Dibattito sulle prospettive di Aginform

Intervento di Amedeo Curatoli

E' utile e tempestiva la proposta di una riunione di redazione allargata ad altri compagni, proposta avanzata in un editoriale dell'ultimo numero di Aginform (maggio 2006) a firma di Roberto Gabriele e Paolo Pioppi. Vi si dice: "Noi non siamo nati come un gruppo politicamente formato, che dava battaglia su tutte le principali questioni". Dunque, l'obiettivo della prossima riunione dovrebbe avere lo scopo di verificare se c'è la possibilità di giungere (o di avvicinarci) ad un "gruppo politicamente formato" che sia in grado di "dare battaglia su tutte le principali questioni".

Finora Aginform è stato un giornale di "corrispondenza comunista" sul quale tutti i redattori, accomunati da una visione marxista-leninista, hanno scritto i loro articoli come e quando volevano, dando vita ad una tribuna aperta di libero dibattito e scambi di idee (e talvolta anche di scambi polemici fra gli stessi redattori), che è già di per sé un'ottima cosa. Ma d'ora in poi, sarà possibile fare un passo avanti? Riusciremo cioè ad arrivare a discutere e votare risoluzioni politiche che delimitino con una certa nettezza gli ambiti di unità ed eventualmente anche dì dissenso su alcune questioni cardine sulle quali non ci siamo mai effettivamente confrontati?

Per lo scrivente, le questioni da definire con una certa urgenza riguardano la natura dell'imperialismo oggi (vale a dire: ciò che lo differenzia - o meno - dall'analisi che ne fece Lenin): da una sistemazione teorica deli'imperialismo ne conseguono, per così dire, i quattro quinti di una linea politica rivoluzionaria. Altro punto cruciale: i pericoli (se sussistono, oppure sono una chimera) di una terza guerra mondiale con utilizzo di armi termonucleari. E ancora: la natura della Repubblica Popolare Cinese (è socialista? è capitalista?).

Nell'editoriale di cui sopra si spara a zero contro le le "autoproclamazioni", contro 'la retorica emmellista". Io personalmente non condivido questo linguaggio. Non possiamo eguagliare nel nostro lessico politico le espressioni di dileggio che gli avversari hanno sempre usato nei confronti dei marxisti leninisti. Mi sembra una cosa ingenua e autolesionista. Noi già siamo accusati di "stalinismo" ed "emmellismo", ed ancor più lo saremo quando ci metteremo sulla strada di unificare i marxisti-leninisti. Per gli awersari borghesi che hanno un forte istinto di classe, noi siamo il diavolo, essi ci avvertono come irriducibili. Essi capiscono alla perfezione, invece, che tutte le imbecillità bertinottiane pacifiste e movimentiste sono funzionli al loro incontrastato dominio politico, tanto che gli affidano (a Bertinotti) la cosiddetta terza carica dello Stato.

Penso che se definissimo preliminarmente una linea politica (più ampia e più netta di quella che ci accomuna ora) dovremmo farci - ripeto - promotori di un processo di unificazione dei maxisti-leninisti, dovremmo andare a bussare con umiltà alle loro porte e spiegargli che il perseverare nello splendido isolamento in cui ancora ci troviamo relegati è una via criminosa che lascia agire e far da padrone sul palcoscenico della politica italiana queste sinistrissime "sinistre" vigliacche guerrafondaie e leccapiedi dell'imperialismo americano, nelle versioni diessina, cossuttiana e bertinottiana, !e quali danno da credere che ci troveremmo in presenza di un governo di "sinistra", e noi, assolutamente impotenti, che non possiamo smascherare con una certa efficacia il colossale inganno e la "totale bancarotta" di questa miserabile "sinistra".

Per fare ingresso anche noi sulla scena politica abbiamo bisogno di un gruppo di compagni sufficientemente autorevole (e il prestigio si acquisisce definendo una linea di chiarezza e verità rivoluzionaria argomentata e aderente all'odierna realtà interna e intemazionale) e sufficientemente esteso sul territorio nazionale, altrimenti i "fondamenti oggettivi di un progetto e la loro dialettica con i processi organizzativi" restano parole al vento.

Un'ultima notazione. Non darei, sul nostro giornale, spazio ad elementi trotskisti come Pa- squinelli, Bernocchi o Ferrando: il trotskismo dei quadri dirigenti succitati è una malattia senile del comunismo, è un morbo di Parkinson ideologico inguaribile, non è il morbillo o la scarlattina dei no-global e dei tanti giovani che stanno dietro alle bandiere di quei due partiti governativi che si richiamano al comunismo. Da questa gente che disprezza e odia l'esperienza storica del comunismo ci dividono contrasti irriducibili. Può anche darsi che costoro dicano cose giuste su Israele o sull'aggressione Usa all'Iraq, che affermino che è pura retorica piangere i "nostri" soldati caduti in quel paese (del resto anche Carducci si rifiutò coraggiosamente di scrivere un epitaffio per l'Eccidio di Dogali). E se uno di loro decide di rompere finalmente con le mostruosità teoriche e politiche del Predicatore di un altro mondo possibile, questo non deve ingenerare in noi alcuna illusione e indurci ad accreditarlo come fondatore di un qualcosa di nuovo. Un nuovo partito comunista su basi rivoluzionarie saranno in grado di farlo solo i marxisti-leninisti.

Amedeo Curatoli


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