Rileggendo gli scritti di Mao del 1956 ("A proposito del socialismo realizzato") e la coeva intervista a Togliatti su "Nuovi Argomenti" dopo il rapporto di Krusciov al XX Congresso del PCUS, appare ancora più anacronistico scegliere lantistalinismo come matrice di un nuovo inizio per il movimento comunista e rivoluzionario. Non è possibile disgiungere il revisionismo storico da quello politico. Allora, come ora, non era in discussione la critica, necessaria, possibile e finanche doverosa, ma la liquidazione conseguente e semplificatoria di unintera esperienza
"Non commettiamo gli errori di Stalin, e non commetteremo neanche quelli di Chruscev....." (Mao, 1961)
Ferdinando Dubla
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La chiave politica per linterpretazione storica è sempre stata oggetto di controversie e dibattiti accademici fra gli storici di professione; ma luso politico della storia è tipico della cultura dominante, che tende a "liquidare" il patrimonio storico delle classi avverse. Ciò non stupisce nessun marxista, che legge la storia secondo le diottrie della lotta di classe: dunque, anche il giudizio storico è parte della lotta delle classi. Nei suoi circa 150 anni di storia, il movimento operaio organizzato e il movimento comunista internazionale, ha accumulato esperienze, eroismi ed errori: chi si pone il compito di rifondare, allaltezza delle sfide del XXI secolo, il partito comunista per la definitiva emancipazione delle classi oppresse, può e deve ragionare sui nodi storici rilevanti, ma non può riservarsi atteggiamenti liquidazionisti o accentuatamente revisionistici.
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Il 1956 è un anno cruciale nella storia del movimento comunista internazionale del XX secolo. A ragione viene indicato come data di discrimine da diversi punti di vista. Per i revisionisti di sinistra, è lo svelamento di una mistificazione gigantesca: viene abbattuto il culto di Stalin, i suoi misfatti vengono a galla e il socialismo può liberarsi di due fardelli sanguinosi: il metodo della coercizione e della repressione totalitaria e una costruzione statuale sia da "Stato operaio degenerato" [le varie correnti del trotskismo storico] sia di "capitalismo monopolistico di Stato". Liberatosi da questi due pesanti fardelli, il comunismo può riprendere dal punto in cui è stato teorizzato e praticato solo in chiave rivoluzionaria di movimento, prima dal leninismo, poi, revisionato anche questo, dal marxismo delle origini (con una critica a Engels e alla sua, posteriore alla morte di Marx, "dialettica della natura"). Per i revisionisti di sinistra, il come si sviluppino gli eventi che portano al XX Congresso del PCUS (la condanna a morte di Berija, considerato il braccio destro e armato di Stalin, nel luglio 1953, il ruolo giocato da Krusciov nella lotta a Berija e nellemarginazione di Malenkov, ecc
) non sembrano oggetti di ricerca degni di considerazione. Né una valutazione, seppure a fortiori, delle politiche kruscioviane, la prima delle quali evidentissima, la consumazione di una gravissima rottura nel movimento comunista, quella tra URSS e Cina, in cui ovviamente si inserirà limperialismo statunitense e occidentale. La categoria di stalinismo per i revisionisti di sinistra sarà, dal 1956 in avanti, sinonimo di degenerazione burocratica, metodo dispotico di direzione, comunismo militare e dunque, negazione del comunismo, quello delle anime belle e pure, degli eroi senza macchia e senza paura.
Anche per il PCI del 1956, che si avvia dopo il rapporto detto segreto di Krusciov, al suo VIII Congresso e alla politica della via italiana, la critica allo stalinismo inizia a costituire un discrimine tra progressisti e conservatori, tra critici e ortodossi: e, sebbene allinizio in maniera cauta, anche grazie allintervista di Togliatti a Nuovi Argomenti e alla opportunistica considerazione di un diffuso senso comune nel popolo comunista e nei sentimenti di quadri e militanti favorevoli al mito di Stalin, successivamente viene sempre più avvicinandosi ai significati dei revisionisti di sinistra, una patente per assicurarsi laffidabilità interna e incarichi di direzione.
E sintomatico come il significato di stalinismo secondo i revisionisti di sinistra e la critica allo stalinismo da essi considerata necessaria per una militanza attiva nelle fila del movimento operaio organizzato, sia quasi identico a quello dei revisionisti di destra e a tutti i reazionari dellapologetica borghese. Fino a confondersi. La differenza, sostanziale certo, è che lo stalinismo per gli uni non implica la critica del comunismo, per gli altri naturalmente, lo confutano definitivamente. Ma il revisionismo, che è sempre storico e politico insieme, avvicina talmente le idee dominanti da lasciarsene contaminare: daltra parte, il revisionismo del marxismo e del leninismo è figlio generato da quelle.
Anche per i marxisti-leninisti il 1956 è anno discriminante, questa volta esattamente per il significato speculare a quello dei revisionisti di destra e di sinistra. Inizia a circolare insistentemente la categoria di tradimento: un tradimento dei princìpi che porrà le basi della degenerazione prima e del dissolvimento poi del mondo del socialismo costruito dalla Rivoluzione dottobre in poi e in particolare degli assetti del secondo dopoguerra. Ma è una categoria fragile, impotente di fronte a interrogativi rilevanti: perché mai la costruzione del comunismo in una società socialista di transizione quale lURSS, si blocca con la morte del protagonista assoluto di quella transizione? Un errore che un comunista non può commettere è quello di rendersi indispensabile nello sviluppo storico delle sue idee, il senza di cui quelle idee non sarebbero. Errori e limiti sono individuabili, eccome: pur rifiutando le interpretazioni revisioniste, di destra o di sinistra, il bilancio critico diventa sempre necessario per garantire proprio quello sviluppo storico. E lottica degli scritti di Mao e del PCC seguiti al XX Congresso del PCUS, proprio nel 1956 e che consente di superare lo stalinismo da sinistra, senza ripudiare il suo significato per il movimento operaio e comunista internazionale. Sono questi scritti che impostano la questione-Stalin in forme tuttaltro che liquidatorie e forniscono ai comunisti di tutto il mondo - per lorganizzazione del partito e della lotta di classe - gli strumenti per un bilancio critico dellesperienza storica del socialismo, per la battaglia contro il revisionismo moderno e per una corretta analisi di fase. Ma prima di soffermarci su alcuni elementi dellanalisi di Mao nel 1956, bisogna chiarire meglio i significati di revisionismo (vecchio e moderno, storico e politico) e quello dell"analisi di fase".
La necessità di un aggiornamento adeguato alle fasi storiche della teoria e dallimpianto "paradigmatico" di tipo scientifico elaborati da Marx, Engels e Lenin, la giusta esigenza di ammodernare lanalisi per renderla adeguata alle cosiddette condizioni oggettive, sono stati il pretesto per una revisione degli stessi princìpi da parte di chi sostanzialmente li rifiuta in quanto tali. La confusione è appunto quella tra revisione dei princìpi e analisi di fase e/o analisi "differenziata". Lanalisi di fase e/o "differenziata", che, correttamente intese costituiscono il concreto e creativo banco di prova dellelaborazione marxista, debbono discendere appunto da questultima. Il primo revisionismo mosse da Eduard Bernstein (1850-1932) e fu tutto in chiave antileninista, pretese la sua filiazione dal marxismo solo in quanto questo si diffondeva sempre di più nelle fila del movimento operaio.
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Lenin opera unanalisi di classe del revisionismo e lo comprende come fenomeno legato alla composizione sociale del proletariato e della borghesia, riesce a smascherarlo come estraneo al marxismo e distingue nettamente la necessità di unanalisi componenziale differenziata e di fase, da condurre secondo gli strumenti del marxismo rivoluzionario, materialismo storico e dialettico, da quella che discende da una revisione organica della teoria per annullarla in una chiave che non è ideologica, nellambito della teoresi astratta, ma concretissima. La questione della tattica e della strategia del partito comunista, dellorganizzazione di classe, il rapporto mezzi/fini, lidentità e la politica nella platea storica, è altro, radicalmente altro dal revisionismo e appartiene invece alla riflessione piena dellintero movimento operaio marxista e delle sue avanguardie riconosciute di classe.
Ciò che Lenin ha rappresentato per il primo revisionismo, Mao lo ha rappresentato per il revisionismo moderno, cercando, già dal 1956, subito dopo il XX Congresso del PCUS, di indicare le forme con cui cammina e si struttura nella lotta di classe. Moderno revisionismo dopo gli eventi del 1956, che avrà forza devastatrice quando non sarà adeguatamente contrastato proprio con le armi dellanalisi proposta da Mao. Analisi fecondissima ancora oggi, laddove si tenta un disgiungimento tra revisionismo storico e politico. La lotta al revisionismo storico infatti, quello che giunge allignobile negazionismo dei campi di sterminio nazisti o quello che in Italia mette su un falsopiano la lotta partigiana della Resistenza antifascista con i carnefici e gli aguzzini della dittatura mussoliniana o la retorica dei ragazzi di Salò (1), verrebbe rafforzata in maniera decisiva dalla lotta al revisionismo politico. Non può esserci la prima senza la seconda o, meglio, la lotta sui due piani è indisgiungibile. I marxisti debbono contrastare il revisionismo storico sul piano politico, oltrechè culturale, rivendicando la fertilità dei propri strumenti danalisi. Ripercorrendo lanalisi di Mao a partire, per questo aspetto così decisivo e rilevante, dal 1956.
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Mao, come già Togliatti, cerca di utilizzare strumenti marxisti nellanalisi storico-politica, evitando il dogmatismo autocelebrativo e nello stesso tempo il revisionismo liquidatorio:
"Come spiegare i gravi errori commessi da Stalin? Che rapporto vi è tra questi errori e il sistema socialista dellUnione Sovietica? La scienza della dialettica marxista-leninista ci insegna che ogni forma di rapporti di produzione e ogni sovrastruttura basata su questi rapporti di produzione nasce, si sviluppa e sparisce. (..) Il fatto che lUnione Sovietica abbia conseguito un rapido progresso economico dimostra che il suo sistema economico è in complesso, adatto allo sviluppo delle sue forze produttive e che il suo sistema politico è anchesso, in complesso, adatto ai bisogni della sua base economica. Gli errori di Stalin non ebbero origine dal sistema socialista: ne consegue che, per correggere quegli errori, non è necessario correggere il sistema socialista. La borghesia occidentale tenta di utilizzare gli errori di Stalin come prova degli errori del sistema socialista. Ciò è privo di fondamento. Cè anche chi cerca di spiegare gli errori di Stalin con il fatto che nei paesi socialisti lo Stato amministra leconomia e chi ritiene che se il governo dirige lattività economica, esso diviene inevitabilmente un apparato burocratico che ostacola lo sviluppo delle forze del socialismo. Questa argomentazione non è più convincente dellaltra. Nessuno può infatti negare che lo straordinario sviluppo economico dellURSS deriva precisamente dal fatto che lo Stato operaio assicura la direzione pianificata dellattività economica, mentre i principali errori di Stalin hanno ben scarso rapporto con i difetti di funzionamento dellapparato dello Stato nella direzione degli affari economici."(2)
E sono proprio i dati economici della "struttura" della società sovietica, certo grazie a una rivoluzione dallalto e a una mobilitazione permanente e irripetibile per la collettivizzazione e la rottura con l"arretratezza", a costituire non certo un modello, ma certamente il dato storico incontrovertibile da cui partire per lanalisi:
"La grande svolta promossa da Stalin coinvolge profondamente lintero paese: lagricoltura, con la collettivizzazione dallalto, accelerata e fortemente sostenuta con la coercizione (tuttavia, è bene ricordare, non solo di questo si è trattato, ma anche, sebbene non in tutte le zone, di un movimento di massa di contadini poveri contro i kulaki); lindustria, con la creazione, a ritmi frenetici, di immensi complessi per la produzione di mezzi di produzione; la scuola: nella popolazione tra i 9 e i 49 anni di età la percentuale di analfabeti scende dal 43% del 1926 al 13% del 1939; la percentuale di studenti universitari provenienti da famiglie operaie sale dal 30% nel 1928-29 a quasi il doppio nel 1932-33. 17 milioni di contadini tra il 1928 e il 1935 passano dalle campagne nelle città o nei nuovi poli industriali. La disoccupazione operaia è riassorbita nei primi due anni del primo piano quinquennale (cfr. A.Agosti, Stalin, Ed.Riuniti, 1983, pp.71-72). In pochissimi anni lintera società di un enorme paese subisce una trasformazione radicale come mai era avvenuto nella sua storia. La Russia è un immenso cantiere in continuo movimento, dove sono allopera, animati da passione ed entusiasmo, milioni di costruttori del nuovo mondo, di lavoratori che hanno la possibilità, un tempo impensabile, di una grande mobilità sociale verso lalto. Il consenso di massa che questa politica ottiene non è fittizio, né coatto, poggia su una base sociale reale."(3)
Per Togliatti, che risponde nel maggio alle 9 domande sullo stalinismo, la rottura della legalità socialista si ha proprio perché i successi nella struttura economica, avvenuta grazie ad una mobilitazione delle masse, fa presupporre che la mobilitazione possa essere permanente sospendendo la costruzione della democrazia sovietica: piuttosto che il fumoso "culto della personalità", il segretario del PCI chiama alla correità lintero gruppo dirigente del PCUS e principalmente su un punto: la mobilitazione produttiva doveva accompagnarsi ad unaltrettanto forte mobilitazione di controllo e di indirizzo, capace di sviluppare i contenuti della democrazia socialista e la sua possibile autocorreggibilità interna, piuttosto che accusare solo ed esclusivamente il sabotaggio esterno:
"I successi ottenuti furono qualcosa di molto grande, di grandioso, anzi. Fu creata una grande industria socialista, e fu creata senza aiuti o crediti dallestero, attraverso un impegno e uno sviluppo delle forze interne della nuova società. Fu trasformata, anche se in modo meno sicuro, attraverso notevoli difficoltà, fretta eccessiva ed errori, la struttura sociale delle campagne. I risultati ottenuti erano qualcosa che mai al mondo era stata veduta, che fuori dellUnione Sovietica pochi avevano creduto possibile. (..)" (4)
Ma i successi portarono allerrata considerazione che tutti i problemi fossero risolti, che tutte le oggettive contraddizioni fossero appianate: ma proprio le contraddizioni, comera anche nella concezione di Mao, pur secondarie, se non risolte con lopera creatrice delle masse, inevitabilmente erano destinate a diventare principali:
"Queste contraddizioni oggettive, queste difficoltà, questi contrasti sono spesso, nel corso della costruzione di una società socialista, molto gravi, e non possono venire superati se non vengono riconosciuti in modo aperto, chiamando le stesse masse operaie e lavoratrici ad affrontarli e risolverli con il loro lavoro, con la loro opera creativa."(5) La prima conseguenza fu che "il vero dibattito creativo a poco a poco venne scomparendo, e quindi la stessa attività delle masse a ridursi, movendosi più per direttiva dallalto che per stimolo proprio. Ma la seconda conseguenza fu più grave ancora ed è che quando la realtà riprendeva i suoi diritti, e le difficoltà venivano fuori, come conseguenza degli squilibri e dei contrasti che tuttora erano nelle cose, si manifestò e a poco a poco finì per prevalere su tutto la tendenza a considerare che sempre e in ogni caso il male, larresto nellapplicazione del piano, la difficoltà negli approvvigionamenti, nellafflusso delle materie prime, nello sviluppo delle diverse parti dellindustria o dellagricoltura, ecc.., ecc.., fossero dovuti al sabotaggio, allopera del nemico di classe, di gruppi controrivoluzionari operanti clandestinamente e così via." (6)
La lettura di Togliatti non è dunque affatto liquidazionista, ma cerca di scavare più in profondità rispetto alla nuova esegesi revisionistica proposta da Krusciov, accusata di essere fuori del criterio di giudizio che è proprio del marxismo e indiziata di forte opportunismo. Non solo, ma nella stessa intervista il leader del PCI tiene ferma la barra della critica irriducibile alla falsa democrazia capitalista, la cui fonte del potere non è la volontà popolare, ma la ricchezza indebita proveniente dalla proprietà privata dei mezzi della produzione e di scambio: utilizza, cioè, gli strumenti della lettura di classe, del marxismo, per rivendicare la fecondità del punto di rottura rivoluzionario dellOttobre del 17 e la sua continuità nella costruzione dello Stato socialista sovietico.
Insomma, sia Togliatti che Mao avvertono che il processo di destalinizzazione avviato non è risultato di unesigenza di una rilettura pur critica dellesperienza socialista dellepoca di Stalin, ma di dinamiche di potere che pur salgono paradossalmente sul banco degli imputati. Ed entrambi danno una preziosissima lezione di storia politica e di filosofia marxista. Lidea di fondo è che il bilancio critico dellesperienza storica, necessario e fecondo esercizio di autocritica per lanalisi di fase e la progettazione strategica di un partito comunista, deve essere scevro da strumentalismi ed utilizzare le possenti armi dialettiche ed ermeneutiche della propria stessa tradizione. Oggi come ieri.
[Rimaneggiamento dellintroduzione dello stesso autore a: Mao-Tse-Tung: Sullesperienza storica del socialismo - Scritti (1956), Nuova Editrice Oriente, 2002]
(1) [in ambito storiografico il termine indica dunque latteggiamento di chi sostiene la necessità di correggere opinioni o tesi storiografiche ritenute correnti o dominanti, sulla base o di nuove acquisizioni documentarie o, semplicemente, di un diverso orientamento politico e/o culturale. In tempi recenti va ricordato il revisionismo propugnato in sede storiografica da studiosi (E. Nolte, R. De Felice, ecc.) fautori di una "revisione" delle interpretazioni tradizionali del nazismo e del fascismo. Revisionisti estremi hanno contestato lesistenza stessa dell"Olocausto" (negazionismo)]
(2) Mao Tse Tung, Ancora a proposito dellesperienza storica della dittatura del proletariato, 29 dicembre 1956, sta in Opere, cit., pp.254/255
(3) Cfr. A.Catone, La transizione bloccata- Il modo di produzione sovietico e la dissoluzione dellURSS, Laboratorio Politico, 1998, pag.172. Lautore propone dunque la categoria di arretratezza e della rottura del suo blocco, per comprendere un fenomeno comunque irripetibile nelle straordinarie trasformazioni cui dà luogo: "Il mito di Stalin e dellURSS si fondava su dati di fatto oggettivi. La rivoluzione dOttobre e il modello di Stalin, che prende forma e si afferma tra la fine degli anni Venti e gli anni Trenta, hanno rappresentato agli occhi di centinaia di milioni di individui oppressi e diseredati la possibilità di uscire dallarretratezza attraverso una via non capitalista di sviluppo, nel momento in cui limperialismo generava, nel movimento contraddittorio del capitale, sottosviluppo in vaste aree del globo. E proprio dalla questione dellarretratezza si dovrebbe partire nel delineare un profilo delluomo che ha guidato, nel bene e nel male, una delle più grandiose trasformazioni sociali della storia", ivi, pp.168-69.
(4) Cfr. Palmiro Togliatti, Opere, vol.6-1956/64, Editori Riuniti, ed.1984, pag.138. E il testo integrale dellintervista concessa alla rivista Nuovi Argomenti diretta da Alberto Moravia e Alberto Carocci. Nel numero 20 del maggio-giugno 1956 la rivista aveva rivolto "9 domande sullo stalinismo" a uomini politici e di cultura di diversa parte politica.
(5) Ibidem
(6) Ivi, pag.139
Ferdinando Dubla