Sinistra occidentale

Le radici del pensiero debole

Nella prima guerra del Golfo gli Usa riuscirono a compattare la cosiddetta comunità internazionale sulla legittimità dell’attacco all’Iraq. Le cannoniere dell’epoca coloniale furono poca cosa di fronte al tiro a segno contro la vittima designata, e la potenza di fuoco americana la vedemmo in diretta tv: non più war game, ma guerra (anzi aggressione) vera, e veri missili, a centinaia, che sventravano luoghi abitati e facevano stragi di civili. Nel torrido deserto kuwaitiano che non offriva scampo, i militari iracheni in rotta e incapaci di difendersi vennero massacrati dall’alto con bombe al napalm, e i soldati sopravvissuti furono mostrati ai piedi dei marines mentre imploravano misericordia e baciavano loro le mani. Questa scena di umiliante sottomissione verso un esercito che vuole dettar legge a tutto il mondo e che calpesta, incurante e impunito, anche quel minimo di “regole” (già di per sé ridicole) che dovrebbero presiedere al “corretto”(!) svolgimento di una guerra, questa scena di umiliante sottomissione, dicevamo, deve aver provocato una sensazione di profonda vergogna in milioni di persone minimamente sensibili e minimamente progressiste. E il sentimento di frustrazione e paura verso la potenza tecnologico-militare dispiegata dall’imperialismo Usa, potenza apparentemente irraggiungibile, può aver alimentato un profondo pessimismo sulla possibilità di un riscatto dall’imperialismo e dal flagello della guerra.

In quella occasione, in un breve saggio di indubbio valore letterario, un noto intellettuale di sinistra (Asor Rosa: “Fuori dall’Occidente” editore Einaudi, pagg.125) affermò che “se finora ci si sforzava di pensare il possibile onde diventasse reale, oggi si può pensare il reale come l’unico possibile”. In Asor Rosa risultò evidentemente rafforzata la convinzione secondo cui “il modello umano-naturale comporta di sua natura l’indefinita accettazione di tutte le disuguaglianze sociali” (pag. 6), e data l’eterna immutabilità della cosiddetta natura umana, ad un’opposizione di sinistra, ammesso che sia possibile d’ora in avanti parlare ancora di sinistra come che sia, non rimarrà altro da fare che difendere cause nobili ma già votate al fallimento: “Quando tutto il resto del mondo - egli disse - tende a ricongiungersi e a unificarsi con il suo centro, (evidentemente gli Usa, ndr) all’opposizione può restare il compito della difesa degli interessi marginali, delle situazioni arretrate, delle minoranze in declino, delle cause nobili ma perse” (pag. 7). Il dominio incontrastato e incontrastabile di cui gli Usa diedero prova in quella guerra indusse il nostro autore a volgere retrospettivamente lo sguardo anche verso “l’esperimento umano tentato con la Rivoluzione d’Ottobre” per riconsiderare quel grande evento della storia dell’umanità in una luce radicalmente negativa: “Nella Storia - egli scrisse - anche il Bene, manifestato in grandi dimensioni, preso a grosse dosi, diventa Male… Trasformare i convincimenti di una retta coscienza nell’identità di un popolo, di una nazione, di una massa, è l’impresa più difficile che ci sia: quelle rare volte che si realizza, essa non è che il punto di partenza di un processo di irredenzione, perversione e caduta verso il basso, fino ad un punto in cui quella retta coscienza, se ancora sopravvive, non oserà neanche domandarsi, inorridita, come mai abbia potuto cedere alla tentazione di avviare quel processo in nome dei propri sacrosanti ‘principi’” (pag. 60).

Non dimentichiamo che Asor Rosa era uno del Pci, e che deve aver plaudito a Krusciov e alle di lui denunzie (fornite in anteprima alla Cia) della “irredenzione”, della “perversione” e della “caduta verso il basso” dell’era di Stalin (ma Krusciov era troppo rozzo per usare un linguaggio così aulico; disse, più terra terra, che Stalin era un “sanguinario” e un “idiota”). Dunque, conclude sconsolatamente Asor Rosa, “non ci sarà mai più un governo degli sconfitti” dato che “qualsiasi forma di potere” è “Magna Meretrix”, è la Grande puttana della storia, e “l’utero sozzo della Storia produce solo mostri” (pag.77).

Ci soffermiamo sul saggio di Asor Rosa perché esso esprime, senza mediazioni e furbizie politiche, nella forma elegante dell’accostamento fra l’attualità dei nostri tempi e la predicazione neotestamentaria dell’evangelista Giovanni, la summa ideologico-filosofica della “sinistra” occidentale. E’ un’ideologia, una filosofia, una cultura marcia fin nelle midolla, è la cultura della resa all’imperialismo, della resa alla reazione mondiale, è la cultura dell’abiura del marxismo che in Asor Rosa assume le sembianze di un ritorno all’Apocalisse, di un ritorno ai testi sacri di duemila anni fa i quali ultimi, se conservano un loro grande valore perché narrano delle predicazioni sovversive del cristianesimo della prima ora fatte a rischio del martirio, riportarle in auge oggi per giustificare l’acquiescenza all’eterno dominio delle forze reazionarie mondiali e predicare l’inanità delle rivoluzioni (anche il Bene, incarnato nella Storia diventa Male), tutto ciò significa non solo tradire il marxismo, ma fare del Nuovo Testamento una lettura metastorica dove il tempo diventa una categoria pietrificata, un tempo lunare, senza storia, senza vita, uguale a se stesso nei secoli e nei millenni. Questa cultura, essa sì, e non “il potere” in quanto categoria eterna e indifferenziata, è l’utero sozzo che ha generato gente come D'Alema, il quale, complice di una guerra scatenata nel cuore dell’Europa, continua a fare servilmente il verso ai signori imperialisti d’oltreoceano, ed afferma, assumendo ridicole pose da “statista”, che bisogna difendere i “nostri valori” anche con l’uso legittimo della forza.

Sembrava che la fine dell’Urss avesse aperto una nuova terribile epoca (di decenni? di secoli?) di incontrastato dominio mondiale da parte di un imperialismo (quello Usa) baldanzoso, aggressivo e onnipotente che poteva fare guerre preventive (preventive!) a suo piacimento e preventivamente terrorizzare intere nazioni inserendole in una sorta di lista di proscrizione planetaria dal titolo “Stati canaglia”. E tutto ciò all’insegna dei cosiddetti diritti umani e della salvaguardia dei “nostri valori” di cui si fa paladino - come dicevamo - anche lo statista D'Alema. Un intellettuale giapponese cui mancava, evidentemente, il senso del ridicolo, decretò, in quel periodo di trionfo planetario americano “la fine della storia”.

Ma la storia non ha impiegato gran che a rimettersi in movimento. Ora c’è la seconda guerra all’Iraq e l’imperialismo Usa vi si trova completamente impantanato: il suo esercito, a dispetto delle trionfalistiche previsioni della vigilia, sta pagando un duro prezzo di sangue grazie ad una Resistenza che cresce progressivamente e che non dà tregua né agli invasori né ai fantocci da essi manovrati. Il recente disastro di New Orleans, in cui morirono, a migliaia, i poveracci e gli emarginati di pelle nera impossibilitati ad abbandonare in tempo le loro miserabili catapecchie, mise a nudo il razzismo, l’inettitudine e l’impotenza da Terzo mondo del “capitalismo maturo” americano. Ma quella tragedia nazionale ha prodotto il risultato di estendere ed amplificare, nell’opinione pubblica americana, l’opposizione alla guerra. Oggi la Resistenza irachena (come ieri quella vietnamita) sta dimostrando ancora una volta che è possibile, nonostante le perdite subite, fermare la macchina bellica Usa e assestarle duri colpi. Nella guerra del Vietnam, contro una perdita di 51.000 militari americani vi furono 3.000.000 di morti vietnamiti (in maggioranza civili) vale a dire un rapporto di 1,7 a 100. Sta in queste cifre storicamente accertate il carattere terroristico delle aggressioni Usa. Il dovere internazionalista di chi si richiama al comunismo dovrebbe essere quello di schierarsi, incondizionatamente, prima di ogn’altri, dalla parte di un popolo del Terzo mondo aggredito da una superpotenza reazionaria e sostenerne la lotta, qualunque sia la veste ideologica di cui si ammanta quella lotta medesima.

Harold Pinter, drammaturgo inglese premio Nobel 2005 per la letteratura, ha fatto uno straordinario discorso in occasione della cerimonia ufficiale per la consegna del premio. Egli, nel suo implacabile atto di accusa nei riguardi degli Stati Uniti, ha rinnovato la tradizione dei grandi scrittori e filosofi occidentali che furono capaci di essere e sentirsi cittadini prima ancora che letterati, allorquando si esposero in coraggiosissime prese di posizione pubbliche contro i misfatti dei governi borghesi delle loro epoche. Pinter afferma che un compito fondamentale, “imperativo” che sta di fronte alla gente, è quello di sottoporre la politica estera degli Usa (dal II dopoguerra in poi) ad un rigoroso esame, che dei crimini commessi dagli Stati Uniti in questo periodo se ne ha solo una conoscenza approssimativa perché sono poco documentati e quindi non li si considera, in ultima analisi dei veri e propri crimini. Ha elencato le dittature militari di destra che gli Usa hanno sostenuto o direttamente fomentato in Indonesia, Grecia, Uruguay, Brasile, Paraguay, Haiti, Turchia, Filippine, Guatemala, Salvador e Cile. “L’orrore che gli Stati Uniti hanno inflitto al Cile nel 1973 non potrà mai essere espiato né potrà mai essere perdonato”. Ha ricordato che gli strateghi di Washington, seguiti servilmente dall’Inghilterra “pecora belante patetica e sottomessa” sono passati dai “conflitti a bassa intensità” alla strategia “Full spectrum dominance” che significa controllo delle terre, dei mari, dei cieli e delle risorse. Ha denunciato il fatto che gli Usa hanno basi militari in 132 paesi del mondo, che detengono 8000 ogive nucleari attive e che stanno sviluppando nuovi sistemi di armi nucleari sotto il nome di “bunker buster” (per distruggere rifugi profondamente scavati). “Contro chi, mi domando, sono puntate? Osama Bin Laden? Voi? Me? Pinco Pallino? La Cina? Parigi? Chi lo sa? Ciò che sappiamo è che questa follia infantile - detenere armi nucleari e minacciare di usarle - è il cuore della filosofia politica americana attuale. Dobbiamo ricordarci che gli Stati Uniti sono in permanenza sul piede di guerra e non lasciano intravedere, in materia, alcun segno di distensione”. Ha definito l’invasione dell’Iraq un atto di banditismo, di autentico terrorismo di Stato che ha dimostrato il disprezzo assoluto per la nozione stessa di diritto internazionale. “Abbiamo inflitto al popolo iracheno la tortura, le bombe a frammentazione, l’uranio impoverito, innumerevoli delitti commessi a caso, la miseria, l’umiliazione e la morte, e chiamiamo tutto ciò: ‘portare la libertà e la democrazia in Medio Oriente’ “. “I crimini commessi dagli Stati Uniti sono stati sistematici, costanti, violenti, spietati…ma riconosciamo all’America di aver saputo manipolare tanto bene l’opinione pubblica che si è fatta passare per una forza che agiva nell’interesse di un bene universale. Un caso d’ipnosi geniale, per non dire spirituale, e terribilmente efficace”. Di Bush e Blair ha detto che andrebbero deferiti alla Corte internazionale di giustizia come criminali di guerra. E se Bush è stato furbo perché non ha voluto ratificare l’atto istitutivo di questa Corte “Blair invece lo ha fatto e può quindi esservi deferito. Possiamo comunicare il suo indirizzo alla Corte se ciò le interessa. Abita al n° 10 di Downing street, Londra”.

Ha terminato il suo atto di accusa con un appello accorato: “Io credo che malgrado le enormi difficoltà esistenti, essere intellettualmente risoluti, avere una determinazione feroce, stoica, indistruttibile nel definire, in quanto cittadini, la reale verità delle nostre vite e delle nostre società è un obbligo morale che incombe su tutti noi. Ed è anche un imperativo. Se questa determinazione non si incarna nella nostra visione politica, non abbiamo alcuna speranza di restaurare ciò che stiamo definitivamente per perdere: la nostra dignità di esseri umani”.

Oseranno Oriana Fallaci e tutte le canaglie che plaudono alla difesa dei valori “cristiani” contro la “barbarie” musulmana definire Harold Pinter un antiamericano? Ma poniamoci anche un’altra domanda: nel nostro parlamento, dove siedono nutrite pattuglie di deputati di due partiti che si richiamano al comunismo abbiamo mai ascoltato una denuncia così forte contro i crimini Usa nel mondo? Non sarà che dall’ipnosi di cui parla Pinter sono affetti anche Cossutta e Bertinotti? Tutto ciò che ci ricordiamo è che recentemente il primo ha definito l’America “una grande democrazia” e ancora più recentemente il secondo ha affermato che noi siamo leali alleati degli Usa. Non soffriamo della malattia estremista dell’astensionismo, sappiamo che c’è una distinzione di principio fra centro-destra e centro-sinistra, desideriamo anche noi ardentemente che la banda di mascalzoni guidata da un mascalzone sia scacciata dalla guida del Paese. Tuttavia non c’è da farsi nessuna illusione su radiose prospettive di governo di centro-sinistra, perché sulle faccende essenziali che riguardano l’Italia - e una di queste è costituita dai rapporti con gli Usa - non cambierà nulla. I due partiti che si richiamano al comunismo, incapaci di spingere lo sguardo oltre l’orizzonte del parlamentarismo esauriscono la loro azione, insieme ai Rutelli Prodi e Dalema, in liti condominiali per la conquista dell’amministrazione del decrepito edificio borghese. Essi tacciono sulla scottante verità che la “fedeltà atlantica” si trasformerà in una iattura per il nostro paese, che l’Italia è un deposito di bombe atomiche americane, che i nostri rapporti con Washington sono intessuti di accordi militari segreti in forza dei quali cediamo la sovranità su parti del nostro territorio che, come già è accaduto nel recente passato, diventano piazzeforti militari sotto il comando Usa per nuove aggressioni.

E’ di grande aiuto alla comprensione della reale natura degli Stati Uniti d’America il recente libro di Domenico Losurdo “Controstoria del liberalismo” (edizioni Laterza, pagg. 376) che anche i due succitati leaders dei partiti che si richiamano al comunismo farebbero bene a leggere. Non è un libro “ideologico” ma uno studio molto documentato (vi sono 24 pagine di bibliografia per circa quattrocento opere citate) in cui accanto al riconoscimento dei meriti storici del liberalismo viene messo in luce il paradosso che ha accompagnato il liberalismo medesimo nel corso della sua storia: la celebrazione della libertà repubblicana (cavallo di battaglia del liberalismo) si è sempre intrecciata, negli Stati Uniti, con la legittimazione dell’istituto della schiavitù dei neri e con il genocidio degli indiani d’America. Dunque, dice Losurdo, liberalismo e schiavitù razziale danno vita ad un singolare parto gemellare. E’ citato nel libro un bellissimo detto di Hegel: “Ciò che è noto, non è conosciuto. Nel processo della conoscenza, il modo più comune di ingannare sé e gli altri è di presupporre qualcosa come noto e di accettarlo come tale” e qui ci viene ancora una volta in mente l’ipnosi spirituale citata da Pinter: l’America che va strombazzando in giro di difendere la libertà mentre compie orrendi misfatti e i suoi tirapiedi in Europa che, fingendo di ignorarli, le fanno eco con la favola ripetuta fino alla nausea della Grande democrazia.

Amedeo Curatoli


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