Dibattito sulla transizione

Il significato della NEP

Ritorniamo sull’articolo “Note per una discussione sul socialismo” del compagno Sorini non tanto per intento polemico (che pure vi è, naturalmente) quanto per chiarire alcuni punti controversi. “Non è possibile - egli dice - rilanciare credibilmente la prospettiva del socialismo del XXI secolo se non si fanno i conti fino in fondo in modo rigoroso e non propagandistico, con l’esperienza complessiva del socialismo e del movimento comunista del ‘900“. Sorini parte dalla premessa che il socialismo in Urss, ammesso che di socialismo si sia mai trattato, non poteva non concludersi con un fallimento, per motivi di carattere “strutturale“, poiché la Russia era un paese arretrato e Marx invece aveva previsto il socialismo nei paesi capitalisticamente avanzati .

Questa premessa teorica “rigorosa“ contiene almeno un errore di fondo, di principio: esso consiste nel rimanere legati, dogmaticamente, alla nota previsione di Marx la quale, se appariva comprensibile e realistica un secolo e mezzo fa, è diventata un logoro dogma negli attuali fautori del “ritorno“ a Marx, i quali, pur di mantenere in vita quello schema si ostinano a rifiutare il fatto che la storia ha - per cosi’dire - sospinto il socialismo a oriente, sempre più a oriente. Non vi è dubbio che il trionfo del socialismo in occidente comporterà dei passi da gigante in avanti sia per quanto riguarda le conquiste economiche (ora inimmaginabili), sia per quanto riguarda nuove forme istituzionali di democrazia politica (anch’esse inimmaginabili). Ma riproporre l’idea che solo una vittoriosa rivoluzione nei paesi occidentali mostrerà al mondo un vero e compiuto socialismo che non avrà nulla a che vedere con quelle approssimazioni scadenti finora realizzate in Russia (e in Cina?), significa assumere un punto di vista eurocentrico, significa cioè parlare da “marxisti“ ricorrendo pero’ all’armamentario culturale del “Popolo dei signori“. Del resto, il sostrato ideologico della teoria disfattista di Trotski dell’impossibilità del socialismo in un solo paese (cioè in Urss) non affondava forse le sue radici nel dogma che solo l’occidente avanzato sarebbe stato in grado di mostrare la via di un “compiuto“ socialismo ?

L’Europa è stata liberata dal nazismo grazie ad un paese in cui era forte e stabile un regime socialista, un paese in cui tutti i popoli sovietici hanno volontariamente raddoppiato le loro giornate lavorative per fornire al fronte armi, vettovaglie e tutto cio’ che occorreva alle necessità della guerra. Hanno pagato, quei popoli, l’elevato prezzo umano di 27 milioni di morti. La furia hitleriana si è scatenata contro l’Urss proprio perché quel paese era la patria del socialismo. Dunque è grazie al socialismo se noi, continente europeo (e quale altra parte del mondo ancora?) siamo scampati al pericolo di rimanere immersi (per quanti anni e decenni ancora?) nella barbarie di un pangermanesimo nazista. Ma evidentemente questo non basta a Sorini né ad alcuni altri compagni i quali - senza alcun timore di cadere nel ridicolo - si sono messi a “studiare“ se in Urss c’è stata oppure no la cosiddetta transizione.

Per dare consistenza alle sue premesse teoriche rigorose e non propagandistiche, Sorini è costretto a falsificare il pensiero di Lenin. Egli dice che “l’ultimo Lenin intendeva dare alla Nep (nuova politica economica) un carattere “strategico“. Sorini immagina che Lenin - se non fosse morto nel ’24 - avrebbe fatto questo tipo di ragionamento: siccome l’Urss è un paese arretrato e la rivoluzione in occidente tarda, la “transizione“ sarebbe stata lunghissima e quindi l’economia sarebbe stata caratterizzata dalla “compresenza di piano e mercato, di pubblico e privato, di elementi di socialismo e di capitalismo“. Prima di dimostrare la completa falsità di questo “pensiero“ attribuito a Lenin, vediamo un attimo che cosa fu effettivamente la Nep. Essa venne definita al X congresso del partito bolscevico e consisté nel sostituire il sistema dei prelevamenti delle eccedenze agricole con l’imposta in natura. L’ammontare dell’imposta doveva essere reso pubblico prima delle semine, e le scadenze dei pagamenti (in natura) andavano definiti in maniera precisa, senza nessun tipo di arbitrio. Una volta pagata l’imposta in natura, tutto il rimanente era a piena disposizione dei contadini. La vittoria nella guerra civile contro le armate bianche fu possibile grazie ad una politica di estremo rigore che fu detta comunismo di guerra. Le masse di milioni di contadini si assoggettarono di buon grado ai prelievi forzosi dei loro prodotti perché comprendevano perfettamente che la vittoria della controrivoluzione guidata dai generali bianchi Kolciak e Denikin avrebbe significato per loro un ritorno alle spaventose condizioni di vita dell’epoca zarista . Ma una volta conseguita la vittoria e salvato il potere dei Soviet, una politica, giusta in periodo di guerra, si sarebbe trasformata nel suo opposto se non fosse stata tempestivamente cambiata. Nei riguardi di quel radicale mutamento di linea (la nuova politica economica, appunto, che sostitui’ il “comunismo di guerra“) gli ultrasinistri gridarono al “tradimento del socialismo“ e gli opportunisti di destra esprimevano idee molto simili a quelle che Sorini attribuisce a Lenin. In effetti la Nep servi’ a consolidare l’alleanza fra operai e contadini, essa rappresento’, anche in quell’occasione, un arricchimento della tattica bolscevica, che è stata costantemente imperniata sulla ricerca, nelle condizioni storiche date, prima e dopo l’Ottobre, sull’alleanza, appunto, della classe operaia con i contadini. Lenin dimostro’ in uno dei suoi primi grandi lavori teorici, in polemica con i populisti, che nel suo paese si era ormai instaurato, sia pure nelle condizioni che differenziavano radicalmente la Russia autocratica dai paesi occidentali, un regime capitalistico, nel quale tuttavia continuava ad avere un peso assolutamente preminente il mondo contadino. Per questo motivo, una delle peculiarita’ e dei fondamenti della rivoluzione d’Ottobre è consistita nell’individuare, di volta in volta, a seconda delle fasi storiche che attraversava la rivoluzione, una giusta politica di alleanza operai-contadini, pena la sconfitta della rivoluzione stessa .

La Nep fu un momento di arresto, una pausa per prendere respiro nella marcia in avanti per l’edificazione del socialismo, essa non ebbe e non poteva avere un carattere strategico (come la Lunga marcia dei comunisti cinesi in seguito alla controrivoluzione del ’27) perché non fu la conseguenza di una sconfitta ma di una vittoria. E la vittoria contro i Bianchi sbalordi’ il mondo e lascio’ gli imperialisti con la bocca aperta, perché quella vittoria rivelo’ la potenza politica e di conseguenza militare del potere dei Soviet. Fu proprio Lenin, a differenza di quello che arditamente gli attribuisce Sorini, a dichiarare, esattamente un anno dopo l’inaugurazione della Nep, all’XI congresso del Pcb, che “la ritirata era finita“, e lancio’ la parola d’ordine “preparare l’offensiva contro il capitale privato nell’economia“. Egli dichiaro’:

“Per un anno ci siamo ritirati. Ora a nome del partito dobbiamo dire: basta! Lo scopo perseguito con la ritirata è stato raggiunto. Questo periodo sta per terminare o è già finito. Ora ci si pone un altro obiettivo: raggruppare le forze“ (Op.scelte, II vol., pag.760-Mosca-1948). Raggruppare le forze, dunque, non per una “compresenza di piano e mercato“ di “pubblico e privato“, di “socialismo e capitalisno“ (Sorini), ma per “preparare l’offensiva contro il capitale privato“ (Lenin).

Stalin, che non solo condivise in pieno ma contribui’ a definire la linea bolscevica della Nep, eredito’ la parola d’ordine “preparare l’offensiva contro il capitale privato nell’economia“ e si accinse ad attuarla. Dal ’26 al ’29 dopo la disfatta politica del capitolazionismo trotskista, inizio’ la fase storica dell ‘industrializzazione socialista e della collettivizzazione dell’agricoltura che rivelo’ al mondo la superiorità della pianificazione centralizzata rispetto all’anarchia dell’economia capitalistica. Il clima di concordia e di entusiasmo fu testimoniato dal libro di una giornalista americana che comunista non era (Anne Louise Strong), libro scomparso dalle biblioteche degli Stati Uniti, e che forse Sorini giudicherebbe “propagandistico“. Di fatto, egli legge questa svolta mondiale dell’Urss con gli occhi di un liberale, dice che l’indistrializzazione fu accelerata, che la collettivizzazione fu forzata, che il prezzo umano fu elevatissimo, che si tratto’ di un modello di statizzazione pressoché integrale fondato sul partito unico/partito stato (avrebbe forse preferito il partito di Kerenski accanto a quello di Lenin?); dice ancora che quel modello dirigistico e gerarchico “si dimostro’ inadeguato a reggere la competizione col capitalismo e con la sua impetuosa rivoluzione tecnico-scientifica“. Da notare: descrizione a fosche tinte dell’Unione Sovietica (che davvero, essa si’, fu capace di un’impetuosa rivoluzione tecnico-scientifica) a cui viene contrapposto un quadro radioso del capitalismo “rivoluzionario“. Ma la perla più fulgida nella sequela delle liberali lagnanze soriniane è l’accusa, rivolta all’Urss di quell’epoca, di “ militarizzazione del pensiero“. Cosicché la grandiosa battaglia teorica del partito bolscevico contro i trotskisti, i “Principi del leninismo“, le “Questioni del leninismo“, i “Problemi economici del socialismo in Urss“ che costituiscono un patrimonio teorico del pensiero marxista del XX secolo sono declassati a pensiero “militarizzato”.

Il rigoroso pensiero soriniano non si ferma a questo: nel mentre esso delinea una netta discontinuità Lenin-Stalin, allo stesso tempo stabilisce un’altrettanto netta continuità Stalin-Krusciov. Ma qui occorre una breve digressione. La dialettica marxista (che Lenin defini’ “la più completa dottrina dello sviluppo“) dovrebbe insegnare a cogliere quei momenti di svolta, nella storia, che determinano mutamenti radicali, punti di non ritorno, salti di qualità. Una simile “dottrina dello sviluppo“ si differenzia radicalmente dall’evoluzionismo perché quest’ultimo, non riconoscendo le rotture, i cambiamenti repentini, le discontinuità, fa derivare, in un processo di sostanziale linearità, una situazione storica dall’altra. Inoltre, se il materialismo storico pone come fattore primario la struttura e come elemento derivato la sovrastruttura, questo rapporto “gerarchico“ fra i due termini non deve essere inteso dogmaticamente come un dato immutabile: puo’ accadere che in determinate, eccezionali situazioni storiche il rapporto di dipendenza struttura-sovrastruttura si capovolga. E’ cio’ che è avvenuto in Urss nel 1956: la svolta kruscioviana del XX congresso ha rappresentato una controrivoluzione ideologica mascherata da un attacco al “culto della personalità“ per un annunciato (e falso) ritorno al “leninismo”. Non è affatto vero che che le condizioni “strutturali” fossero del tutto mature perché una “borghesia“ già bella e formata prendesse il potere. Quello di Krusciov fu un colpo di stato accuratamente preparato e portato a compimento con estrema decisione e tempestività (si vada a leggere, Sorini, la documentazione storica di quell’evento fornita da Ludo Martens). Sia il Pcus che tutti i partiti comunisti invitati alla sessione in cui fu letto il famigerato rapporto segreto furono messi di fronte al fatto compiuto, e alla vecchia guardia rimasta fedele a Stalin tocco’, inspiegabilmente, il compito inglorioso di tacere vigliaccamente. Per fare un colpo di stato non occorrono necessariamente i carri armati nelle strade: il contenuto stesso del rapporto segreto era golpista, poiché la delegittimazione con attacchi violenti e inauditi alla figira del principale artifice dell’edificazione socialista in Urss, si risolse, in ultima analisi, nella delegittimazione del socialismo stesso. E noi oggi paghiamo ancora amaramente le conseguenze di quell’ignominioso rapporto controrivoluzionario che riusci’ ad infangare, con un cumulo di falsità sull’"idiota“ Stalin, finanche la vittoria antinazista conseguita nella Guerra patriottica.

La controrivoluzione revisionista del XX congresso, denunziata senza mezzi termini dai soli partiti comunisti cinese e albanese (che pagarono duramente la loro aperta condanna del krusciovismo) fu il germe che ha portato, progressivamente e irreversibilmente, alla distruzione dell’Unione Sovietica. Anche il Pci, al suo VIII congresso, compi’ una svolta ideologica, una svolta controrivoluzionaria (nel senso letterale del termine), che tradusse in lingua italiana la “coesistenza pacifica“ kruscioviana e varo’ una nuova linea, la cosiddetta via italiana al socialismo fondata su “riforme di struttura“ che nessuno ha mai visto, linea che ha condotto, anch’essa, alla distruzione del Pci. Ma nello schema analitico di Sorini la via italiana al “socialismo“ fu un esperimento interessante e innovativo, che ando’ incontro al fallimento non perché fosse una strategia antileninista ma …a causa delle “rigidità ideologiche“( !) della Guerra fredda. Sarebbe interessante sapere dove si trovavano quelli che ridono del colpo di stato kruscioviano all’epoca in cui Togliatti, divenuto la punta di lancia dell’attacco anti-Pcc, con toni arroganti che sfioravano il razzismo eurocentrico accusava i comunisti cinesi di porre all’avanguardia della lotta per il socialismo non “i paesi socialisti o il proletariato internazionale, ma le masse contadine dei paesi sottosviluppati“, di essere “in fatalistica attesa della guerra“, di “giocare con l’idea catastrofica della guerra“.

La svolta kruscioviana porto’ all’immane tragedia della rottura del campo socialista, agli scontri armati sull’Ussuri con la Cina socialista, apri’ varchi insperati all’imperialismo americano. Nel maggio 1963 Kennedy e i suoi ministri della difesa (McNamara) e degli esteri (Rusk) discussero la possibilità del bombardamento atomico della Cina senza dare alcun peso all’eventualità di una reazione dell’Urss, quasi che ne avessero avuto un tacito assenso. Dissero che bisognava evitare un “effetto domino“, che occorreva prevenire (nell’ipotesi di nuove crisi militari Cina-India) che anche in India si instaurasse il comunismo. McNamara dichiaro’ che “un attacco della Cina in qualsiasi parte di quest’area (alludendo a possibili scontri di frontiera con l’India) avrebbe come conseguenza l’uso di armi nucleari da parte degli Usa, ciò che è preferibile a un impiego massiccio, sul territorio, di nostri soldati “ (N.Y.Times, 26 agosto 2005).

Non dovrebbe essere difficile capire il carattere non fortuito del perché viene resa nota proprio ora questa terribile minaccia contro la Cina di cui alla Casa Bianca si parlo’ come di un’ordinaria opzione militare (quindi i comunisti cinesi non “giocavano con l’idea catastrofica della guerra“ come vergognosamente disse Togliatti, ma a “giocare“ con la guerra termonucleare contro la Cina era l’imperialismo Usa). Quante altre volte nei summit della Casa Bianca si sarà piacevolmente conversato di attacchi atomici senza che siano stati resi pubblici i nastri di quelle “conversazioni“? Gli Usa, che si sentono invincibili come ieri i nazisti, hanno inteso far sapere al mondo in modo molto esplicito che non escludono l’uso dell’arma atomica, e soltanto un socialdemocratico puo’ relegare nel campo delle ipotesi tanto orrende quanto irrealizzabili l’eventualità di una guerra atomica. Diciamo questo consapevoli del rischio di essere accusati, anche noi, di “giocare con la guerra“.

L’idea che viviamo nell’epoca storica del crollo dell’imperialismo (e a questo porterebbe una guerra atomica scatenata dagli Usa) viene cobattuta da ogni tipo di opportunisti. “Sappiamo che la formazione delle società capitalistiche è il frutto di un lungo processo storico di transizione durato alcuni secoli. Non si comprende per quale magia la costruzione compiuta (?) del socialismo …dovrebbe avvenire in tempi brevi “. Da questa poderosa sintesi marxista-evoluzionista deriva la linea che Sorini-Giobbe traccia per i prossimi secoli: un futuro di coesistenza fra progresso e reazione, e l’approdo pacifico a “equilibri più avanzati“, cioè una via italiana al socialismo su scala planetaria.

Amedeo Curatoli


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