L'autoinganno di Narciso
Passato e presente del movimento comunista

Dopo la fine catastrofica dell’Urss e delle democrazie popolari dell’Europa dell’Est bisogna avere davvero una grande fede per continuare a credere nel socialismo, fede con la effe minuscola, che però deve pur trovare un fondamento, se non nelle sacre scritture, almeno in corposi elementi terreni. Uno di questi è lo studio della storia del comunismo che, apparentemente, dovrebbe presentare minori difficoltà (data la contiguità temporale con l’epoca che viviamo) rispetto allo studio, tanto per dire, dell’Età degli Antonini o dell’Ermetismo del Rinascimento. Ma le complicazioni insorgono proprio da questa eccessiva vicinanza e dalla forte, fortissima "simpateticità" con quell’ennesimo tentativo di assalto al cielo, finalmente vittorioso, delle classi spodestate. La Rivoluzione d’Ottobre: comincerà a realizzarsi il comunismo, a ciascuno secondo le sue necessità da ciascuno secondo le sue capacità, si estinguerà il Leviatano e con esso le merci, il danaro, le classi, le nazioni, l’oppio dei popoli, e poi la mattina andrò a caccia, il pomeriggio a pescare, dopo pranzo farò il critico e anche la cuoca governerà. Quando però l’Utopia si incarna nella Storia essa s’avvia ad offuscarsi, e il tempo trascorre e le vicende storiche possono addirittura produrre tali deturpazioni sul suo volto radioso da renderla irriconoscibile. E davvero, dobbiamo onestamente ammettere, l’"utopia" del comunismo ha subito un tale appannamento da indurre moltitudini di persone (che pur si richiamano al comunismo) a ritrarsi inorridite dal "socialismo reale", contrapponendo ad esso il confronto con un socialismo ideale. E’ ciò che Losurdo chiama l’auto-inganno di Narciso. Egli scrive: "La grandezza di Hegel è nell’aver chiarito l’ineludibilità della ‘colpa’ in situazioni drammatiche di conflitto e nell’aver smascherato l’ipocrisia, intellettuale e morale, dell’anima bella preoccupata in primo luogo di proclamare la propria eccellenza, la quale, in realtà, è solo sinonimo di codardia imbelle e persino di capitolazione dinanzi alla legge del più forte". E quanto più l’anima bella si affeziona all’immagine seducente degli ideali (che si muovono in uno spazio assolutamente immaginario e privo di attriti, resistenze e conflitti) "tanto più appare squallida e ripugnante al di là di ogni limite e priva persino di ogni significato la vicenda storica iniziata con l’Ottobre" (Losurdo in: Engels cento anni dopo).

Lo studio della storia del comunismo è un compito pratico, attuale, rivoluzionario. Ma, come scrisse Franz Mehring, "…un’esposizione storica che si fermasse... di fronte a qualsiasi leggenda…dichiarerebbe con ciò stesso di non valere nulla. Anche se il partito operaio rivoluzionario soccombe al generale destino degli eserciti in lotta - quello cioè di formarsi le proprie leggende e glorie - esso non deve coltivare artificialmente queste leggende e queste glorie come elemento indispensabile della propria disciplina. Indispensabile, piuttosto, è l’autocritica continua". (Cit. da E.Ragionieri: "La III Internazionale e il PCI"). Dunque, la necessità di un giudizio storico su un’esperienza che dobbiamo considerare nostra e sulla quale va dispiegata anche una critica impietosa (sull’Urss, dall’Ottobre alla sua dissoluzione ad opera di Gorbaciov, e sulla Cina) è un fondamento indispensabile di conoscenza per orientarci, per immaginare un possibile sbocco verso il socialismo nelle attuali condizioni, lontane mille miglia da quelle incontrate dai comunisti russi e cinesi. Anche le nostre vicende di comunisti italiani - quando il Pci era il più grande partito comunista dell’Occidente - vanno riconsiderate con un approccio più serio e meno aristocraticamente liquidatorio di quanto eravamo soliti fare nel passato. Il legame con una tradizione criticamente riconsiderata ci sospinge inevitabilmente a innovare, a innovare profondamente la nostra cultura, i programmi, le idee sul partito, sulle sue regole organizzative e quant’altro. Da questo punto di vista è pienamente condivisibile quella parte del documento precongressuale di Rifondazione in cui vi è un richiamo costante alle innovazioni che deve subire, nella nostra epoca, un partito comunista: "Il funzionamento del partito risulta ancora imprigionato nelle forme impoverite della tradizione" il che è giustissimo se di contro a quelle forme impoverite della tradizione, al "suo lato oscuro chiuso in un’autoriproduzione refrattaria" alle novità dei movimenti, si intende dispiegare, nella vita di partito, finalmente, una piena democrazia , né più né meno di quanta i comunisti ne rivendicano nella società civile. Perché i partiti comunisti, corifei della democrazia nelle piazze e nelle istituzioni, la temono - al loro interno - come la peste, quasi che la democrazia, per il "volgo" (costituito dal corpo dei militanti), ritenuto non ancora maturo per essa, è opportuno somministrarla a piccole dosi. Il partito deve essere "un crocicchio in cui possono convergere, senza alienare la propria fisionomia, movimenti, organizzazioni sociali e politiche: un laboratorio aperto..." Ma è chiaro che se ci si spinge tanto oltre da considerare un partito comunista odierno un "laboratorio aperto" (cosa che di per sé non dovrebbe scandalizzare nessuno), se si vuole mettere in campo un’audace e spregiudicata politica delle alleanze (di cui furono capaci in passato i grandi partiti comunisti russo e cinese), se si intende competere in una "sinistra plurale" tuffandosi nel "movimento dei movimenti", è chiaro - ripetiamo - che se ci si vuole arrischiare su una via così impervia (ma che varrebbe assolutamente la pena di percorrere), si ha bisogno di una notevole identità politico-ideologica, altrimenti si incorre nel rischio di far la fine dei proverbiali pifferi di montagna. Con quale fisionomia Rifondazione si appresta a fronteggiare queste sfide così radicalmente innovative? Si diceva che lo studio della nostra storia è un compito pratico: ci occorre imparare dagli errori del passato per non commetterne in futuro. L’attuale linea di Rifondazione, ma soprattutto del suo segretario (anima bella per eccellenza), è l’annullamento della storia del comunismo. Per compiere un’operazione così epocale ci si serve dell’artificio dantesco dell’"uomo dello schermo". L’uomo dello schermo è Stalin: a) "La critica radicale allo stalinismo rappresenta la possibilità di usare oggi il termine comunista"; b) "La rottura radicale con lo stalinismo ha avuto nel movimento comunista italiano le sue ragioni principali nelle questioni dei diritti della persona e della democrazia"; c) "La nostra rottura radicale con lo stalinismo le raccoglie e le sviluppa (le questioni dei diritti ndr) in nome della rivoluzione come indivisibile fenomeno mondiale"; d)"La separazione dallo stalinismo è oggi la condizione necessaria per poter proporre il tema del comunismo". In queste affermazioni, c’è una sorta di fanatismo antistalinista (meglio sarebbe dire stalinofobo) che serve a chiudere definitivamente i conti con un possibile, serio confronto sul bilancio storico del socialismo in Urss. Questa stalinofobia strumentale (ma anche "partecipata") induce Bertinotti a falsificare anche la storia del comunismo italiano: la rottura radicale con lo stalinismo l’ha voluta Krusciov non il Pci. Quest’ultimo, come del resto quasi tutti i partiti comunisti europei, non ha operato autonomamente nessuna rottura. Se avesse letto l’intervista di Togliatti a "Nuovi argomenti" (pubblicata in parte da "L’ernesto" recentemente) Bertinotti si sarebbe accorto che il segretario del Pci muove delle serie critiche ai kruscioviani che hanno perso, nel demonizzare Stalin "un po’ del loro prestigio" dal momento che "prima, tutto il bene era dovuto alle sovrumane qualità positive di un uomo; ora, tutto il male viene attribuito agli altrettanto eccezionali e persino sbalorditivi suoi difetti. Tanto in un caso quanto nell’altro siamo fuori del criterio di giudizio che è proprio del marxismo". Tra le altre cose, nel richiamo alla rivoluzione come "indivisibile fenomeno mondiale" non vi è nulla di originale: è ciò che, detto in altri termini, costituì il cavallo di battaglia di Trotskij e che il movimento comunista mondiale organizzato, cioè la Terza Internazionale, rigettò. Come si vede, quella vecchia, drammatica polemica è ancora tremendamente attuale e a renderla tale è proprio Bertinotti. Ma qualcosa di effettivamente nuovo c’è: se Trotskij negava la possibilità del socialismo nella Russia "arretrata", coloro che oggi subiscono ancora il fascino di quella teoria la "globalizzano", estendendo la negazione (della possibilità di edificare il socialismo) a tutto il pianeta.

Va da sé che, il criticare Rifondazione comunista e il mettere in luce divergenze ideologiche, non ci esime dall’esprimerle gratitudine profonda per essere stata essa l’unica voce, nel Parlamento nazionale, di forte e incondizionata opposizione alle guerre imperialistiche di aggressione scatenate ieri alla Jugoslavia, e oggi, tuttora in corso, all’Afganistan. Atteggiamento politico tanto più indiscutibilmente giusto se posto a raffronto con quell’altro partito che, pur richiamandosi al comunismo, ha preferito la via della complicità con la maggioranza di centro-sinistra il cui governo è sceso in guerra. E di nuovo oggi, invece di ringraziare il cielo di non trovarsi ancora una volta nel governo in occasione di una guerra di aggressione, si è affrettato ad esprimere " solidarietà piena agli Stati Uniti d’America per l’attacco subito e per la tragica strage" nonché "forte sostegno alla lotta nazionale e internazionale contro il terrorismo" (Rinascita del 15 sett.: "Lettera ai comunisti italiani" firmata Cossutta-Diliberto). Ma che cos’altro è questo "forte sostegno" alla "lotta nazionale e internazionale al terrorismo" se non piena solidarietà con le azioni militari degli Usa (e dei loro entusiastici sostenitori fascisti e berlusconiani ) che si stanno configurando come atti di terrorismo indiscriminato nei riguardi di un’intera nazione (per il momento!), terrorismo cento volte più obbrobrioso di quello (di molto oscura origine) contro due torri?

Se c’è oggi - epoca di de-emancipazione e di pensiero unico - un qualcosa che lotta, si oppone, si ribella in modo militante e anche barricadero alla omologazione alle leggi del mercato unico mondiale, questo qualcosa è il movimento internazionale no-global, il popolo di Seattle, il popolo di Genova. Prima ancora di star lì a discutere se questo movimento è una radicale novità epocale che soppianta nelle forme e nei contenuti precedenti tradizioni di lotta, o addirittura schieramenti di stati, oppure se contiene in sé le premesse ideologiche di un suo dissolvimento, è importante starci in questo movimento, e dare ascolto ai suoi molteplici linguaggi. Poi ognuno si fa le sue idee. Nei documenti dell’assemblea dei social forum tenuta a Firenze il 20 e 21 ottobre, non vi è un solo cenno al "socialismo", si ripete spesso che "un altro mondo è possibile", anzi che "un altro mondo è già in costruzione", si dice che non esiste l’imperialismo americano ma la "Trinità globale" (Fmi, Bm e Omc); che "bisogna contrapporre agli istituti finanziari dei poteri mondiali e alla loro natura antidemocratica i bisogni locali dei singoli"; che "è stato affrontato il tema della non-violenza, da alcuni ritenuto discriminante per la partecipazione al Social Forum e da altri segnalato come tema su cui avviare una maggiore riflessione" (probabilmente qualcuno di loro avrà detto: scusate come può un giovane afgano, a cui le bombe americane hanno sterminato la famiglia, predicare la non-violenza? Così hanno deciso di avviare una maggiore riflessione); che "il movimento dei movimenti in cui ci riconosciamo vuole che alla libera circolazione delle merci e dei capitali si anteponga la libera circolazione delle persone"; che non solo un altro mondo ma "un’altra finanziaria è possibile! Una finanziaria che si opponga alla guerra tagliando le inutili oltre che ingiuste spese militari"; che il termine "economia sostenibile è da ritenere maggiormente adeguato rispetto a quello di sviluppo sostenibile"; che "i paesi industrializzati dovrebbero bloccare il Prodotto interno lordo, il che consentirebbe la possibilità di una redistribuzione delle risorse a livello mondiale"; "No al copy right"; "No alla legge che impedisce di fotocopiare i libri". Sull’aggressione degli Usa all’Afganistan neanche una parola. Ci ha pensato Casarini in un articolo cui Liberazione (18 sett.) ha dato grande risalto: "Una cosa non avevamo mai discusso bene: la guerra come caratteristica strutturale dell’Impero. Un Impero che non è l’America, è molto di più e molto oltre. E’ anche la Bank of America... è il Pakistan,... è la bomba atomica dell’India e il regime dei Talebani... è la Cia e la Shaaria, mescolate insieme, questo è l’impero". Anche la Cina ha la bomba atomica, può darsi che Casarini l’abbia inclusa nell’Impero e che Curzi l’abbia censurato. Viviamo in Occidente, in un’area geopolitica che si permette il lusso della democrazia politica a scapito dei rimanenti tre quarti dei popoli del pianeta che da questo lusso sono esclusi. E quando nei riguardi di uno di questi popoli l’Occidente si appresta a compiere un genocidio, dall’alto della nostra condizione di popoli privilegiati, ripetiamo i criminali spot propagandistici di cui ci abbevera, alla stregua della coca-cola, la macchina mass mediatica americana e i suoi ripetitori d’oltre oceano. Sui Talebani, come sul "miliardario" Bin Laden.

Se dunque, almeno finora, nel movimento no-global prevale un riformismo da asilo infantile con maestri elementari come Casarini e Agnoletto, con chi prendersela, se non con i micidiali errori che hanno causato la tragedia storica della dissoluzione dell’Urss, la quale ha trascinato dietro il suo crollo anche il residuo prestigio dell’idea di socialismo? Sembra davvero un azzardo tutto l’entusiasmo che Rifondazione riversa sul movimento no-global, fino al punto da incardinare su di esso l’autoriforma del partito. Chi si contenta gode. Poi si vedrà. Frattanto, però, è un gran bene che Rifondazione stia dentro a questo movimento, "a prescindere" dalle eccessive illusioni che su di esso coltiva. Se non altro, i cortei dei no-global, che ci auguriamo sempre più massicci, agguerriti e militanti, saranno punteggiati di bandiere rosse con falce e martello, le quali staranno lì in mezzo a testimoniare che c’è pur sempre qualcuno che continua a "credere" che l’altro mondo possibile altro non è che il futuro trionfo del socialismo.

Amedeo Curatoli
31 ottobre 2001

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