Ringraziare D'Alema?

Il titolo non sembri stravagante o provocatorio. Esso sintetizza un giudizio sulla nuova situazione che si è creata in Italia con la caduta del governo Prodi e l’avvento di D’Alema con il quale si è messo in movimento tutto il quadro politico, sia a destra che a sinistra.

Sia chiaro, il giudizio sull’uomo e la sua politica è netto. D’Alema è colui che ha esordito riciclando Cossiga. E’ colui che ha fatto da becchino ai suoi stessi compagni dell’ulivo, riprendendo lo stile doroteo nella gestione del potere e nel rapporto con i poteri forti: dalla Banca d’Italia, alla confindustria, al Vaticano. D’Alema è quello della revisione dell’accordo sulle pensioni e della politica delle privatizzazioni. Soprattutto D’Alema è l’uomo che ha gestito la guerra contro la Jugoslavia con e per conto degli americani.

Eppure noi dobbiamo ringraziare quest’uomo che dall’alto della sua imbecillità è riuscito a catalizzare una serie di contraddizioni rendendole esplosive in un tempo relativamente breve.

Il primo risultato della sua politica è stato la liquidazione del PDS, non tanto per il cambiamento ulteriore del nome (DS) quanto per il fatto che sotto la sua guida questo partito è stato messo in liquidazione e la sconfitta di Bologna ne è stata la conclusione più netta.

Ai compagni questo fatto potrà apparire poco rilevante, ma se consideriamo le cose per il peso oggettivo e non per il giudizio politico, dobbiamo mettere in evidenza un fattore di non poco conto: la fine del PDS è il fallimento di un tentativo di portare un pezzo importante della storia del movimento operaio dentro una prospettiva interna al sistema capitalistico. Gli attuali dirigenti di questo partito, D’Alema in testa, pensavano, magari con l’aiuto del ‘compagno’ Cossutta, di poter utilizzare i vecchi legami sociali costruiti dal PCI nel corso di decenni per stabilire un architrave su cui poggiare una politica liberista basata sul consenso sociale. Ebbene, in pochi mesi questa prospettiva è andata in pezzi. La crisi elettorale e politica dei DS si è manifestata in tutta la sua evidenza facendo rovinare al suolo una quercia ormai marcia dove arrivismo, mancanza di idee e spirito di servizio verso i poteri forti costituiscono un putrido verminaio che fa capire quanto questa crisi venga ‘da lontano’.

La crisi dei DS sta prendendo anche la forma di catalizzazione politica a sinistra, portando allo scoperto tendenze neoriformiste che non possono più accettare una egemonia di destra quale quella espressa dal governo D’Alema e cercano di differenziarsi aprendo anche nuove prospettive organizzative.

Sicchè, tra il radicalismo bertinottiano e la palude DS, sta emergendo un’area critica su cui si tenta di costruire una prospettiva di più lungo periodo che, riducendo le velleità del PRC, rimetta in piedi una moderna forza riformista di stampo occidentale.

Quale consistenza avrà questa forza e che ruolo andrà a svolgere è tutto da verificare. A scanso di equivoci, stavolta l’avvenimento non viene presentato come una nuova rifondazione comunista, che per ammissione degli stessi dirigenti del PRC non c’è mai stata, ma come un tentativo di dar corpo ad una forza parlamentare che sia in grado di rilanciare parole d’ordine riformiste, nel senso di una sinistra riformista che ponga una alternativa anche di governo al liberismo imperante.

La crisi dei DS è non solo crisi di un partito e della sua egemonia a sinistra, ma anche crisi di una politica. La politica di D’Alema ha trascinato dietro anche il modernismo liberista rappresentato da Prodi e soci, i quali anche se hanno reagito duramente non hanno potuto evitare la crisi di credibilità dell’ulivo.

Non dimentichiamo che Prodi ha rappresentato due cose importanti: la sconfitta di Berlusconi e l’avvio di una politica di modernizzazione che fosse in grado di legare l’Italia al carro europeo. Questi due successi sembravano avviare l’Italia verso una prospettiva di consolidamento, ma la sostituzione di Prodi con D’Alema ha anche significato un cambiamento di indirizzo nella gestione del potere che porta i nomi di Amato, di Cossiga, di Berlinguer, cioè il segno di una politica conservatrice senza smalto e dinamizzazione. Quindi assieme ai DS è entrato in crisi anche il governo e tutto ciò grazie alla ‘lungimiranza’ dalemiana.

Come giudicare dunque una situazione di questo genere? Con un colpo solo D’Alema è riuscito a distruggere un equilibrio di governo e il partito che ne era la spina dorsale. A questo punto i poteri forti stanno meditando di ritirare la loro delega al governo, direttamente rimpinguando l’area del Polo, indirettamente rimescolando le carte al centro e riattivando il trasversalismo. La talpa dalemiana ha ben scavato! Ai fermenti a sinistra e alla perdita di egemonia dei DS corrisponde però una ben più consistente ripresa della destra. Le grottesche vicende del KGB, la riapertura della pista ‘terrorista’, la sfilata dei big in piazza S.Pietro a baciare le mani al papa, fino alle celebrazioni della ‘caduta del muro’ sono le anticipazioni di un clima che bisogna prendere in seria considerazione. Noi ci rallegriamo del fallimento di D’Alema, ma non possiamo sottovalutare quello che ci aspetta in caso di vittoria del Polo. Per questo dobbiamo porci subito il problema di come attrezzarci.

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