GEOPOLITICA E SOCIALISMO

Crediamo che il bombardamento dell'ambasciata cinese a Belgrado abbia chiarito più di tanti discorsi il senso della discussione che abbiamo aperto sulla Cina.

La lettera del compagno Cozzani, che pubblichiamo in questo foglio con un commento specifico, ci fornisce l'occasione per tornare sull'argomento ed estenderlo a due questioni che rappresentano altrettanti riferimenti per una discussione tra compagni.

Il primo di questi argomenti è di carattere geopolitico, questione che si è tenuta in poca considerazione nel passato e che ha generato parecchi equivoci. Ci riferiamo al fatto che nello scontro col revisionismo si è persa di vista una questione di non poco conto, che sono i rapporti di forza internazionali e quindi la mancata separazione tra dibattito teorico e strategico e alleanze internazionali. Non vi è dubbio che questa mancata separazione ha giovato non poco all'imperialismo, che ha lavorato per approfondire le divisioni e modificare i rapporti di forza a suo favore. Per ragionare in termini maosti, abbiamo trascurato la contraddizione principale mettendo al di sopra di tutto il dibattito ideologico e lo scontro tra tendenze nel movimento comunista. Il fatto che questo scontro non solo si sia risolto a favore del revisionismo, ma anche e soprattutto dell'imperialismo, deve farci riflettere per il futuro, nel senso che, senza rinunciare al dibattito, bisogna saper impostare i rapporti in modo che essi risultino il più possibile a nostro favore. Molti compagni invece si sono chiusi in posizioni che non consentono di valutare i rapporti di forza sul campo e quindi di agire politicamente. Ci si è riferiti a comportamenti da terza internazionale sotto la direzione di Stalin quando, non solo l'internazionale non esisteva più, ma esisteva una realtà mondiale molto complessa.

La caduta del socialismo all'Est ha messo in evidenza, al pari della sconfitta in Afganistan, quali siano le conseguenze della eliminazione di certe situazioni che, anche se non corrispondono al nostro punto di vista, sono però tali da incidere nei rapporti di forza complessivi. Per quanto ci riguarda, da molti anni siamo abituati a ragionare diversamente, consapevoli non solo della nostra debolezza, ma di quella più generale del movimento rivoluzionario che riteniamo che in queste condizioni possa avanzare tenendo in debito conto tutte le possibilità che gli si offrono. Purtroppo questo punto di vista non corrisponde a quello di molti compagni che, pur avendo un giusto orientamento teorico e di principi, non si sforzano di uscire dal ghetto per combattere le battaglie in campo aperto e con una progettualità politica. Di questo approfittano i maestri della realpolitik per metterci all'angoletto e ridurci a rango di sette. Essere minoranza non vuol dire essere minoritari; se imparassimo questo, già potremmo f are come comunisti e come marxisti leninisti qualche passo in avanti. Quindi quando parliamo di Serbia, di Libia, di Corea del Nord di Cina, cerchiamo di non storcere la bocca, bensì di capire bene il loro ruolo in questa fase. Non dimentichiamoci che il Papa è stato invitato a Cuba da Fidel.

I problemi rivoluzionari vanno risolti nella pratica e nel contesto storico in cui essi si pongono, ci piaccia no. Bombardando la Jugoslavia e l'ambasciata cinese, gli imperialisti sembra che abbiano capito meglio di noi quali sono gli obiettivi di fase.

Il dibattito sulla Cina non è comunque relegabile a questioni, pur giuste, di geopolitica. Sulla Cina ci sono altre questioni da affrontare e che spesso i compagni rimuovono sull'onda di un provincialismo ideologico che è il retaggio di anni di sclerotizzazione del pensiero comunista. E' vero, la sconfitta della rivoluzione culturale, il sogno della rivoluzione egualitaria è stata per tutti i compagni la fine di una speranza che il comunismo fosse a portata di mano e che bastasse vincere le tendenze revisioniste per consolidarlo. Ma il comunismo non si realizza nella miseria, bensì sviluppando le forze produttive e dislocando in avanti le relazioni economiche e sociali. L'URSS è crollata su queste questioni e non possiamo addossare solo al revisionismo la colpa, perchè allora dovremmo domandarci perchè esso ha potuto vincere e in che rapporto questa vittoria stava alla situazione oggettiva. Un dibattito sul socialismo all'Est è dunque nell'ordine delle cose e noi invitiamo i compagni a porsi alcuni interro gativi. Essi ci consentirebbero di inquadrare la vicenda cinese in un'ottica diversa, che è quella a cui si riferiva il compagno Dori nella sua lettera.

Un miliardo e duecento milioni di persone che, grazie ad una rivoluzione diretta dai comunisti diventano protagonisti non solo della loro storia, ma della storia mondiale, costruendo una società avanzata, meritano sicuramente una certa attenzione. I compagni cinesi dicono che il primo compito del socialismo è dare da mangiare alla gente. Solo partendo da questo e dalla capacità di tener testa alla competizione internazionale col capitalismo, rovesciandone i valori, ma tenendo ben conto dei livelli tecnologici e scientifici da esso raggiunti, si può tentare di vincerla.

Il crollo dell'URSS e dei paesi dell'Est ha dimostrato che quando si trascurano questi livelli si va verso la bancarotta. Per noi la riproposizione della discussione sulla Cina ha questo valore e non certamente quello di riproposizione di modelli.

Il moderno revisionismo ci propone di superare la discussione sul socialismo realizzato per riproporre l'astrattezza del comunismo come orizzonte astorico. Noi riteniamo, al contrario, che bisogna ripartire dalla storia del movimento comunista, nella sua interezza, per capire il rapporto con la condizione oggettiva e con gli errori commessi.

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