Imperialismo e organizzazione leninista

Lo sbandamento che è seguito all’esito della guerra contro l’Iraq avrà sicuramente posto diversi interrogativi ai compagni e alle compagne, il principale dei quali consiste in questo: se la politica, quella di bertinottiana memoria, ha fallito, e se neppure il papa e il Consiglio di Sicurezza sono riusciti a fermare la guerra, dunque ora che fare? Come dare risposta a milioni di persone di cui centinaia di migliaia ancora tengono la bandiera della pace alle finestre?

Dobbiamo constatare che ancora una volta le ‘avanguardie’, che siano esse organiche o no al movimento, tendono a cambiare discorso, magari buttandosi sull’art.18 e sperando che lì vada meglio, come fosse un premio di consolazione. E’ il caso, invece, di riportare la discussione sulla questione della guerra imperialista e su come ci si deve attrezzare per affrontarla. Ormai il governo americano ha investito di questa questione l’intera umanità, la quale non può prescindere da essa e dal condizionamento che determina in ogni aspetto della vita politica e sociale di ogni paese. A meno che non vogliamo ritargliarci, come avveniva all’epoca dell’impero romano rispetto alle popolazioni sottomesse, uno spazio ‘nazionale’ sotto il giogo imperialista.

Questa tendenza a ritornare alla ‘politica’ senza aver sciolto i nodi del che fare dopo l’ingresso degli americani a Bagdad, svela la sostanza ‘politicista’ del modo di essere della sinistra italiana e l’uso del movimento senza un rapporto con la strategia e con il perseguimento degli obiettivi. Questo spiega perchè le bandiere sono rimaste desolatamente sole e perchè si registra uno sbandamento e una assenza di prospettive per il popolo della pace.

Eppure le bombe di Riad e la estrema insicurezza in cui vivono le truppe di occupazione in Iraq come in Afghanistan danno il senso di come si sono concluse, in questa fase, le cose. Non c’è nessuna vittoria strategica degli imperialisti, la guerra continua e non possiamo concederci di cambiare discorso o fare della letteratura ‘antimperialista’ per supplire alle carenze di indirizzo politico. Non si tratta di fare ipotesi velleitarie o fuori dal contesto concreto della situazione italiana. Si tratta semmai di mettere dialetticamente in relazione la risposta dei popoli colpiti dall’imperialismo col ruolo che l’Italia mantiene nella vicenda.

In Italia c’è un governo che sostiene le guerre imperialiste, un governo che invia truppe di occupazione, un governo che mantiene e usa basi militari italiane al servizio delle avventure imperialiste. Ebbene è su questo aspetto centrale che va mantenuta la barra dello scontro. E la questione della guerra non ha solo una valenza militare, condiziona l’esistenza quotidiana della gente, anche dal punto di vista sociale, politico e sopratutto economico. Quindi guerra o pace come condizione generale dello scontro.

Ci si rende conto che questo è un passaggio storico. Si tratta di passare dalla protesta contro la guerra alla organizzazione del movimento contro la guerra. Ma qual’è la condizione che questo passaggio avvenga e in che modo esso va effettuato? La condizione è che esista un soggetto organizzato che sappia operare questa trasformazione. In altri termini un partito che sappia individuare correttamente la dinamica imperialista della fase e lavorare per la trasformazione della protesta in movimento organizzato contro la guerra. Sembra l’uovo di colombo, ma nei fatti la questione è ben complessa.

In primo luogo questa operazione occorre saperla fare dentro dimensioni di larga scala e non a livello cartaceo. Non si tratta infatti di dichiararsi ‘antimperialisti’, come i soliti gruppettari immaginano, bensì di lavorare alla trasformazione dei comportamenti di masse di milioni di persone in un processo politico che sia in grado di bloccare la guerra infinita che l’imperialismo ha scatenato col consenso dell’Italia. La parola d’ordine di Lenin di trasformare la guerra imperialista in guerra civile non riguardava qualche gruppo terrorista, ma un coinvolgimento di massa reso maturo dalle contraddizioni che l’imperialismo andava sviluppando. Oggi, nel caso concreto dell’Italia, si tratta di rendere partecipi milioni di persone ad uno scontro coi fautori della guerra, dimostrando che ci sappiamo assumere la responsabilità di dare il nostro contributo alla sconfitta dell’imperialismo.

Il discorso ritorna a questo punto sull’organizzazione e sulla caratterizzazione dell’organizzazione in una fase acuta di scontro coll’imperialismo. Non è possibile pensare che con la ‘politica’ intesa in senso tradizionale si possa affrontare la situazione. Solo con una organizzazione di tipo leninista capace di valutare l’evoluzione delle contraddizioni, i rapporti di forza e definire strategia e tattica dello scontro si può pensare di dare un futuro al popolo della pace.

Che senso ha rinnovare la proposta dell’organizzazione leninista in un contesto che ne ha visto solamente le versioni caricaturali? Diciamo pure che la questione dell’organizzazione leninista è posta oggettivamente dal corso degli avvenimenti come necessità di risposta alla politica dell’imperialismo, ma il passaggio che si rende necessario è il prodotto di una maturazione soggettiva che sia all’altezza dei problemi.

In rapporto a ciò ci sembra patetico il dibattito che si svolge nel PRC, di cui l’ultimo Consiglio nazionale è stata espressione. E per due motivazioni. Una riguarda, appunto, la questione del partito e della sua natura. Gli oppositori di Bertinotti cercano di eludere la questione con contorcimenti unitari e differenziazioni tattiche che eludono il problema della trasformazione del partito nella fase della guerra imperialista. Come può un partito di protesta e elettoralistico dare risposte adeguate ? Finchè non si capirà che è necessario separare Togliatti dal tardo togliattismo, valutando il primo nel suo contesto storico e considerando il secondo un paradigma inadeguato che ha prodotto solo il cossuttismo e le sue varianti, si rimarrà prigionieri e soprattutto subalterni alle tendenze che non hanno permesso al popolo della pace di portare a fondo il suo compito.

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