KRUSCEV E DENG

di Fabio Cutaia

Se il presidente Mao è abitualmente (ed assai correttamente) identificato con il Lenin e lo Stalin della Cina, solitamente il suo erede Deng Xiaoping è assai significativamente qualificato come "il Kruscev cinese" E, in effetti, non è davvero poco ciò che accomuna la linea krusceviana a quella del cinese Deng. Entrambi - Kruscev e Deng - si son trovati a gestire le rispettive società socialiste rimaste dolorosamente orfane d’un capo carismatico, rispettivamente Stalin e Mao. Ed ambedue hanno operato nel senso d’un deciso ridimensionamento delle figure storiche e politiche dei loro predecessori. In questo senso il parallelo fra Kruscev e Deng può apparire scontato, e per molti in effetti lo è. Tuttavia - approfondendo - ci si rende abbastanza facilmente conto del fatto che il suddetto pur non del tutto inesatto parallelismo incontra in realtà limiti ben precisi.

Scrive in proposito Yves Chevrier (cfr. il suo "Mao Zedong e la Rivoluzione Cinese", Giunti Casterman; Collana XX secolo, pag. 13): «Disse Deng che "Noi non faremo a Mao quello che Krusciov ha fatto a Stalin". Artefice della demaoizzazione negli anni settanta, Deng Xiaoping è andato in realtà ancora più lontano di Krusciov. Ma nel caso cinese non c’è un "buon" Lenin per riscattare un "cattivo" Stalin. Mao va dunque bene al 70 per cento, male 30 per cento». In effetti - in confronto alla quasi totalitaria "destalinizzazione" krusceviana - la "demaoizzazione di Deng è stata assai più parziale. Mao è stato innanzitutto ridimensionato da quinto "classico" universale del "socialismo scientifico" a semplice interprete del socialismo in Cina (ed in questo importante ruolo è stato peraltro affiancato da uno stuolo di qualificati collaboratori: Chou En Lai, Liu Schao Chi e Chu Teh). Quindi gli si son attribuiti anche molto gravi "errori di sinistra" (sfociati soprattutto nella catastrofica "Rivoluzione culturale") che sarebbero stati poi beneficamente corretti proprio da Deng. A differenza di quella di Stalin, la spoglia conservata del presidente Mao è comunque rimasta in bell’esposizione nel suo mausoleo (sia pur circondata - come in un "pantheon" - dalle urne dei sopra rammentati suoi collaboratori).

Ma se il formale rispetto denghiano della memoria maoista non trova riscontro nel conclamato rigetto krusceviano della memoria staliniana, un altro importantissimo elemento divarica Kruscev da Deng e concerne proprio l’opposta valutazione dai due data sulla stessa figura di Stalin. Kruscev ha respinto la classicità ideologica del georgiano, Deng l’ha invece ribadita. Per Kruscev (e i sovietici successori) soltanto Marx, Engels e Lenin sono i venerati "classici" del "socialismo scientifico" mentre ad essi Deng associa (convenzionalmente se non altro) anche Stalin. E ciò - ben si badi - proprio sulla scia di Mao, seguendo la linea del quale Deng, almeno a parole «dà prova di un "antirevisionismo" assolutamente ortodosso condannando vigorosamente Krusciov e i suoi accoliti dopo il 1960" (cfr. "i Cinesi", B.U.R. Mondo Attuale; pag. 202). Deng - insomma - condanna Kruscev, difende Stalin ed onora Mao. E di tutto ciò si deve naturalmente tener ben conto.

Ma - come s’è sopra ben visto dalla citazione d’Yves Chevrier - egli « è andato in realtà più lontano di Krusciov» nella pratica. La sua politica è stata quella (riprendendo un’espressione di Chou En Lai) delle cosiddette "Quattro Modernizzazioni": agricoltura, industria, difesa, scienza e tecnica. Con esse egli ha occidentalizzato la Cina popolare. Ma «Alle "quattro modernizzazioni" Deng ha affiancato "quattro principi cardine" attinenti alla sfera politica. Essi sono finalizzati a impedire che la modernizzazione economico-sociale e il riformismo ad essa legato favoriscano i falsi principi del liberalismo e del democraticisrno borghese e a far sì che la Cina rimanga sotto il saldo controllo del partito comunista. I quattro principi sono stati cosi formulati da Deng: 1. "mantenere la strada socialista"; 2. "sostenere la dittatura del proletariato"; 3. "sostenere la direzione del partito comunista"; 4. "sostenere il marxismo-leninismo e il pensiero di Mao Zedong"» (cfr. Massimo L. Salvadori, "L’utopia caduta. Storia del pensiero comunista da Lenin a Gorbaciov"; Editori Laterza, pagg. 734-735). In questo senso - per quel che concerne Deng - «Una analogia può essere individuata anche fra lui e Gorbaciov» (op. cit., pag. 732): infatti entrambi tentarono di coniugare 1’occidentalizzazione - sempre deleteria - a livello socioeconomico (col suo purtroppo inevitabile risvolto di costume) con la pretesa salvaguardia del socialismo, ma - e ciò non va mai dimenticato - con l’importante differenza del richiamo almeno nominale di Deng anche a Stalin e Mao. Inoltre, Deng, i suoi "eltsiniani" li ha con grande audacia spazzati via a cannonate nel 1989 (stroncando coraggiosamente il tentativo di colpo di Stato filoamericano di Tien An Men). Fatto sta - comunque - che il "piccolo timoniere" ha espressamente posto (novello Guizot e Bukharin) l’imperativo "Arricchitevi!" alla base di quella sua politica delle "Quattro Modernizzazioni" che - sia pur temperata dai socialistici "quattro principi-cardine" - ha rappresentato nei fatti

una vera e propria "controrivoluzione culturale" (secondo la brillante definizione del francese Charles Bettelhaim). Ma - va sempre ribadito - questa "controrivoluzione culturale" è stata comunque condotta nel ripudio di Kruscev e nell’omaggio almeno formale a Stalin e Mao.

Non si può naturalmente dire se questo (paradossale?) "socialismo di mercato" alla Deng Xiaoping sppravviverà o meno a lungo al suo massimo fautore. Va tuttavia preso atto del fatto che - nel "reame" di Deng - da sempre «trionfa l’economia di consumo, perchè il Mao che si vede sulle bancarelle, impresso su tovaglie, orologi e accendisigari, è il prodotto in serie della nuova Cina mercantile" (cfr. il Corriere della Sera, 27/12/1993).

Ma intanto il culto c’è...

Fabio Cutaia

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