La deriva bertinottiana
e la rifondazione anticomunista

Anche se ci rendiamo conto che molte delle considerazioni che andiamo facendo assumono più il carattere dell’invettiva che della battaglia politica e questo perchè mancano i presupposti organizzativi per passare dalla prima alla seconda, non possiamo rinunciare e definire le questioni poste dall’attuale politica del PRC, alla luce anche degli esiti dell’ultimo Comitato politico nazionale dell’ottobre scorso.

A nostro parere, esiste ormai un passaggio qualitativo che deve farci vedere il ruolo del PRC oggi, non più valutabile sulle singole questioni, ma nella sua dinamica oggettiva e di lungo periodo. Nel corso di questi ultimi anni abbiamo sempre invitato i compagni ad evitare di passare il tempo a parlar male di Bertinotti e più ad occuparsi di costruire un lavoro strategico da comunisti. Questa questione è ancora prioritaria e all’ordine del giorno, ma non possiamo considerare questo lavoro separato da una valutazione del ruolo che sta giocando il PRC, ovviamente in negativo rispetto alla prospettiva di organizzazione dei comunisti.

Come i compagni e le compagne che hanno seguito Aginform in questi tre anni ricordano, noi abbiamo sempre distinto la posizione dei comunisti dalla linea del PRC, ma abbiamo riconosciuto che dopo la trasformazione del PCI in PDS e poi DS l’aggregazione che si è andata determinando attorno al nuovo partito ha bloccato la deriva moderata e neoliberista della sinistra, introducendo una sostanziale controtendenza.

I soliti gufi dell’ortodossia ci hanno sempre messo in guardia dal pericolo rappresentato dal PRC, ma noi abbiamo preferito considerare i fatti e la portata oggettiva della nascita di questo partito in luogo di cedere alla tentazione di ripere qualche scontato anatema.

In questi anni è cambiato qualcosa che ci induce a modificare il nostro ragionamento fondato sulla necessità di vedere la riorganizzazione dei comunisti correlata con le loro forme di espressione politica e quindi anche col PRC? In particolare,, se partiamo dal fatto che il ruolo oggettivo e positivo del PRC è stato quello di coagulare una forza di controndendenza alla liquidazione della sinistra e dei suoi punti di riferimento, perchè oggi ciò non è più valido? Usando un termine abusato, ma che può rendere sinteticamente comprensibile il ragionamento che vogliamo esprimere, possiamo dire che si è esaurita la ‘spinta propulsiva’ del PRC e si è innescata una fase di effetti negativi della sua politica che dobbiamo saper individuare e combattere.

Questo esula dall’intenzione di voler innescare guerre di religione o strumentali, bensì evidenzia la necessità di considerare il ruolo negativo che gioca il PRC su questioni tattiche e su posizioni di carattere strategico.

Essenzialmente sono tre le questioni che mettono in evidenza, aldilà del polverone massimalista di stile bertinottiano, il pericolo che il PRC rappresenta per la sinistra e per i comunisti .

La prima questione riguarda la storia del movimento comunista. Da questo punto di vista il PRC ha sciolto tutte le ambiguità e le contraddizioni che ne hanno segnato la vita fino al congresso di Rimini. Mentre fino ad allora era legittimo credere che diverse anime convivessero, anche se in proporzioni diverse, nello stesso partito, a partire da Rimini e nonostante la consistenza dei cosiddetti emendamenti ‘comunisti’, si è verificata una accelerazione negli attacchi alle posizioni storiche e teoriche che hanno contraddistinto il movimento comunista. La demonizzazione della storia del novecento coi suoi ‘errori ed orrori’ è diventata senso comune e ha permesso di fare tabula rasa del passato comunista. Per questo possiamo ben dire che la rifondazione di cui tanto si è parlato è diventata la rifondazione dell’anticomunismo.

E’ bene che i compagni non sottovalutino gli effetti di questa operazione anticomunista perchè essa si assomma alla più generale campagna della borghesia a livello mondiale contro il comunismo. Su questa questione della storia del comunismo, nel PRC si è arrivati alla normalizzazione per cui appena si manifesta una posizione che può far riferimento al movimento comunista, ai paesi socialisti, a Lenin e a Stalin si scatena la caccia all’eretico. A sovraintendere l’operazione di cui sopra ci sono i cani da guardia del trotskismo nostrano a cui è delegato il lavoro sporco di denigrazione di ogni forma di espressione politica che possa riguardare i comunisti. Su Liberazione, quotidiano del PRC, la tendenza anticomunista esprime ampiamente il suo anticomunismo e ‘orienta’ i compagni. Qualche furbacchione frondista che agisce ‘tatticamente’ nel PRC senza avere il coraggio di combattere l’anticomunismo dilagante, ci suggerisce però di avere pazienza e di capire che la ‘base’ va conquistata partendo dai fatti concreti, su cui è possibile spostare le coscienze e modificare le posizioni politiche.

Ebbene, proprio partendo da questo, dobbiamo individuare un collegamento organico, un filo rosso, che lega il giudizio storico sul comunismo con la politica attuale del PRC. Che cosa può avere in comune questa politica con una posizione comunista?

Prendiamo due esempi: la lotta antimperialista e l’opportunismo in politica interna.

La visione che traspare dagli scritti e dai discorsi della dirigenza PRC sulle questioni internazionali e sulla politica interna è contro tutte quelle espressioni rivoluzionarie che stanno realmente contrastando l’imperialismo USA, il sionismo e la catena di oppressione imperialista. Quindi esiste un legame diretto tra l’anticomunismo e l’incapacità di individuare le basi delle trasformazioni epocali che stiamo attraversando. Questo non è solo un limite politico per una forza che si definisce comunista bensì è un modo di contrastare il movimento reale che modifica lo stato di cose presente.

Non è un caso che anticomunismo e attacco alla lotta rivoluzionaria si connettono alle prospettive di politica interna. La svolta che si è determinata dopo gli esiti del referendum sull’art.18 e dopo tanti discorsi sulla fine dell’Ulivo sono solo apparentemente sorprendenti. In realtà il fumo bertinottiano e gli ‘estremismi’ strumentali del PRC non possono più nascondere che ci troviamo di fronte ad un partito che è più di governo che di lotta e che esprime la voglia di collocarsi nel sistema politico italiano. In questo contesto il discorso sui movimenti serve solo a creare serbatoi di consenso per crescite elettorali.

Dunque siamo di fronte ad un nuovo passaggio nella vicenda dei comunisti. Cerchiamo di affrontarlo senza spirito ‘reducista’, ma con intelligenza e determinazione.

Roberto Gabriele

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