Quando si perde una giusta causa

C’era da aspettarselo, ma la visione delle tronfie facce degli esponenti del governo della Casa della libertà (provvisoria) e degli opportunisti di ogni genere del moderatismo compatibile che avvelena il campo della sinistra (di centro), non è uno bello spettacolo per chi ha a cuore le sorti del mondo del lavoro. La guerra del capitale contro il lavoro dopo il 16 giugno è ripresa vigorosa: non si era mai fermata, ma l’affermazione del capo dei padroni dopo il non raggiungimento del quorum al referendum sull’estensione dell’art.18 è meglio di qualunque bel saggio sulle virtù della democrazia liberal-liberista: voi 11 milioni? E noi il 75% restante!! E ora, via i brandelli dei diritti rimanenti, precariato per tutti, disoccupazione per molti, dateci le vostre liquidazioni, le vostre pensioni, i giovani lavoratori, meglio al Sud, sono carne da macello da sacrificare al dio-profitto. La "democrazia" del capitale è questa: disoccupazione, precarietà, guerre, lotta a cannonate contro i proletari alle frontiere, bugie e manipolazioni mass-mediologiche. Già i mass-media della libertà di stampa. Ricordate? Il referendum era scomparso dalle prime pagine durante tutto l’arco della campagna elettorale, è ricomparso il martedì del quorum non raggiunto. Quali le lezioni da trarre quando si perde una giusta causa?:

- la giusta causa dei lavoratori non può essere affidata agli strumenti della cosiddetta democrazia liberal-liberista, come un referendum. Certo, ogni forma può essere opportuna, tutti gli spazi devono essere esperiti: ma quando ciò accade, non si va allo sbaraglio, ma si tesse (preventivamente) la trama delle alleanze tattiche e strategiche utili alla classe. Ma l’esperienza storica del movimento operaio, troppo vituperata e poco compresa e assimilata da chi si ripropone (nientedimeno) che rinnovarla, prova che i diritti e le conquiste dei lavoratori si impongono con la lotta di classe, quella dura, e che questa determina poi i rapporti di forza politici;

- il "movimento" non produce egemonia: questo per la semplice ragione che la fusione dell’antagonismo diffuso in mille modi e le forme tradizionali dell’antagonismo operaio deve ancora avvenire in modalità compiuta. Il compito della fusione è un compito di costruzione, non appunto un dato di fatto come vorrebbe l’apologetica della maggioranza del gruppo dirigente del Prc;

- i compiti che la fase assegna a un vero partito comunista è quello di promuovere la lotta di classe nella società, di fondere tutte le dimensioni del movimento antagonista, di far pesare questo nei rapporti politici. I circoli di Rifondazione sono stati spremuti come limoni nell’ultima battaglia persa: è c’è chi blatera di scarso impegno o simili amenità per nascondere la cattiva impostazione di una battaglia che andava comunque intrapresa;

- il centro-sinistra è una gabbia ad egemonia moderata: giocare sul suo tavolo è scivoloso, ma altrettanto stolido è giocare senza carte vincenti. Nelle famose discriminanti programmatiche per un confronto unitario, il Prc deve insistere su punti irrinunciabili per una strategia di radicale modifica dei rapporti di forza, non continuare a cambiare cavalli di battaglia "simbolici", che sembrano delle "una tantum" in un mare di compatibilità. Di qui l’inefficacia, la scarsa credibilità e la scarsa presa di massa (e la difficoltà di radicamento popolare organizzato).

Nel documento proposto (e respinto) nella direzione del PRC del 17 giugno u.s. dall’area dell’Ernesto si legge infatti, pur all’interno di un’analisi con ancora eccessive timidezze: "Su questo argomento la domanda che dobbiamo porci oggi è la seguente: sono maturate nello schieramento di centro-sinistra, sui nodi di fondo su cui ci siamo divisi in passato, delle posizioni diverse? Sulle politiche economiche, per esempio, c’è la disponibilità a rivedere le scelte di privatizzazione e di precarizzazione del mondo del lavoro? Sulle questioni istituzionali si è disposti a riconoscere i danni causati dalla deriva maggioritaria e presidenzialista? E sulle questioni internazionali saremmo in grado di scrivere nel programma che in caso di vittoria dello schieramento progressista si osserverebbe il rispetto rigoroso dell’art. 11 della Costituzione? O si accetterebbe di rimettere in discussione la presenza di basi militari straniere e di armi di sterminio sul territorio italiano? "

Ai comunisti viene spesso rimproverato di essere troppo innamorati delle proprie impostazioni ideologiche: ma sia Marx che Lenin erano degli acuti analisti della realtà da cui facevano discendere le tattiche necessarie per rendere efficace una strategia rivoluzionaria. Oggi, la sconfitta di una causa giusta, è figlia di quell’esperienza o non di quella tipica del liberalismo borghese che descrive sempre la realtà secondo le deformanti leggi della sua ideologia? Se davvero, ad es., si crede alla libertà di stampa in ‘regime democratico’, perché poi lamentarsi dell’oscuramento subìto quando in ballo vi sono corposi interessi di classe?

La "democrazia del capitale" non esiste, è una contraddizione in termini: questo i comunisti lo sanno e si organizzano per renderlo palese alla propria classe, al proletariato, alle larghe masse.

La giusta causa è lavorare per la prospettiva del potere ai lavoratori, per una società socialista. Giusta causa è lavorare per rifondare realmente lo strumento di organizzazione per l’emancipazione definitiva della classe.

Redazione Lavoro Politico
19 giugno 03
(www.lavoropolitico.it)

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