “il nuovo governo iracheno opterà per essere più accentuatamente nazionalista (!!) per conquistare maggiore legittimità”. E se queste mirabili previsioni falliranno perché i ribelli (così li chiama ripetutamente Wallerstein) manderanno tutto a carte quarantotto? Allora è certo - dice questo analista di sinistra - che gli Usa si troveranno “sull’orlo di una reazione isolazionista". E dal momento che l’isolazionismo è sempre stato forte nel partito repubblicano, cominceremo ad assistere al fatto che gli stessi sostenitori del presidente spingeranno per il ritiro delle truppe, per cui - afferma il Nostro - "potremmo trovarci di fronte ad un’enorme svolta nella politica estera statunitense”. In che consiste questa svolta? Nel ridurre la presenza americana nel mondo. Ma “una volta ridottasi la presenza statunitense nel mondo - conclude spaventato Wallerstain - la situazione somiglierebbe a quella di un elefante che si ritiri da un salotto. Nessuno sa come riempire il vuoto”. Dunque una volta entrato nel salotto, meglio che l’elefante Usa ci resti, altrimenti, ritirandosi, farebbe maggior danno, lascerebbe scorazzare terroristi, ribelli, insorti, fondamentalisti e ayatollah.

Dando per scontata la buona fede di Wallerstein (il che andrebbe però a discapito della sua intelligenza), attribuire all’imperialismo il buon senso dell’individuo normale che dopo il primo calcio subito da un mulo trae la conseguenza ovvia di non prenderne altri, è stupido oltreché illusorio. Peraltro, se fosse vero che le classi dominanti hanno la razionalità ed il buon senso di imparare dai misfatti da esse compiuti, alla Prima guerra mondiale non sarebbe succeduta la Seconda, e davvero potrebbero essere presi in seria considerazione i propugnatori della teoria della “fine della storia”, e per le classi oppresse non vi sarebbe speranza di sovvertire l’ordine fondato sul dominio politico, economico e militare di ristrette élites. A meno che non ci si voglia cullare, oggi, nella dolce prospettiva dell’inevitabilità del trionfo del Bene sul Male, dell’attesa messianica di “un altro mondo possibile” a costo zero, predicando la nonviolenza e il pacifismo. Avallare, come fa Liberazione (della cui buona fede invece dubitiamo) le analisi di un Wallerstein, serve a far chiudere ostinatamente gli occhi sulla realtà della violenza dell’imperialismo americano, violenza che non è espressione di una particolare, inspiegabile, irrazionale malvagità dei ceti dominanti, ma della necessità storica di mantenere a tutti i costi l’attuale ordine mondiale fondato sulla spoliazione dei quattro quinti dell’umanità.

A.C.


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