L'utopia della pace
e la realtà della guerra

La più aspra, irrazionale, perenne incongruenza che percorre la storia dell’umanità è la Guerra. A questa maledizione si sono via via opposte grandi personalità, uomini come Erasmo da Rotterdam, Voltaire, Kant, i quali, sfidando l’opinione corrente dei loro tempi respinsero il dogma che legittimava l’inevitabilità delle guerre. Queste voci dissonanti ci hanno avvicinato alla soluzione per secoli ricercata, dell’eliminazione della guerra e dell’avvento dell’era della pace perpetua. "La guerra - disse Mao Zedong - questo mostro che porta gli uomini a massacrarsi gli uni con gli altri, finirà con l’essere eliminata dallo sviluppo della società umana, e in un futuro non molto lontano. Ma per eliminarla vi è un solo mezzo: opporre la guerra alla guerra, opporre la guerra rivoluzionaria alla guerra controrivoluzionaria, opporre la guerra nazionale rivoluzionaria alla guerra nazionale controrivoluzionaria, opporre la guerra rivoluzionaria di classe alla guerra controrivoluzionaria di classe". Parole non condivise dai pacifisti. Parole non condivise nemmeno da chi in qualche modo si richiama ad un comunismo rifondato. Il comunismo ha svelato - storicamente - la via concreta attraverso la quale l’umanità può definitivamente conquistare la Pace. La guerra non è connaturata al genere umano, ma per abolirla non bastano la Filosofia, la Scienza, i sentimenti pacifici di tanta parte dell’umanità. Non bastano neanche i convegni, le manifestazioni, le marce di Assisi, le marce mondiali delle Donne o il Movimento dei movimenti. L’imperialismo, con in testa gli Usa, nel portare la guerra, come oggi sta facendo, a paesi poveri e indifesi, scatenerà delle reazioni tali da coinvolgere tutto l’Occidente, Stati uniti compresi. La formula dei comunisti cinesi era "o la guerra provoca la rivoluzione, o la rivoluzione ferma la guerra" e da ciò deriva che comunque vadano le cose sarà la guerra a decidere il destino dell’umanità. Una lettura marxista e non pacifista delle due Guerre mondiali conferma la dialettica che intercorre tra guerra e rivoluzione. La Rivoluzione d’Ottobre non è nata dalla Prima guerra mondiale? Il Campo socialista non fu il grande risultato della Seconda di queste guerre?

All’indomani della vittoria sul nazismo, la politica estera dell’Urss fu volta principalmente al perseguimento della pace e ad unire, a questo scopo, un vasto fronte mondiale contro i pericoli di una nuova guerra minacciata dall’imperialismo anglo-americano. Non essendoci più la sola Unione Sovietica, ma un potente campo socialista che si estendeva dall’Europa alla Cina popolare, cominciarono a manifestarsi idee pacifiste verso le quali Stalin (1951) metteva in guardia: "Si dice che le tesi di Lenin secondo cui l’imperialismo genera inevitabilmente le guerre deve considerarsi superata, perché attualmente si sono sviluppate potenti forze popolari che agiscono in difesa della pace, contro una nuova guerra mondiale. Questo non è vero…La cosa più probabile è che l’attuale movimento per la pace, in caso di successo porterà a scongiurare una guerra determinata, a rinviarla per un certo tempo, a mantenere per un certo tempo una pace determinata, a costringere alle dimissioni un governo guerrafondaio con un altro governo, disposto a salvaguardare per un certo tempo la pace. Questa, naturalmente, è una cosa buona. Anzi è una cosa ottima. Tuttavia ciò non basta per eliminare l’inevitabilità delle guerre. Non basta, perché, nonostante tutti questi successi del movimento per la difesa della pace, l’imperialismo continua a sussistere, conserva le sue forze e - per conseguenza - continua a sussistere l’inevitabilità delle guerre. Per eliminare l’inevitabilità delle guerre è necessario distruggere l’imperialismo" (Stalin, Problemi economici del socialismo in Urss). Quando Stalin impostò così il problema, l’Urss già possedeva l’atomica e si avviava essa stessa a divenire una grande potenza nucleare, alla stregua degli Usa. Chi capovolse completamente, appena cinque anni dopo, questa tesi leninista sul rapporto pace-guerra fu Krusciov, fu il 20° congresso del Pcus; chi vi si oppose, con grande coraggio e determinazione, pagando un elevato prezzo, furono il Partito comunista cinese e il Partito del Lavoro d’Albania. La tragedia di quel Congresso e dei due successivi, nonché gli incontri di tutti i partiti comunisti tenuti sotto l’egida del Pcus, consisté nell’inaugurare una politica pacifista fondata sull’accettazione del ricatto nucleare da parte dell’imperialismo americano. Venne anche stabilito, anzi si potrebbe dire ‘statuito’ (data la solen-nità e quindi l’importanza mondiale di quelle assise), che per i partiti comunisti non ancora giunti al potere si apriva l’era della via parlamentare, pacifica al socialismo. Teniamo presente che l’Unione Sovietica aveva svolto, verso tutti i partiti comunisti, fin dalla nascita della Terza Internazionale, un ruolo primario nel coordinarli, orientarli, aiutarli in tutti i modi, organizzarli, se non addirittura nel farli nascere. Dunque, per attuare la sua svolta antileninista e di resa all’imperialismo americano (che noi riusciamo a vedere con chiarezza oggi, ma allora, tranne che per due partiti, non doveva essere cosa semplice), Krusciov trovò il terreno spianato: non ebbe da faticare granché, dati i fortissimi legami di solidarietà dei partiti comunisti verso la grande Unione Sovietica, per trascinarli, nella quasi totalità, dietro la sua linea capitolazionista. E poi, è facile ipotizzare che l’attacco al cosiddetto culto della personalità sia stato considerato, a torto o a ragione, in buona o in mala fede, un argomento a favore della "democrazia socialista" da parte dei partiti "fratelli". Fratelli di sventura, potremmo aggiungere noi oggi, vista la fine davvero ingloriosa del Pci, del Pcf ecc. seguita alla disintegrazione dell’Urss.

Krusciov, che aveva immeritatamente ereditato una superpotenza perfettamente in grado di far fronte ai ricatti Usa, non ha fatto altro che terrorizzare il genere umano: "I missili e le bombe nucleari creati alla metà di questo secolo hanno cambiato la vecchia concezione della guerra, l’esplosione di una sola di queste potenti bombe termonucleari sorpassa, in forza esplosiva tutte le munizioni delle precedenti guerre ivi comprese la prima e la seconda guerra mondiale"; "Molte migliaia di queste bombe sono state accumulate. Hanno i comunisti il diritto di ignorare questo pericolo?"; "Dobbiamo noi spiegare ai popoli di tutto il mondo le conseguenze di una guerra termonucleare?"; "I compagni cinesi ovviamente sottovalutano tutti i pericoli di una guerra termonucleare"; "Nessuno, neanche un grande Stato (nota bene: anche gli Usa sono un grande Stato, ma non hanno mai detto nulla di simile ndr) ha il diritto di giocare con il destino di milioni di persone" e così via (le citazioni sono tratte da "Lettera aperta del Comitato Centrale del Pcus a tutti i Partiti e Organizzazioni, a tutti i comunisti dell’Unione Sovietica" 14 luglio 1963). Rinnegando l’internazionalismo proletario, Krusciov sostituì ad esso una politica sciovinista di grande potenza affermando che "l’Unione Sovietica e gli Stati Uniti avrebbero deciso il destino dell’umanità", che i circoli dirigenti americani "erano animati da un sincero desiderio di pace". La crisi dei missili a Cuba fu il frutto di un suo criminale avventurismo che si ritorse pesantemente contro il prestigio internazionale dell’Urss allorquando, capitolando vergognosamente sotto le minacce di Kennedy (il quale - a differenza di Krusciov - uscì ingigantito da quella vicenda) ritornò precipitosamente sui suoi passi.

La formula di Mao Zedong "l’Imperialismo è una tigre di carta" (intendendo dire che strategicamente l’imperialismo era destinato a scomparire) fu arrogantemente irrisa da Krusciov e dai dirigenti dei partiti comunisti occidentali. "L’imperialismo - sostenevano i comunisti cinesi in polemica con i kruscioviani - ha sempre due tattiche: la tattica della guerra e la tattica della ‘pace’; quindi il proletariato e i popoli di tutti i paesi debbono anch’essi usare due tattiche per affrontare l’imperialismo: la tattica di smascherare la frode di pace dell’imperialismo e lavorare energicamente per una pace mondiale genuina, e la tattica di essere pronti ad usare una giusta guerra per mettere fine alla guerra ingiusta dell’imperialismo se e quando l’imperialismo dovesse scatenarla" (Viva il leninismo, editoriale di ‘Bandiera Rossa’, 16 aprile 1960). Emilio Sarzi Amadé, intellettuale togliattiano impegnato a dimostrare che sul problema della via parlamentare al socialismo e su quello della guerra e della pace Krusciov aveva perfettamente ragione, così commentò questo passo: "L’esperienza nazionale del passaggio al socialismo, che ai cinesi costò 22 anni di guerre e di rivoluzioni, induce ‘Viva il leninismo’ a prendere posizione anche su questo problema (intende dire: i cinesi non solo respingono la via parlamentare al socialismo, ma anche la ‘nuova’ linea sulla guerra e la pace ndr) la cui soluzione i comunisti cinesi non vedono se non negli stessi termini in cui essa è posta nel loro paese" (Rinascita, vol 3°, pag. 1379) come a dire: questi cinesi non hanno fatto altro che combattere, per 22 anni, bisogna capirli, il loro orizzonte non può essere che la guerra, non sono dei raffinati leninisti come noi.

Togliatti, che non volle mai ammettere il carattere di svolta del 20° congresso del Pcus, arrivò a paragonare la linea kruscioviana sulla guerra e la pace a quella del 7° Congresso dell’Internazionale comunista. Egli, per "dimostrare" la continuità teorica, politica e storica fra il passato e il presente, arrivò (autolesionisticamente) a citare sé stesso: "Si prenda il tema della pace e della guerra. Si leggano le relazioni di Dimitrov e di Ercoli al 7° Congresso della Internazionale comunista…Ivi si troverà chiaramente dimostrata la possibilità che venga evitato lo scoppio di un secondo conflitto mondiale" (Rinascita, cit. pag.1071). A parte il fatto che se davvero fosse stata dimostrata la possibilità di evitare la guerra, si sarebbe trattato di una dimostrazione "per assurdo", visto che poi la seconda guerra mondiale in effetti scoppiò. Ma leggiamo che cosa disse Dimitrov a quel 7° Congresso dell’IC: "I popoli d’Occidente commetterebbero un fatale errore se si lasciassero cullare dall’illusione che i mercanti di guerra fascisti in Europa ed in Estremo Oriente smetteranno di minacciare la guerra. I popoli confinanti con la Germania hanno di che nutrire i loro seri timori riguardo alla difesa della loro indipendenza e libertà". E più avanti: "In caso di una diretta minaccia di guerra da parte di un aggressore fascista, i Comunisti, ribadendo che soltanto il potere proletario è capace di assicurare una vera difesa del paese e della sua indipendenza, come è dimostrato in modo chiaro e semplice dall’Unione Sovietica, cercheranno di formare un governo di Fronte popolare" (Dimitrov, Rapporto al 7° Congresso dell’IC). Non c’è qui il nesso dialettico "maoista" guerra-rivoluzione? Che cosa ha a che vedere questo linguaggio rivoluzionario con quello vile, disarmante e capitolazionista di Krusciov? Come è possibile che Togliatti abbia voluto rendere un così cattivo servizio a sé stesso (quando, invece di Togliatti si chiamava Ercoli)?

Ritornando all’attualità storica, dobbiamo ribadire una verità che a prima vista potrebbe sembrare lapalissiana, vale a dire che il peggior nemico del genere umano è rappresentato, oggi, dall’imperialismo americano. All’inizio del secolo appena trascorso gli Imperi Centrali retti da kaiser e imperatori, o la Russia zarista, autentici baluardi della reazione in Europa, offrivano di sé un’immagine fosca di regimi militaristi, polizieschi, soggiogatori di nazioni, regimi fondati sulla repressione, la tortura, i pogrom. Gli Stati Uniti d’America, invece, a partire dal secondo dopoguerra, si presentano, sulla scena mondiale, come l’incarnazione della Democrazia. Il loro apparato propagandistico, potente non meno del loro apparato militare, accredita questa suprema falsità. Fin qui nulla di strano. Viviamo in un’area geopolitica del mondo privilegiata, in quel Nord abitato dal "popolo dei signori" (felice espressione usata da Domenico Losurdo), che ha fondato il suo benessere e la sua democrazia politica sulla spoliazione dei rimanenti quattro quinti dell’umanità. E’ dunque comprensibile che nel cosiddetto immaginario collettivo dei popoli signori di razza bianca d’Occidente possa farsi strada l’idea che c’è un grande paese che, incarnando la Democrazia, ci protegge dalla Barbarie. Ieri Democrazia contro Comunismo, oggi Democrazia contro Terrorismo. La cosa strana e terribile è che in questo stesso Occidente, dove è nata la più rivoluzionaria dottrina della lotta di classe, il marxismo, vi siano, ieri come oggi, dei "marxisti" (o che un tempo si definivano tali) i quali, in materia di Guerra e Rivoluzione, depurano, per così dire, il marxismo del suo spirito rivoluzionario, e lo adattano alle necessità dell’Occidente. E non ci riferiamo solo a Berlinguer che alla seguente domanda di un giornalista: "Insomma, il Patto Atlantico può essere uno scudo utile per costruire il socialismo nella libertà?" rispose: "Io voglio che l’Italia non esca dal Patto Atlantico ‘anche’ per questo, e non solo perché la nostra uscita sconvolgerebbe l’equilibrio internazionale. Mi sento più sicuro stando di qua" (Veltroni, La sfida interrotta, pag.122). Non vogliamo ricordare neanche lo statista D’Alema che mise a disposizione il nostro Paese come base logistica per i bombardieri Usa nel criminale tiro a bersaglio alla Iugoslavia. Parliamo di Negri, di Ingrao ed anche di Rifondazione comunista. In un bell’articolo apparso su "Guerra e Pace" (n.87, marzo 2002) dal titolo "Il sacro impero", Maria Turchetto, dice che l’analisi di Negri "si svolge all’insegna di una dialettica di stampo prettamente hegeliano: è la storia della sovranità occidentale, quasi una Filosofia dello Spirito ad uso dei nordamericani, poiché il percorso dello Spirito culmina qui, anziché nello Stato prussiano, nella Costituzione degli Stati Uniti" e più oltre: "L’esito dei coloni verso le Americhe - moltitudine che si sottrae alla modernità - ‘riscopre l’umanesimo rivoluzionario del Rinascimento perfezionandolo in scienza politica e costituzionale’ (pag.156), ponendo le premesse di una forma di sovranità affatto diversa da quella prevalsa in Europa. La Rivoluzione americana è rivoluzione autentica (a differenza di quella francese) e gli Stati Uniti sono fin dall’origine - fin dalla Costituzione - Impero e non Stato-nazione; per di più un Impero del Bene, o almeno un Impero del Meno Peggio". E’ difficile capire perché il libro di Negri abbia avuto un così grande successo negli Usa?

Sulla Rivista del Manifesto, n.28, maggio 2002, Ingrao innanzitutto si felicita con il Congresso di Rifondazione perché lì "è avvenuta una lettura critica e autocritica, giusta e netta, sia nei riguardi dello stalinismo che del leninismo" poi aggiunge, rinnovando la tradizione kruscioviana, che "sono convinto che non è utile dire: gli americani: che barbari; perché dietro alle bare dell’Afghanistan e della Palestina, e - perché no? - anche dietro al massacro delle Due Torri ci sono saperi raffinati, tecnologie sottili, metodologie capaci di articolare e dissodare, snervare poteri e luoghi della politica. La rozzezza arrogante del Bush jr. non ci deve ingannare". Bush (non è affettuosamente riduttivo definire questo sterminatore di popoli ‘rozzo’ e ‘arrogante’?), con le sue bombe non ci deve ingannare, l’America è sempre quella che è (come se chi lotta contro il governo Usa sarebbe non antimperialista ma ‘antiamericano’). Non c’è dubbio, il marxismo di Ingrao è sottile, articolato, dissodato e snervato. Ha esternato la sua saggezza marxista anche in una recente intervista pubblicata su Liberazione. Lì, parlando di guerra, egli non nomina mai l’imperialismo americano (il che è già un passo avanti, se no ci avrebbe ricordato che l’America è sempre l’America), e, con una punta di autocompiacimento, ci ricorda di aver fondato la categoria della ‘guerra celeste’.

Per quanto riguarda Rifondazione, e qui il discorso è più serio perché si tratta di un partito e non di un singolo individuo, il suo ultimo congresso ha sancito il superamento della categoria di imperialismo. Cosa "strana e mostruosa" (direbbe Lenin), perché questa teoria del superamento si completa con un altro superamento, quello degli Stati-nazione, e questo, proprio nel momento di maggior protagonismo dello Stato-nazione Usa il quale, dopo l’episodio delle Due Torri, si è liberato da tutti i residui legacci che impacciavano la sua "missione mondiale" annullando in via definitiva quegli organismi sopranazionali come l’Onu e la Nato che erano pur sempre fortemente influenzati dagli Usa. Ormai all’imperialismo americano non serve più neanche la finzione giuridica del diritto internazionale. Bush ha ribadito, in un recentissimo discorso agli allievi dell’Accademia militare di West Point, con linguaggio da dominatore del mondo (nel quale ormai nessun popolo più è tutelato da una parvenza di diritto internazionale) che una serie di paesi: Iraq, Iran, Corea del Nord e Cuba sono "Stati-canaglia" e ha rinnovato le minacce di attacco atomico nei loro confronti. Immaginate di essere cittadini di uno di questi Stati: come potreste svolgere la vostra vita normale di ogni giorno sotto l’incubo costante di genocidio? Far vivere nel terrore interi popoli non è esso stesso un criminale attacco ai diritti umani? Non sarebbe una manifestazione di internazionalismo rivoluzionario concentrare tutte le forze per scatenare una propanda ed un’agitazione contro l’imperialismo americano e a favore di questi popoli da esso terrorizzati, invece di parlare di Impero, di superamento di stati-nazione? Non sarebbe più rivoluzionario chiamare alla mobilitazione contro la guerra degli Usa, del Pentagono, di Bush anziché confondere le idee della gente con le guerre celesti, le guerre globali e le guerre civili planetarie?

Il governo della Corea del Nord prende sul serio le minacce terroristiche di Bush (e come potrebbe fare altrimenti?) : in un editoriale congiunto di alcune testate giornalistiche di quel paese, nel febbraio di quest’anno, si legge: "Se gli imperialisti nordamericani e le forze satelliti avranno il coraggio di scatenare la guerra, gli aggressori non potranno non avere vittime, così come non rimarrà impunita l’aggressività di questi, a prescindere dalla loro posizione sul globo terrestre". (citato da "La via del comunismo" n.6, aprile 2002, pag.14). Notate: a prescindere dalla loro posizione sul globo terrestre. Può darsi che questo linguaggio non piaccia a Bertinotti o che faccia inorridire Ingrao, ma il fatto è che noi rischiamo, con i nostri inorridimenti di occidentali, di passare come forze satelliti mentre loro, come ha detto un portavoce del ministero degli esteri nordcoreano, rischiano di essere eliminati, come nazione, dalla faccia della terra.

Un ultimo, breve accenno - per rimanere pienamente nel tema della pace e della guerra - soprattutto per quei compagni che non dànno più alcun credito né a Cossutta né a Bertinotti, ed anche a quanti non gliene hanno mai dato, né all’uno né all’altro. Si tratta della Cina. Anzi, della Repubblica Popolare Cinese nata da "22 anni di guerre e di rivoluzioni" come dice Sarzi Amadé. Prima di ‘prendere posizione’ ed espungerla dal novero dei paesi socialisti (in tal caso ci troveremmo in compagnia di Bertinotti) fermiamoci un attimo a pensare. Un minimo di umiltà e di riflessione possibilmente spregiudicata ed antidogmatica potrebbe essere utile. Nel rapporto al 15° Congresso del Pcc (che sarebbe assolutamente doveroso leggere e studiare prima di scagliare anatemi), il segretario Jang Zemin ha periodizzato in tre fasi storiche fondamentali la rivoluzione cinese: la prima fu la rivoluzione del 1911 guidata da Sun Yatsen che rovesciò la monarchia autocratica e aprì la strada alla rivoluzione nazionale e democratica; la seconda fu la fondazione della Repubblica popolare cinese in seguito alla rivoluzione agraria, alla guerra di resistenza contro il Giappone e alla guerra di liberazione contro Ciang Kai Shek; la terza è stata la modernizzazione della Cina. La seconda fase fu realizzata "sotto la guida della prima generazione di direzione collettiva raggruppata attorno a Mao Zedong", la terza fase fu "iniziata dalla seconda generazione di direzione collettiva raggruppata attorno a Deng Xiaoping".

I compagni cinesi, a differenza dei sovietici che hanno seppellito Stalin sotto una valanga di sterco, non hanno operato nessuna demaoizzazione anzi, dalla lettura del rapporto di Yang Zemin, vien fuori con estrema chiarezza il pieno recupero della figura e dell’opera di Mao. O è tutta una finzione per ingannare (ma non ci riusciranno mai, per carità!) i puri rivoluzionari occidentali? Lo hanno implicitamente criticato, Mao, perché ritengono che nell’ultimo periodo della sua vita egli abbia commesso degli errori. Che male c’è? Perchè non vogliamo riconoscere ai comunisti cinesi (che, diversamente da noi che stiamo facendo chiacchiere da cinquant’anni, lavorano duro per edificare una nuova Cina dopo aver fatto una rivoluzione durata oltre un ventennio), perché non gli vogliamo riconoscere, dicevamo, il diritto di criticare i loro dirigenti? Perché accettiamo le critiche (giuste e numerose) che essi hanno mosso a Stalin (che tuttavia hanno sempre considerato un grande rivoluzionario), ma giudichiamo quelle da essi rivolte a Mao (considerato, ovviamente, anch’egli un grande rivoluzionario) un delitto di lesa maestà? Nel prossimo ottobre si terrà il 16° Congresso del Pcc. La nostra speranza ardente e quella di tutti i comunisti umili che non intendono rifondare un bel nulla, è che quel Congresso ci dica che la grande, ardua, creativa, antidogmatica, e per questo difficilissima e forse anche pericolosa strada intrapresa della modernizzazione della Cina sta procedendo con successo e senza che si producano drammatici cambiamenti nella natura dello Stato e del partito comunista. Sì, è una speranza ardente, perché siamo internazionalisti, perché la presenza nell’arena mondiale di una potente repubblica popolare socialista incoraggia il movimento antimperialista, perché respingiamo la visione esangue, professorale che la borghesia può vincere sempre e comunque, sotto tutte le latitudini. O vogliamo trastullarci con il nientismo di Ingrao e le formidabili innovazioni teoriche del Nano seduto sulle spalle dei giganti? Occorre modestia, prudenza quando si parla della Cina.

Amedeo Curatoli

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