La lotta al socialpacifismo
Se non ora quando?

Abbiamo l’impressione che in questi ultimi tempi, all’interno della sinistra che si definisce ‘di classe’ e di quelli che si considerano ‘comunisti’ si è messa la sordina su alcuni passaggi politici che rappresentano un salto di qualità’ dentro l’universo degli ‘antagonisti’. Ciò era accaduto già all’epoca degli anatemi di Bertinotti contro gli orrori novecenteschi del comunismo, che non avevano suscitato troppo scalpore, dal momento che i rifondatori del comunismo e i rivoluzionari di stampo neotrotskista convergevano sul fatto che la rivoluzione degenerata andava rimossa comunque, anche se con diverse modalità. Il corollario della non violenza come strumento delle nuove rivoluzioni bertinottiane era stato però un serio campanello di allarme perchè modificava tutto l’impianto marxista sulla trasformazione sociale. Non si trattava più, come per anni si era fatto credere, di una rifondazione che si sarebbe realizzata nel solco della tradizione comunista, al contrario, i teorici del nuovo mondo possibile tracimavano verso una dimensione tipica dell’anticomunismo di matrice socialdemocratica basato su tre cardini: condanna degli 'orrori del comunismo', rispetto delle regole del regime borghese contro la resistenza delle classi subalterne, rifiuto della categoria d’imperialismo.

A molti compagni, alcuni dei quali scrivono anche su Aginform, l’insistenza con cui abbiamo sollecitato una risposta adeguata all’anticomunismo bertinottiano è sembrata una forzatura del dibattito che si andava sviluppando dentro e fuori Rifondazione, una sorta di rottura dei ponti che in questi decenni hanno collegato la ‘nuova sinistra’. Ci è stato detto, anche su questo foglio: attenti a non isolarci come ci insegna l’esperienza dell’estremismo ideologico di questi decenni. Dicendo questo, però, si vedeva l’albero e non la foresta. Difatti questi compagni, preoccupati di rimanere isolati, non si sono accorti che la mancata resistenza contro il Bertinotti-pensiero ha portato alla messa fuorilegge dei comunisti. Storia del comunismo e resistenza delle classi sfruttate ed oppresse sono le due cose che si presentano oggi, non solo nel pensiero delle classi dominanti, ma nella stessa sinistra, come estranee alla società civile e democratica, quindi passibili di ostracismo e di repressione. La cosa più grave è che questi concetti sono diventati senso comune. Non è solo Stalin ad evocare Hitler, ma tutto il movimento comunista ad essere condannato come fonte di orrori e la violenza, cioè la resistenza degli oppressi, diventa un fattore di ‘eversione’. Sembra essere ritornati all’epoca dello spettro che si aggira per l’Europa. Anche qualche innocuo ‘disobbediente’ ha fatto le spese di questo nuovo clima, che consente al governo di utilizzare l’esercito nelle imprese criminali all’estero e punisce chi protesta contro questi crimini. Oggi per essere a sinistra bisogna passare per il salotto di Bruno Vespa, fare come Cossutta che condanna le foibe davanti agli esponenti di AN oppure garantire, come fa Bertinotti, dell’autenticità non violenta del movimento antagonista.

Diciamo pure che in tutta questa fase si è dimostrata l’inconsistenza e l’opportunismo di una sinistra radicale che non ha avuto la forza di frenare lo scempio che veniva fatto della storia e dei principi che hanno animato il conflitto di oltre un secolo tra classi sfruttate e sfruttatori, tra imperialisti e popoli oppressi. Impegnati in giochi e liturgie alternative, dal falso sindacalismo di base, alla cultura rebeldista dei centri sociali, quella che appariva la forza ‘eversiva’ dello schieramento antagonista è andata rinchiudendosi dentro il recinto del sistema per diventarne una variante. Non è un caso che l’unico, grande fattore di novità nello scenario mondiale che rappresenta una controtendenza straordinaria, la resistenza irachena, viene rimosso e collocato dentro lo schema del terrorismo.

C’è da domandarsi dunque, dove sta la sinistra? Per certi versi sembra di rivivere la situazione a ridosso della prima guerra mondiale, quando solo un gruppo di rivoluzionari, tra cui primeggiavano Lenin e i bolscevichi, dentro un mare di socialsciovinismo, resistevano alla capitolazione della seconda internazionale. Qual’è la differenza da allora? Dal punto di vista della situazione in cui si trovano i comunisti che hanno mantenuto una lucidità sugli avvenimenti in corso, possiamo affermare che sostanzialmente la condizione di isolamento è la stessa. La differenza sostanziale è che mentre in poco più di tre anni l’Europa dei partiti socialsciovinisti fu travolta da un’ondata rivoluzionaria, l’Europa attuale e l’Italia subiscono invece un consolidamento delle tendenze socialpacifiste e assorbono le spinte che emergono dagli avvenimenti internazionali e interni. E questo accentua ancora di più la condizione di isolamento dei comunisti.

Valga per tutto l’episodio del rapimento delle due Simone. La salita di Bertinotti e degli altri esponenti della sinistra a palazzo Chigi per condividere l’ansia di un rapimento ambiguo e prodotto anche dalle discutibili scelte delle ONG, non ha suscitato quella dura reazione che ci si sarebbe aspettata. Ma come, in presenza di un governo che occupa con le truppe italiane l’Iraq in una guerra truce come quella irachena, un esponente della sinistra alternativa può impunemente assumersi la responsabilità di collaborare con Berlusconi senza che si apra uno scontro duro? A leggere le cronache del dibattito interno al PRC sembra davvero di essere in un 'altro mondo'. Ovvero siamo in un mondo di cui abbiamo sottovalutato le trasformazioni e le degenerazioni. In questo brusco risveglio c’è anche un’autocritica per le ambiguità che alcuni di noi hanno mantenuto finora verso la ‘sinistra’. E’ vero che questa è l’unica sinistra che abbiamo, ma dobbiamo prendere atto che dentro questa sinistra dobbiamo condurre una durissima battaglia, con buona pace di coloro che invece ci incitano alla Realpolitik. Quale mediazione si può avere con coloro che nel PRC considerano Bertinotti un compagno e un comunista con cui si possono fare accordi? Quale mediazione si può avere con coloro che considerano il PRC la casa dei comunisti? Quale mediazione si può avere con coloro che definiscono la resistenza irachena terrorismo? Queste diventano ormai discriminanti che devono dividere a sinistra i nuovi socialpacifisti da coloro che hanno posizioni di lotta e di traformazione sociale.

Ricordate gli anni ’70 quando la deriva del PCI portò alla formazione di una nuova sinistra? Ebbene è arrivato il momento di riproporre una linea di scontro a sinistra che non riguardi solo le questioni storiche, ma l’attualità, ben sapendo che tra le due cose esiste un nesso preciso, come siamo andati sostenendo in molti interventi apparsi su Aginform. Qualche compagno ci ha ricordato che occorre utilizzare ancora il concetto di egemonia nello scontro politico. E proprio questo bisogna intendere quando si parla di scontro a sinistra. Non è più riviabile un confronto strategico che divida la sinistra socialpacifista dai comunisti. Questa sinistra ha ormai permeato tutto il modo di essere di un movimento che era nato su ben altre premesse, ma che ha pagato il suo peccato originale dovuto alle ambiguità sociali e di formazione teorica. I comunisti sono soli ,è vero, ma coloro che si definiscono tali non pensino di poter superare questa condizione portando il culo a spasso di conferenza in conferenza o esibendo la propria posizione testimoniale. I comunisti possono uscire dal loro isolamento se sono disposti a rompere con il socialpacifismo, col teatrino dell’antagonismo e della disobbedienza, e definire con coraggio i termini della loro presenza nella nuova fase imperialista.

Roberto Gabriele

Ritorna alla prima pagina