La diplomazia non serve

Carissimi compagni, ho partecipato all’incontro di Firenze e ne sono andato via anch’io amareggiato. Ho ancora presente l’accorata franchezza con cui Gabriele richiamava i marxisti-leninisti a rendersi conto della nostra inconsistente realtà. Quel richiamo l’ho condiviso, nel contenuto e anche nello "stile letterario".

Dovremmo smetterla di usare il linguaggio dei diplomatici (es. "prendiamo atto che non vi sono le condizioni…eccetera eccetera") altrimenti ci copriamo anche di ridicolo.

Una unificazione o anche un reale avvicinamento può avvenire, al di là delle chiacchiere diplomatiche, sulla base di posizioni politiche molto concrete e realmente condivise. Nel nostro movimento vi sono gruppi che hanno suonato il de profundis alla Repubblica popolare cinese. Questi gruppi più si sentono "autentici" marxisti leninisti più si scagliano con virulenza contro il Pcc, non rendendosi conto che vanno ad ingrossare le file dei comunisti rifondati. C’è trotskismo e trotskismo: uno vecchio, storico, uno attuale. Ambedue accomunati dall’aspirazione micidiale alla purezza rivoluzionaria: quello di ieri negava la natura socialista dell’Urss, quello di oggi nega il socialismo in qualunque angolo della Terra. Se diciamo che oggi esiste un’unica superpotenza che intende omologare l’intero universo alle leggi del capitalismo globalizzato, e contemporaneamente diffondiamo la convinzione che una nazione-continente composta da un quinto dell’umanità si è anch’essa fatta mettere nel sacco dal sovrano che siede alla Casa Bianca, bene, allora, coltivando amorevolmente la nostra purezza ideologica, allontaniamo i compagni e i giovani da una concreta prospettiva comunista inducendoli a trastullarsi con una Città del Sole di là da venire.

Non sto proponendo l’apologia e l’esaltazione della Cina: più semplicemente dico che la questione della natura "di classe" di un grande paese merita una discussione (arrivando a conclusioni vincolanti), non uno stupido anatema.

Siamo soliti dire che occorre un bilancio critico della storia della dittatura del proletariato in Urss; ammettiamo che fare un simile bilancio sarebbe un nostro dovere; che un ripensamento critico ci porterebbe ad innovare la nostra teoria e così via. Ma non andiamo mai oltre. Chi si è avventurato su questo terreno è Domenico Losurdo, i cui scritti ed interventi sono seguiti con molta attenzione dai compagni di Aginform. Penso che invece di perdere tempo a giocare a fare i diplomatici dovremmo discutere (arrivando anche qui a delle conclusioni vincolanti) se è vero che sulla questione dello Stato il marxismo ha ceduto all’anarchismo; se è vero che la catastrofe dell’Urss non si spiega con motivazioni di ordine economico; se è vero che in quel grande paese ha agito una spirale perversa utopia-stato d’eccezione. Mao Tsetung racconta l’aneddoto di un certo signor She che amava i draghi al punto di farseli dipingere sulle pareti di casa sua. Ma quando vide un vero drago in carne ed ossa morì di crepacuore. Cerchiamo di non fare come quel nobiluomo cinese, affrontiamoli questi autentici draghi, con tutte le possibili cautele. Vi saluto con affetto e cordialità.

Napoli, 20 marzo 2001
Amedeo Curatoli

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