Due ipotesi e una necessità
Questioni di prospettiva per l’organizzazione comunista

Difendere un patrimonio storico non può bastare, come spesso si è detto in questo foglio, a delineare una prospettiva strategica. Per questo dobbiamo ritornare su questioni già abbozzate che diventano un banco di prova per chi si muove in una prospettiva comunista.

Intanto le due ipotesi. Chi ha letto correttamente gli avvenimenti di questo decennio si è perfettamente reso conto che la tendenza alla guerra permanente implicava non solo la necessità di denunciare i progetti imperiali statunitensi, ma anche capire il passaggio epocale in termini di scontro che a questo passaggio sono connessi.

Che cosa significa questo? In primo luogo che già a partire da metà degli anni novanta la grande abbuffata dei paesi dell’occidente capitalistico stava volgendo al termine e si andavano delineando le nuove difficoltà. Difficoltà di ordine economico e ostacoli territoriali alla nuova avanzata del colonialismo del terzo millennio. I primi ostacoli sono stati travolti, come nel caso della Jugoslavia e della guerra contro l’Iraq, di comune accordo nello schieramento imperialista. Dopo, la situazione si è complicata. Le pulsioni autonomiste dell’area mediorientale legata ai petrodollari, lo sviluppo dell’intifada contro Israele, la fine del servilismo russo di Eltsin, la solidità della Cina, la crisi di egemonia statunitense nel sud-est asiatico e particolarmente attorno alla penisola coreana hanno portato all’11 settembre. Le forze della reazione imperialista saldatesi nell’amministrazione Bush, hanno tentato una fuga in avanti per accelerare lo scontro architettando la guerra infinita e una ipotesi di dominio mondiale da nuovo Mein Kampf. La più importante ‘democrazia’ occidentale ha partorito il nuovo mostro le cui caratteristiche sono dello stesso tipo di quelle definite da Hitler dopo il suo avvento al potere. I nuovi Goebbels, in questo contesto, sono gli untori della lotta al terrorismo, cioè gli apparati propagandistici messi in campo dai governi imperialisti. Uso delle armi di sterminio di massa, campi di sterminio contro i ‘terroristi’, distruzione di ogni regola giuridica internazionale, uso della forza come regolatore delle divegenze rappresentano il nuovo modo di fare politica.

E’ in questo contesto che sorge la prima questione legata alla ripresa dei comunisti, che non è solo quella di chiarire i termini del conflitto e la natura delle forze in campo, ma di definire concretamente come ci si deve muovere in questo contesto.

Non vi è dubbio che ove questa strategia americana avanzasse ulteriormente, e questo è nell’ordine delle possibilità, non solo con la guerra all’Iraq prossima ventura, ma con l’allargamento del conflitto in Medio Oriente, nelle aree islamiche e oltre, ci troveremmo di fronte alla necessità di diventare, come è stato nella seconda guerra mondiale, l’avanguardia della lotta alla guerra imperialista. Nessun comunista custode dell’ortodossia o redattore di riviste potrà pensare di ricostruire alcunchè senza sciogliere questo nodo. Il Medio Oriente insegna. La Jihad e Hamas sono diventati la direzione del movimento, in assenza di prospettive più convincenti.

Cosa accadrà da noi? Certamente essendo un paese che fa parte della catena imperialista non abbiamo l’obbligo di ripetere gesti come quelli dei kamikaze palestinesi, ma certamente abbiamo la necessità di portare l’Italia fuori dalla guerra imperialista e fuori dalla collaborazione militare coi nuovi Hitler. Senza di questo la credibilità di una ripresa comunista non ha senso. Non dimentichiamoci che l’ascesa del movimento comunista in Europa e la stessa rivoluzione russa sono legati alla parola d’ordine della trasformazione della guerra imperialista in guerra rivoluzionaria contro i fautori delle guerre imperialiste.

Bisogna essere convinti, inoltre, che l’avanzare della guerra porterà situazioni di guerra nel fronte interno dei paesi imperialisti coinvolti. Le nuove leggi ‘antiterrorismo’ americane ne sono un primo esempio, ma solo l’inizio. Ogni paese che si propone una guerra di aggressione deve fare i conti col fronte interno. I nazisti e i fascisti, avevano prima risolto questo problema con una guerra civile interna e poi, col terrore e la demagogia revanchista, si sono proiettati all’esterno. La lotta al ‘terrorismo’ somiglia molto alla criminalizzazione del comunismo come quinta colonna da eliminare e la storia delle due torri all’incendio del Reichstag.

La storia quindi si ripete? Diciamo che questa è la tendenza prevalente e che in brevissimo tempo avremo la conferma dei fatti e quindi delle scelte che dovremo fare. Ma, come si è detto all’inizio, ci sono due ipotesi da analizzare in questa fase che non si contraddicono, ma sono dialetticamente legate. Alla prima, quella già delineata, si aggiunge anche la possibilità di un nuovo scenario. Esso parte dal fatto che la nuova guerra imperialista progettata dagli Usa sopravanza gli interessi di altri paesi, tra cui la stessa Europa e apre contraddizioni nuove. Anche se in questa fase il governo Bush riesce a mantenere legami con paesi arabi reazionari, con la Turchia, con il Pakistan e si assicura l’uso delle basi militari all’estero, il fronte vacilla e si rafforza la tendenza al rifiuto della guerra. Questo movimento che è fatto di molte cose, dalla generosa resistenza palestinese, alle incertezze in Pakistan e in Afghanistan dopo l’intervento USA, al rifiuto della guerra da parte delle chiese cristiane, al movimento pacifista in Europa e negli stessi Stati Uniti, può rendere possibile una inversione di tendenza.

Anche questa, però, non sarà facile nè automatica. I paesi che non vedono di buon occhio il rilancio imperialista USA non hanno il coraggio di opporsi energicamente alla nuova guerra e altri, come la Cina e la Russia non intendono andare oltre un certo limite perchè sanno che gli USA mirano a coinvolgerli indirettamente o direttamente nei nuovi conflitti.

Le due ipotesi in campo e le articolazioni di queste due ipotesi, quali i contraccolpi di una nuova guerra all’Iraq o l’apertura di una crisi nell’attuale equilibrio internazionale conseguente alla impossibilità di Bush di attuare la sua strategia, vanno dunque attentamente valutate per definire l’agire concreto dei comunisti.

In questo senso il contenuto dell’intervista di Losurdo sul che fare? dei comunisti di fronte alla guerra imperialista va sicuramente raccolto. Rimane da chiarire, a nostro avviso, quella che possiamo definire una necessità e che riguarda direttamente i comunisti. Diciamo pure che essi, in un modo o nell’altro, hanno svolto sicuramente una funzione dentro la nuova fase. Opuscoli, riunioni, convegni, solidarietà verso i popoli aggrediti si sono moltiplicati. C’è stato anche un modo di rettificare certi revisionismi bertinottiani e negriani di interpretazione della fase e delle forze in campo, attraverso il dibattito politico.

Quello che ci sembra che manchi e costituisce una necessità è una capacità di orientamento autonomo dei comunisti nell’impostare il lavoro contro la guerra imperialista. Giustamente si potrebbe dire che abbiamo scoperto l’acqua calda. Difatti, in mancanza di un partito comunista, come si può impostare una strategia di questo tipo? La questione che poniamo è altra. In questa situazione sosteniamo che compito dei comunisti non è quello di illudersi di poter risolvere con soluzioni libresche i problemi che abbiamo di fronte. Alle analisi giuste bisogna aggiungere una volontà di costruire quegli strumenti politici che possono aiutarci ad affrontare la situazione.

Qui non dobbiamo superare solamente la cattiva tradizione dei vecchi gufi dell’ortodossia o la cialtroneria dei gruppettari antimperialisti, buoni per tutti gli usi, ma anche il tradizionale politicismo della parte migliore del settore comunista che si attarda su livelli che la situazione sta superando rapidamente. L’imbroglio non sta solo nelle analisi, ma anche nei comportamenti.

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