"Essere comunisti": Ma come?

A proposito del Congresso del PRC e della posizione dell'Ernesto

Nell’ultimo congresso di Rifondazione i compagni dell’area dell’Ernesto decisero di venire allo scoperto, presentando cinque emendamenti alle tesi della maggioranza, tesi inemendabili, per la verità. Ma anche se, tanto per fare un’ipotesi fantasiosa, le correzioni fossero state accolte, avrebbero prodotto più disorientamento e confusione che altro, dal momento che questi compagni rinunciarono ad “emendare” una di quelle tesi, che aveva un titolo di sapore sportivo (comunismo contro stalinismo) e che era la più terribile, ideologicamente, di tutte le altre, poiché demoliva e criminalizzava la storia del comunismo.

Fu, la loro, una scelta dettata (nella migliore delle ipotesi) da opportunismo, da pavidità, dall’aver sottovalutato il problema? Oppure (nella peggiore delle ipotesi) i compagni dell’area dell’Ernesto erano, dopo tutto, d’accordo con quel “comunismo contro stalinismo” che oltre a essere un chiodo fisso di Bertinotti è anche un lascito del Pci togliattiano?

Questa volta, in vista del prossimo congresso, hanno fatto un ulteriore passo in avanti: niente più emendamenti (anche se, secondo quanto loro stessi affermano, avrebbero preferito fare come la volta scorsa) ma tesi completamente alternative a quelle 15 che ha steso personalmente (con buona pace della collegialità, della democrazia interna e via discorrendo) Bertinotti, il quale intende trasformare il congresso in una sorta di plebiscito che dovrà esprimersi pro o contro la sua persona piuttosto che schierarsi su una linea politica.

I cinque emendamenti di cui sopra furono votati da circa il 30% del partito (che è una cospicua minoranza). Oggi, legittimamente, i compagni si aspettano di aumentare ancora i consensi alle loro posizioni. Ma in quale prospettiva essi si muoveranno? Che cosa faranno una volta che avranno raccolto, mettiamo, un 40%, ciò che gli auguriamo di tutto cuore? Continueranno a coprire a sinistra un partito che sempre più si configura come una forza esplicitamente e dunque chiaramente e orgogliosamente (nonché irreversibilmente) estranea ed ostile alla tradizione comunista?

Bertinotti è un uomo animato dalla granitica certezza di innovare, dalle fondamenta, la dottrina del comunismo. Egli, che in passato soleva paragonarsi ad un nano assiso sulle spalle di giganti, nel momento stesso in cui ha decretato la morte politica di quei giganti, accredita se stesso, oggi, come il teorico d’avanguardia che intende ridisegnare le linee del comunismo del nuovo millennio. Altro che nano, dunque! Ma non assistiamo a nulla di nuovo e di originale: la nostra storia ha sempre prodotto, accanto a marxisti dalla geniale concretezza, figure più o meno tragiche (o più o meno patetiche) di uomini testardamente legati a delle dogmatiche verità che hanno fatto di loro dei visionari isolati e sconfitti dal movimento operaio e che sono traslocati, quasi senza eccezioni, nel campo dei nemici della rivoluzione proletaria. Bertinotti è potenzialmente uno di questi. Egli dice che il movimento operaio è stato sconfitto in primo luogo (in primo luogo!) perché ha osato conquistare il potere e “costituirsi in Stato” (cosa altamente deprecabile), ma che oggi “è venuta la possibilità di un’uscita da sinistra della sconfitta del 900”, e che questo grandioso obiettivo sarà senz’altro raggiungibile attraverso la “critica del potere” non con metodi rivoluzionari, per carità, ma mediante “la scelta della nonviolenza come guida dell’agire collettivo”.

La caratteristica di tutti i visionari è l’individuazione di nuove epoche storiche a partire da sé, dalla propria comparsa sulla Terra, ma quanto più è priva di senso e di argomenti la promessa dell’imminenza di un mirabile futuro (“è venuta la possibilità di un’uscita da sinistra della sconfitta del 900”) tanto più il discorso degenera in predicazione messianica. Stalin è la sua Ruina mundi e sulle sue prediche reiterate contro i misfatti e gli orrori apocalittici dell’Unione Sovietica trova un uditorio attento e spaventato. Ma che egli si sia trasformato in un propagandista delle atrocità del comunismo è il meno: la cosa grave è che Bertinotti, mentre l’imperialismo americano pratica il genocidio del popolo iracheno, accusa quel popolo di “terrorismo”. “La guerra - scrive nelle sue tesi - alimenta il terrorismo, che è figlio e fratello della guerra. Questo terrorismo si presenta come progetto elaborato nell’autonomia del politico ed è, come la guerra, nostro avversario irriducibile per i mezzi e per i fini che propugna”.

Si può scherzare su tutto, ma non sul martirio di un popolo. La cosa incomprensibile è che troviamo un’eco di queste gravi dichiarazioni nelle tesi ernestiane. “Resta ferma - dicono - la più netta condanna del terrorismo”.

Siamo soliti ripetere a memoria una frase fatta: il comunismo non ha niente a che vedere con il terrorismo. Innanzitutto, la forza del marxismo rivoluzionario consiste nel non assolutizzare mai nessuna fenomeno (sociale, politico, culturale, militare ecc.) facendolo assurgere a categoria immutabile. Il marxismo ne esamina il contenuto ed il significato in rapporto alla situazione storica effettiva in cui quel fenomeno si manifesta. Nel periodo della reazione zarista seguito al fallimento della rivoluzione del 1905, si diffusero in tutta la Russia azioni armate (spontanee o dirette dai bolscevichi) di piccoli gruppi o di singoli che giustiziavano elementi della polizia, spie, compivano azioni di esproprio, facevano saltare in aria presidi di polizia, ecc. Lenin difendeva queste azioni dall’accusa di “terrorismo” spiegando che si trattava di inevitabili forme di lotta determinate dalla ferocia sanguinaria con cui il regime zarista si vendicava dell’insurrezione del 1905. Ma solo qualche anno prima, in una condizione storica diversa, quando i marxisti russi lottavano per organizzarsi in partito, egli si opponeva al metodo delle azioni armate isolate proprie dei Narodniki (populisti). Come giudichiamo il comportamento di un giovane iracheno che si lancia con un camion carico di tritolo contro una caserma di collaborazionisti immolando la propria vita? Come definiamo le azioni dei Gap e delle Sap durante la guerra di Resistenza che facevano saltare i bar dove si riunivano soldati nazisti? Come chiamiamo l’attentato di via Rasella? Se a queste modalità di lotta diamo il nome di “terrorismo” ne oscuriamo il carattere rivoluzionario, antifascista, antimperialista. Del resto, se il marxismo fa una distinzione di principio fra guerre giuste e guerre ingiuste, è all’interno di questo schema valutativo che rientrano i giudizi su tutte le specifiche forme di lotta armata.

E’ la guerra d’aggressione dell’imperialismo americano, invece, che sta assumendo, da un punto di vista strettamente tecnico-militare, un carattere puramente terroristico, per cui - a rigor di termini - non si dovrebbe parlare più nemmeno di “guerra” intesa nel senso tradizionale di due schieramenti militari contrapposti. La possibilità di difendersi dalla potenza distruttiva delle armi Usa ad alta tecnologia è praticamente ridotta a zero. E’ una strategia militare, quella americana, già seguita dai nazisti quando invasero l’Unione Sovietica, una strategia che punta di fatto (dato il teatro d’azione in cui si svolge) allo sterminio di massa (con una maggiore efficienza rispetto all’esercito nazista dati gli enormi progressi tecnologici) radendo al suolo intere città prima di impegnare le truppe. E questi massacri vengono compiuti a bassissimo costo in perdite di vite umane da parte americana. La stessa immagine del “marine” armato di tutto punto e imbacuccato in un costosissimo scafandro protettivo con casco munito di impianto ricetrasmittente e binocolo a raggi infrarossi, e dall’altra parte il guerrigliero iracheno in camicia e armato del solo kalashnikov, già questa semplice immagine, dicevamo, dovrebbe indurci a riflettere su quanto insulsa sia la frase: “resta ferma la più netta condanna del terrorismo”, frase ad effetto, frase ad uso e consumo della platea borghese per dare di noi un’immagine rassicurante, per far capire che siamo persone per bene, che anche noi, come “tutti”, siamo contro il terrorismo.

E’ facile confezionare frasi di questo genere, standosene al sicuro nelle retrovie dell’Occidente borghese fingendo di non accorgersi che l’invasione americana sta sprofondando nella barbarie e rende dunque legittima, necessaria ed inevitabile, dato l’incolmabile gap tecnologico, qualsiasi forma di lotta pur di colpire gli americani e i loro lacché.

“Le differenze, la pluralità di orientamenti sono risorse” dicono le tesi dell’Ernesto. Il pluralismo delle idee è una risorsa quando si marcia sullo stesso sentiero, ma se le vie si divaricano chiamare questa divaricazione “ricchezza” è un inganno. Immaginiamo Lenin che di fronte alle posizioni dei menscevichi (che sicuramente dicevano cose meno terribili di quelle che sostiene il segretario del PRC) invece di combatterle fino alla scissione le avesse accolte come una positiva “pluralità di orientamenti”? Quindi, secondo questi compagni, gli insanabili contrasti con le idee bertinottiane sulla guerra, il partito, il potere, il pacifismo, la nonviolenza, la valutazione storica del comunismo novecentesco sarebbero una “ricchezza”. Ma perché, invece di continuare in questo teatrino del fair play e del politicamente corretto (in cui nessuno crede) non dire le cose come stanno?

Anche sul bilancio del comunismo novecentesco le tesi ernestiane puntano il dito sui “limiti” e sulle pagine “buie” di quel bilancio senza neanche accennare a quali sarebbero questi limiti e queste oscurità. Possibile che, da comunisti, per ingraziarci una platea di antistalinisti e di “autorevoli intellettuali” (perché continuare servilmente a chiamarli “autorevoli”, questi intellettuali, se hanno detto un cumulo di sciocchezze reazionarie sulla storia del comunismo?), possibile che stiamo ancora a parlare delle nostre pagine buie senza preventivamente ricordare alla gente (e le ripetizioni giovano) tutti gli orrori del dominio borghese sul mondo nel secolo appena trascorso? Questo dominio ha prodotto due guerre mondiali, il nazismo, il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki, la Guerra fredda, l’assoggettamento coloniale di tre continenti, la guerra d’aggressione al Vietnam e via via fino all’attuale impresa criminale in Iraq ed attualmente, nella strategia dell’imperialismo americano, vi è l’obiettivo del dominio militare planetario. Chi ha dato, come contraltare alla barbarie del secolo, una prospettiva di civiltà e di speranza al mondo dei diseredati e dei lavoratori è stato il comunismo, è stata l’Unione Sovietica che ha arricchito ed esteso la questione dell’oppressione nazionale rivolgendosi non più solo ai “proletari” della metropoli imperialista ma ai “popoli oppressi” dell’intero pianeta. Se il potente stato sovietico edificato sotto la direzione di Stalin non avesse scosso dalle fondamenta il sistema imperialista allargando smisuratamente il campo socialista, oggi ci troveremmo in un mondo ancora più immerso nel marciume.

I nostri cosiddetti lati oscuri ce li gestiamo noi comunisti, con i nostri convegni, seminari, congressi, senza fare servili concessioni ad “autorevoli” intellettuali anticomunisti. Certo, è necessario che noi riconsideriamo criticamente la nostra storia, ma a patto però che venga finalmente sgretolato il pregiudizio ridicolo e infantile che Stalin sia stato una figura dotata di poteri satanici (questi compagni dovrebbero andarsi a leggere l’ultimo numero di Limes). E che razza di comunisti saremmo se non riuscissimo a liberarci finalmente dalle influenze del krusciovismo, del trotskismo e dell’odierna versione caricaturale di questa tradizione stalinofoba impersonata da Bertinotti?

Un’ultima notazione sulla Cina. Questo grande paese asiatico, nelle tesi ernestiane non viene annoverato fra gli stati socialisti (sarà anche questo il frutto di una tradizione togliattiana?). E’ citato solo in un passaggio molto oscuro: “Non è un caso che oggi la Cina - anche per la sua direzione politica - sia considerata dalla Casa Bianca l’antagonista più pericoloso dei prossimi decenni”. Che cosa può significare quell’inciso: “anche per la sua direzione politica”? Forse che la Cina, proprio perché si sta mettendo sulla strada del capitalismo, viene considerata un antagonista? Ne consegue che l’America temerebbe più una Cina capitalistica che una Cina socialista? Ma queste sono assurdità…

Può darsi che nell’assemblea di presentazione delle tesi dell’Ernesto siano stati riscossi commossi applausi quando si è detto, a proposito del comunismo: “di questa storia siamo orgogliosi”. Molto bene. Tuttavia, ricordare ad un non-comunista che si è orgogliosi della storia del comunismo è un terreno di polemica arretrato, è una perdita di tempo. Per un migliore utilizzo del tempo, per esempio, i comunisti dovrebbero dare un orientamento preciso, rivoluzionario, sulla lotta contro l’aggressione imperialista Usa all’Iraq. Se il movimento contro questa guerra infame non decolla, come ai tempi dell’aggressione al Vietnam, è, in parte, anche per responsabilità precisa del segretario del PRC il quale, in un’intervista a Repubblica ha dichiarato che non sarebbe contrario all’invio, in Iraq di “altre truppe”, al posto degli americani. Ma che grande comunista, questo Bertinotti, e che rispetto per l’autodeterminazione dei popoli! Perché dunque continuare a fornirgli una copertura a sinistra e non mettersi, invece, sulla strada dell’aperto antagonismo e smettere di fingere che un’opinione vale l’altra, che lo stato caotico che regna in Rifondazione (dove si parlano linguaggi non diversi, ma contrapposti) sia non una Torre di Babele ma una “risorsa”? In ogni caso, auguriamo ai compagni dell’Ernesto grandi successi nella prossima battaglia congressuale, sperando che smettano di assumere il ruolo di copertura a sinistra alle atrocissime innovazioni bertinottiane.

Amedeo Curatoli

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