E' ora di uscire dai ghetti

Se negli anni passati era possibile e necessario sopravvivere con una posizione di testimonianza politica che contrastasse la marea anticomunista della sinistra su questioni interne e internazionali, oggi il fronte si è messo in movimento e richiede risposte diverse.

Possiamo dire che i due fattori di ascesa a sinistra, l’unità contro Berlusconi vista come necessaria da milioni di persone e la strategia bertinottiana di inserimento nella coalizione di centro-sinistra senza se e senza ma, hanno scoperto il fianco facendo esplodere contraddizioni evidenti e laceranti.

L’insieme del centro sinistra, e non solo con la vicenda Rutelli, ma con la posizione sulla guerra, le dichiarazioni di D’Alema sulla esportazione della democrazia a cannonate e il silenzio programmatico di Prodi, stanno dimostrando che l’alternativa a Berlusconi elude le questioni essenziali poste come base per l’alternativa di governo non solo a livello di massa, ma anche tra la sinistra che è stata capace di mettere in crisi i moderati più volte.

Dovremmo domandarci il perchè Rutelli attacca nel modo che conosciamo e Bertinotti si barcamena dentro i confini dell’Unione subendo i contraccolpi del suo avventurismo opportunista. La risposta è ovvia, la prevalenza delle forze moderate, liberiste e filoamericane dell’Ulivo. Dal momento che si sta profilando una possibile andata al governo, queste forze hanno evidenziato la loro natura e i loro collegamenti con i poteri forti, americani, Confindustria, Vaticano. La fretta di rassicurare i loro sponsor sulla natura del nuovo governo, ha però anticipato una crisi che sarebbe dovuta esplodere dopo la vittoria elettorale dell’Ulivo.

La paura di non essere accettati ha tradito i protagonisti, innescando una rincorsa a destra che ha lasciato interdetti coloro che credevano e speravano che Berlusconi avesse i giorni contati.

Ora si profilano due possibilitè, o la delusione che porterà ad una nuova vittoria della destra, oppure un voto sul meno peggio basato sulla rassegnazione. Ambedue queste ipotesi rappresenterebbero la sconfitta di tutte quelle forze che in questi anni di governo Berlusconi si sono impegnate contro la guerra e contro la politica che ha distrutto istituzioni e condizioni economiche e sociali consolidate.

La deriva però sembra inevitabile, dal momento che le alternative sono state gestite da quelli che conducevano il gioco, da Rutelli a Bertinotti. I cosidetti moderati hanno gettato sul piatto della bilancia il peso dei loro voti e delle loro clientele, mentra i DS hanno risfoderato la loro natura liberista e neoimperialista. Anche se quello che emerge sono le beghe interne, tra DS e Margherita, per l’egemonia, quello che è veramente grave è la sostanza del progetto ulivista.

Di fronte a tanta determinatezza, lo stesso Bertinotti è rimasto spiazzato e non riesce più a calibrare la propria strategia. Partito con la premessa che consisteva nello scompigliare i giochi dentro il centro sinistra si è trovato impantanato nella diatriba interna all’Ulivo e a questioni come quelle aperte da Cofferati a Bologna.

Quello che si potrebbe profilare è il solito salto della quaglia di ogni opportunismo avventurista, cioè mollare e ritornare all’opposizione del centro sinistra. Stavolta però il giochetto potrebbe non funzionare in mancanza di credibilità del PRC e il segnale elettorale è stato evidente.

Dunque? La sinistra è abituata,di fronte a queste situazioni o a ritirarsi sull’Aventino e aumentare il suo criticismo in qualche salotto o centro sociale, oppure ripiegare sul male minore, tapparsi il naso e votare comunque il centro sinistra.

Queste scelte però porterebbero a conseguenze nefaste perchè aumenterebbero il qualunquismo a favore della destra oppure rafforzerebbero le posizioni moderate che si sentirebbero legittimate dai risultati del voto.

La soluzione, come panacea di tutto, sarà come al solito un astensionismo dell’ultimo momento senza motivazioni convincenti. A me sembra, invece, che con largo anticipo bisogna prendere di contropiede i moderati del centro sinistra e iniziare una seria campagna, da qui alle elezioni, che convinca il potenziale elettorato del centro sinistra e il popolo della sinistra che nessun voto verrà dato a Rutelli e soci nelle condizioni che si stanno profilando e tantomeno al saltimbanco Bertinotti che con le sue contorsioni vorrà accreditare una versione di ‘sinistra’ al voto al PRC.

Se Prodi, come era nelle cose, ha voluto convincerci che votare il centro sinistra significa votare un alternativa sostanziale a Berlusconi, a noi spetta il compito di definire un programma che convinca gli elettori che cambiamento significa, in primo luogo, fine della partecipazione dell’Italia alle guerre e ai sistemi militari offensivi. Non solo quindi ritiro dall’Iraq, ma anche dagli altri teatri di guerra, dall’Afganistan all’ex Jugoslavia. In secondo luogo, cambiamento deve significare eliminazione completa e totale delle leggi che la destra ha introdotto, dalla scuola al federalismo alle pensioni, ma anche una politica economica e sociale che si esprima al di fuori e contro la politica dell’UE che persegue il fine di dare al capitalismo europeo gli strumenti per competere coi poli forti del sistema economico mondiale.

E’ possibile che questo mio discorso venga condiviso, ma esso non ha forza e senso se non si lega a due altre questioni. Una è definita nel titolo: uscire dal ghetto, o meglio dai ghetti. Cosa significa questa affermazione? In sintesi significa che, se si vuole giocare una partita seria che impedisca al popolo antiberlusconiano che vuole il cambiamento di cadere nelle braccia dei moderati dell’Ulivo, occorre impostare una campagna seria e di massa, fatta di contenuti, che convinca i potenziali elettori del centrosinistra che votare Prodi è un suicidio e che chiunque aspiri a rappresentare il popolo della sinistra non può non fare i conti con questi contenuti.

Le varie madrasse ‘rivoluzionarie’ che strillano all’ultimo momento astensionismo non solo non sono attrezzate per questo compito, ma difettano anche di motivazioni convincenti.

Sapremo affrontare questo compito che darebbe un volto non solo protestario, ma anche di programma ad una vera sinistra con rifetrimenti precisi di classe e antimperialisti? Abbiamo di fronte a noi molti mesi per organizzarci. Proviamoci.

Nel frattempo facciamo in modo che i richiami elettoralistici dell’ultima ora di coloro che vogliono sfruttare la situazione per ‘disubbidire’, o di chi si presenta come oppositore interno al PRC o alla coalizione per farci votare più a sinistra, ma sempre dentro la coalizione, vengano depotenziati nei loro intenti.

La campagna del non voto deve esprimere forza e autonomia e questa forza e autonomia è all’esterno del centro sinistra.

Roberto Gabriele


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