L'11 settembre
e le speranze degli Amerikani di casa nostra

Cominciamo da quelle di Ronchey, sulla cui coerenza reazionaria non vi è nulla da eccepire. In piena sintonia con Washington, egli si dice d'accordo sul fatto che il pericolo incombente è il “nazionalismo atomico di Teheran” (Corriere della sera, 10 settembre 2007) però aggiunge: anche se l'Iran un giorno fosse in grado di produrre un'atomica non riuscirebbe mai ad usarla “perché verrebbe annientato dalle rappresaglie”. Poi, siccome si rende conto che gli Usa stanno prendendo legnate in Iraq, nutre delle perplessità su un possibile allargamento del conflitto attaccando l'Iran, e confida in una crisi interna di quel paese che ponga fine al potere di Ahmadinejad. La mette cosi': "Volendo considerare improponibile un'altra 'guerra preventiva', si vorrebbe almeno sperare nell'attendibilità delle fonti che da Teheran segnalano l'affiorare di qualche perplessità sui costi economici e i rischi sociali o politici dell'impresa nucleare...". Meglio quindi operare per un cambio di regime piuttosto che iniziare una nuova guerra. Ora, non vi è dubbio che queste posizioni espresse dal Nostro riflettano il disagio, le perplessità e anche la paura della borghesia europea verso la tracotante politica di guerra degli Usa.

Molto più scapestrati, avventuristi e quindi determinati di Ronchey sono due esponenti, Ranieri e Ferrara, uno del centro-sinistra e l'altro del centro-destra, entrambi accomunati dallo stesso destino di ex togliattiani in una lontana gioventù, i quali, avendo poi venduto l'anima al diavolo, onorano il patto facendo a gara a chi è più oltranzista.

Il primo dei due scrive in un editoriale dal significativo titolo "Non c'è alternativa all'intesa Usa-Europa" (Il Riformista, 11 sett. 2007) che "la fine della divisione del mondo in blocchi avrebbe rappresentato anche la fine dei confronti di stampo ideologico e l'affermazione della cultura liberal-democratica sulla scena mondiale", ma che a rovinare tutto sono intervenuti prima "il risorgere del nazionalismo etnico nei Balcani" e poi "l'irruzione del terrorismo di matrice fondamentalista". Allora la "liberal-democrazia" Usa, molto generosamente e disinteressatamente, per fare giustizia del "nazionalismo etnico" nei Balcani ha portato la guerra nel cuore dell'Europa bombardando per 78 giorni di fila la Serbia. La cosa entusiasmò un famoso editorialista del New York Times, l'ebreo Thomas Friedman, il quale sebbene si fosse lamentato delle limitazioni che gli alleati degli Usa posero all'azione militare (niente truppe, solo bombe) scrisse : "Se il potere della Nato consiste nel limitarsi ai soli bombardamenti, ebbene che si sfrutti fino in fondo questa scelta. Facciamo una vera e propria guerra aerea. Il fatto che la gente a Belgrado stia ancora ascoltando in piazza concerti rock o se ne vada la domenica a fare scampagnate fuori città è scandaloso. Bisogna spegnere le luci di Belgrado, bisogna colpire le centrali elettriche, gli acquedotti, bisogna bersagliare ogni ponte, strada e industria che può produrre armi di difesa" (citato nell'articolo "Hooked on War: Thomas Friedman's Deadly Addiction" apparso il 10 settembre 2007 sul sito www.alternet.org/story/61381/). Inutile ricordare che all'epoca, a capo del nostro governo si trovava D'Alema, e che il vice-ministro della Difesa era uno del Pdci.

Due anni dopo il tiro a bersaglio alla Jugoslavia c'è stato il fatidico 11 Settembre. E qui vogliamo aggiungere alla campagna del nostro giornale sulla verità di quell'attentato, ancora una considerazione: se la democrazia cristiana ha organizzato stragi di Stato qui in Italia, non si capisce perche' la democrazia liberale d'oltre-oceano avrebbe dovuto avere remore al riguardo. Fra l'altro, la posta in gioco dell'imperialismo Usa era immensa: serviva, nell'originario progetto criminale degli organizzatori, a far cadere ogni possibile tentennamento o incertezza sulla politica del terrore (senza virgolette), sulla politica delle guerre di aggressione a paesi poveri e indifesi, ieri all'Afganistan, oggi all'Iraq, domani quasi certamente all'Iran, dopodomani chissà, sotto la copertura ideologica del "terrorismo". Ma è accaduto che se l'opinione pubblica Usa ed europea riteneva al 64% (i dati ce li fornisce lo stesso Ranieri) auspicabile la leadership americana nel mondo, oggi questa opinione e' crollata al 36%. "E' una cattiva notizia", conclude servilmente il diessino "e poi, se si sostiene che la risposta alle difficoltà di politica estera degli americani possa essere la messa in discussione del loro ruolo globale ci si sbaglia di grosso. Cosi' come velleitaria è stata fino ad oggi la risposta di quanti, in Europa, hanno immaginato che il rafforzamento dell'integrazione europea potesse avvenire nel segno della realizzazione di un contrappeso politico alla superpotenza americana". Nessuna paura, quindi, nessuna illusione o velleità di autonomia, allineamoci con la Casa Bianca, è il nostro inevitabile e radioso destino...

L'altro chiassoso ed esibizionista corifeo dell'imperialismo Usa è Ferrara. Il suo giornale scrive perentorio: "Nella ricorrenza dell'11 settembre 2001 è utile ricordare che il nemico principale per l'Occidente non è l'Islam jiahdista ma la Cina. Il primo potrà causare danni, ma mai intaccare il dominio globale dell'Occidente e dei suoi standard. La seconda, invece, ha i potenziali per riuscirvi" ( Il Foglio, 11 settembre 2007). C'è in queste parole un nucleo di verità, a scorno di quanti, ritenendosi comunisti, levano la mano accusatrice contro il grande paese asiatico. E invece è proprio cosi': la Cina è l'unica ad essere in grado di opporsi al dominio globale dell'Occidente e "dei suoi standards", è l'unica, finora, a contrastare la marcia ideologia e le pratiche economiche imperialiste del popolo dei signori di razza bianca che hanno espropriato i 4/5 dell'umanità . Ma per isolare la Cina, suggerisce il foglio di Ferrara, occorre attirare la Russia dentro un'alleanza con l'Occidente, altrimenti l'impresa non riuscirà mai. A tale proposito il Foglio di Ferrara (che pure passa per una persona intelligente) in un delirio di onnipotenza incredibilmente ridicolo, detta al mondo intero la strategia di isolamento della Cina. Udite: "Nel 2006 questa rubrica propose di formare una grande alleanza tra America, Europa, India, Giappone e Russia, a partire da un nucleo euroamericano, allo scopo di geocircondare la Cina ed avere una forza economica coordinata sufficiente per condizionarla. La presentazione ai think tank politici delle nazioni dette è in corso". Accidenti! Può darsi pure che la Cia o i Think tank di Washington gli diano un po' di dollari a questo zelante suggeritore di strategie geocircondanti, ma è ancora più probabile che tale figlio degenere di cotanto padre sia animato da uno spirito di disinteressato e puro servaggio.

Amedeo Curatoli


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