Bertinotti e il gruppo maggioritario del PRC continuano nella politica degli "strappi" e delle "svolte" per tagliare il cordone ombelicale comunista: il PSE, il tema della non-violenza, la spirale guerra/terrorismo, la fuoriuscita dal leninismo, la religiosità. Lunica strada da intraprendere, per contrastare questa deriva, è lunità dei comunisti per lunità della classe
"Lo strappo" fu intitolato un libro di Armando Cossutta nel 1982, che riprendeva nel titolo la sua incisiva espressione riguardo allaffermazione di Enrico Berlinguer, segretario dellallora PCI, sullesaurimento della "spinta propulsiva" della rivoluzione dOttobre del 17. Oggi il presidente del PdCI fa marcia indietro e dichiara che Berlinguer aveva ragione. Noi continuiamo a credere che avesse ragione lui: e da allora in poi, di "strappi", vere e proprie lacerazioni, se ne sono succeduti a iosa. E stato un continuo rincorrere sul terreno lavversario: con una grave perdita di autonomia, naturalmente politica, ma prima di questa, teorica, ideale, culturale. Eppure gli avvenimenti hanno la "capa tosta": il conflitto di classe continua ad essere lanima della società capitalista, limperialismo dispiega la sua potenza criminale sulle sofferenze e la miseria di milioni di sfruttati e dunque ripropongono con urgenza il ripristino di quellautonomia.
E proprio contro questesigenza di autonomia che Bertinotti e il gruppo dirigente maggioritario del PRC ha sferrato unoffensiva in questi mesi, fatta di "strappi", lacerazioni, "svolte" e svoltine. Niente di nuovo sotto il sole, "miseria della filosofia", avrebbe commentato il nostro saggio Karl Marx. Eppure, proprio perché il PRC è unesperienza politica di centinaia e centinaia di comunisti del nostro paese, nato per opporsi al "liquidazionismo" ultrarevisionista e capitolardo, bisogna entrare nel merito di questi ulteriori "strappi". E chiedersi il che fare.
- Il Partito della Sinistra Europea (SE) è ormai un dato di fatto politico: un evento destinato a lanciare una sfida di egemonia allintero movimento antagonista e anticapitalista del vecchio continente. I principali artefici di questa sfida sono, non casualmente, la PDS tedesca, formazione che nasce dalle ceneri del Partito Comunista della Germania dellEst e ansiosa di accreditarsi nei salotti alternativi occidentali, e il PRC italiano. Non a caso, perché la parabola della rifondazione sta per trovare compimento in un azzeramento di fatto (e ormai apertamente teorizzato) del suo termine costitutivo, "comunista". E certo, il PSE, un "rassemblement" eclettico, ma esistono presupposti e coordinate che non solo mirano ad assumere la guida della formazione, ma strategicamente sono volti a imprimere una direzione politico-ideale al "movimento dei movimenti". Basta leggere il dibattito accesosi e sviluppatosi nel mese di gennaio sulle colonne di Liberazione (fuori da ogni discussione vera nelle istanze di partito deputate alle decisioni) per comprendere quali sono questi presupposti e queste coordinate: gli stessi esponenti della maggioranza del PRC, hanno dovuto faticare non poco a rincorrere il Bertinotti-pensiero tra interviste e articoli, convegni e scritti molto spesso fuori dalle regole minime di formazione di linee politiche non di un partito comunista, ma di qualsivoglia organizzazione politica. Cè stata unaccelerazione improvvisa, una forzatura voluta: comprendendo molto bene come questa fosse lunica maniera per frantumare e disperdere le pur labili forme di resistenza interna. Perché tutto il dibattito si sarebbe centrato sul metodo piuttosto che sul merito: come è puntualmente avvenuto. E invece andiamo al merito:
- la costituzione del PSE avviene senza una rigorosa analisi della specifica morfologia del capitalismo europeo (e dei suoi rapporti con il capitalismo americano) e dunque senza comprendere le forme che già assume e sempre più assumerà limperialismo europeo. Per una forza "antiglobalizzazione" ciò è vitale, per una forza comunista sarebbe assolutamente necessaria. Ma, appunto, è il comunismo il convitato di pietra. Lopposizione a questa operazione del KKE greco e del PC di Boemia e Moravia, non è un caso. Il comunismo viene destrutturato non nella versione del 900, ma nei suoi fondamenti storici costitutivi:
- la violenza deve essere espunta come arma delle classi subalterne. Essa, si dice, è larma dei poteri dominanti. Dunque, se mezzi e fini non possono che coincidere, pena il ripetersi delle "tragedie" del XX secolo (come le foibe titine, assurte da Bertinotti in un convegno come simbolo degli "orrori" della "nostra parte"), la non-violenza è lunica forma assoluta di lotta.
Nel dibattito sviluppatosi nel PRC su questo, cè, a mio parere, un impianto ingannevole di discussione. Infatti nessuno si sognerebbe di proporre la violenza come valore assoluto, proprio perché, connaturato al pensiero comunista è il segno di classe della violenza come arma delle classi dominanti. Lasimmetria è che Bertinotti, nonostante alcune specificazioni, insiste nel proporre la non-violenza come valore assoluto.
Ora, questo è indubbio che costituisca un vero e proprio "strappo" rispetto allelaborazione non solo leninista, ma marxista. Niente di scandaloso, ma sia chiaro che così non si rifonda "il comunismo" ma si ripropone lassolutizzazione valoriale tipica di altre correnti di pensiero, religiose e laiche. Marx ed Engels, e con loro successivamente Lenin, hanno combattuto una strenua battaglia contro luniversalizzazione di categorie trascendenti lo "storicamente determinato": tantè che su questo si criticarono le formazioni economico-sociali borghesi che si presumevano (come le leggi delleconomia politica) appunto universali. Non è un dettaglio, ma un punto dirimente dellanalisi marxista e su cui ad es. Gramsci innestò la differenziazione tra "guerra di movimento" e "guerra di posizione", nonché il rifiuto di accondiscendere su un terreno antropologico per determinare le caratteristiche di unumanità generica, su cui si è sempre fondata la sistematicità valoriale delle religioni (nei loro fondamenti, sintende, altro discorso la convergenza dazione, i temi della liberazione ecc.).
La non-violenza, e la disobbedienza, sono forme di lotta determinate dal contesto storico-politico e dallanalisi di fase: se si afferma che, qui e ora, nel cuore delloccidente, possono essere forme di lotta da privilegiare, nulla da obiettare. Esse vanno verificate nella pratica concreta e giudicate nel merito dei risultati che per le classi subalterne hanno in termini di efficacia. Ma la pretesa che ciò valga in tutte le epoche storiche, passate, presenti e future, e in tutte le latitudini, è una pretesa universalistica che nemmeno Gandhi si sarebbe sognato di proporre.
La lotta di classe viene ingabbiata così in una sola forma possibile e se non si accetta questo assioma assoluto, si finisce per accettare quella incredibile categoria direttamente prestata dalle classi dominanti, la spirale guerra-terrorismo. E ogni assioma, come si sa, oltre a non dover essere confutato, ha delle conseguenze pratiche: è terrorista chiunque brandisca larma della resistenza armata, anche popolare e di massa, o non-pacifica per rispondere alla guerra. Ed è così che terrorista rischia di divenire tout-court lavanguardia palestinese: e, a ritroso, il movimento dei partigiani italiani, i vietcong vietnamiti, il Che Guevara. Il terrorismo viene a definirsi per la forma di lotta, non per lassenza di un movimento di massa e popolare al perseguimento dei suoi obiettivi.
- La fuoriuscita dal leninismo (obiettivo vero, come avevamo già annotato, del V° congresso del PRC) è fondamentale per il disegno bertinottiano (che, però, come si vede, ha un respiro quantomeno europeo). Il leninismo, infatti, oltre allanalisi marxista dellimperialismo, alle forme della lotta di classe e del ruolo delle avanguardie nella sua organizzazione, ha un nucleo centrale che non è possibile "revisionare" ma deve essere cancellato. Questo nucleo forte è nella questione del potere. Il leninismo indica lì, nel potere politico, e nellesame della sua struttura materiale specifica (Lenin guida un movimento rivoluzionario in un paese che non ha raggiunto la "maturità" del capitale) larchitrave del rovesciamento dei rapporti sociali: in questo, sviluppando creativamente le basi della riflessione e della prassi marx-engelsiane. Il leninismo dà una risposta compiuta alla richiesta di "un mondo diverso è possibile": è possibile, ed è il socialismo, il superamento delle antinomie sociali, con una connotazione di classe specifica e affatto indeterminata: legemonia della classe operaia e dei suoi alleati nel proletariato complessivamente inteso come classe dei produttori associati, salariati del lavoro servile.
Lubiquità dei poteri è, al contrario, un altro assioma assoluto: il moderno potere, si dice, ha diverse dislocazioni senza un centro effettivo. Dunque, tanti poteri, nessun potere da conquistare. E se non cè nessun potere da conquistare, lunica forma della lotta conflittuale è la non-violenza, la disobbedienza, che debbono caratterizzare un movimento senza fini strategici, perché il "mondo diverso" sarà lesito di un "processo" indistinto e indefinito, di una ricerca incessante, come il rotolare nella botte di Diogene filosofo con la sua lucerna.
M. Revelli, intellettuale impegnato su questi temi con la pretesa di unoriginalità innovativa post-novecentesca (e si sa, che tutti i post sono al contrario più debitori delle forme criticate e dunque affatto creativi) scrive su Il Manifesto del 18 gennaio u.s., che al posto della "conquista del potere", bisogna passare alla "produzione di relazionalità". Cosa questo significhi in concreto non è dato di sapere (o è il vecchio sogno proudhoniano?). Forse che laffermazione di nuove relazioni umane prescinde da come gli uomini organizzano complessivamente le loro relazioni sociali e i rapporti di produzione? Ciò che colpisce in queste affermazioni apodittiche è la loro pretesa assolutizzazione, una ricerca dell"universale" che prescinde dalle situazioni concrete e determinate. Cioè è labbandono completo del marxismo e una nuova forma di idealismo utopico. Ancora una volta, niente di nuovo sotto il sole.
Viene in mente la critica che il grande educatore sovietico Makarenko muoveva agli apologeti del formalismo metodologico; egli individuava tre tipi di errori: la predilezione deduttiva, il feticismo etico e lassolutizzazione dei valori. Vizi di un idealismo addirittura prehegeliano, in quanto non dialettico. Lanticipazione deduttiva (non basata sullesperienza), un certo tipo di valori morali resi feticci astorici, la presunzione di dettare valori al di fuori della prassi storico-concreta.
Alle classi subalterne si chiede dunque di rinunciare al potere per strutturare "relazioni" e di abbandonare per principio forme di lotta che siano rispondenti ai vari contesti storico-sociali. In cambio, cè lassunzione di nuovi principi assoluti, trascendenti le condizioni materiali di vita. Una nuova forma di religiosità, dunque, pur laica. E, a questo proposito, non è indifferente che sulle pagine di Liberazione e nel PRC si sia sviluppato il dibattito se la religione sia ancora da considerarsi oppio dei popoli (che, come si sa, è direttamente definizione marxiana). Con la risposta che ci si poteva aspettare da chi oggi ha le redini e la direzione dellorganizzazione politica: la religione non è più loppio dei popoli. Ma la ragione di questa risposta è più implicita che esplicita: il movimento dei movimenti ha una forte componente cattolica che, tra laltro, proprio in assenza di una compiuta cultura comunista che possa confrontarsi in autonomia, mira ad unegemonia di fatto sullo stesso. Categoria, "egemonia", di derivazione gramsciana, che il PRC già dal V° Congresso aveva criticato e messo al bando.
- E dunque una vera e propria offensiva politica e culturale contro i principi della tradizione comunista quella a cui stiamo assistendo. In sua vece, ma in maniera stupefacente con la pretesa di conservarne la denominazione, un impasto eclettico che proviene dallo stesso XX secolo che ci si vorrebbe allegramente buttare alle spalle. Cosa rimarrà nella storia di questo impasto non è ancora intellegibile. Ma concretamente rischia di annichilire non solo la memoria, ma ciò che dalla memoria può essere strumento di emancipazione per le nuove sfide che abbiamo davanti. La rinuncia al marxismo e al leninismo da parte di comunisti "rifondati" rischia di privare (o mira a privare?) la classe del suo strumento organizzativo per tentare di costruire la società socialista.
E non basta per questo porsi in maniera autoreferenziale rispetto alla tradizione solo italiana del comunismo, come fa il PdCI, anche perché manca completamente un vero bilancio critico di quellesperienza (perché si è autoliquidata?) per assumerne solo formalmente leredità, svuotata di contenuti antagonisti. Unalterità che confligge con lelaborare una prospettiva strategica di internità alla coalizione di centro-sinistra. Perché una cosa sono le alleanze, necessarie e da costruire in una sfida egemonica, unaltra linternità, che svuota la ragion dessere di quellalterità (appunto, solo formale). E non basta, da un altro versante, insistere su un mero ruolo di testimonianza e di vestali dellideologia, come in molte esperienze minoritarie si tentano e continuano a tentarsi, non ponendosi il problema del ruolo storico effettivo dellorganizzazione politica dei comunisti.
- Lunica strada da intraprendere è quella della faticosa ricomposizione: lunità dei comunisti per lunità della classe. Un processo che deve essere avviato a prescindere dai gruppi dirigenti che si sono posti alla direzione di organizzazioni che non vogliono e possono rinunciare a un termine, "comunista", che li pone in condizione di godere di una rendita di posizione.
Lo ha scritto a suo tempo Carlo Levi, ne Lorologio, del 1951: "Eravamo partiti che volevamo la rivoluzione mondiale, poi ci siamo accontentati della rivoluzione in Italia, e poi di alcune riforme, e poi di partecipare al Governo, e poi di non esserne cacciati. Eccoci ormai sulla difensiva: domani saremo ridotti a combattere per lesistenza di un partito e poi magari di un gruppo o di un gruppetto, e poi, chissà, forse per le nostre persone, per il nostro onore e la nostra anima: cose sempre più piccole e più lontane, e unastratta passione, sempre uguale. E triste: ma vedrai che andrà così. (..) Ma ci deve essere una strada; tanto più si può essere spregiudicati, quanto più si sa quello che si vuole, e si è chiari e intransigenti."
E una strada faticosa, forse troppo lenta per lemergere dei problemi che, ad es., ci pone la politica reazionaria e aggressiva delle destre al potere (altro che "ubiquità dei poteri"!). Ma è lunica strada.
Ferdinando Dubla