Le elezioni nell'Europa che non c'è

La guerra per il Kosovo lo ha determinato sul piano strategico, le successive elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo lo hanno sancito sul piano politico: prima ancora di nascere come realtà politica e militare, l'Unione Europea è stata uccisa come una vittima sacrificale virtuale sull'altare di una nascente Unione Atlantica, che ha già pronto il braccio politico, costituito dal governo USA assistito da quelli inglese e francese, e il braccio militare, la NATO. La Germania, che dopo la dolorosissima riunificazione pregustava la propria egemonia politica in Europa, si è vista soffiare sotto il proprio naso, senza poter far nulla, l'ambito giocattolo.

Finis Europae.

Tutti i governi in carica hanno perso le elezioni. Speravano di potere arrivare rapidamente, prolungando, consolidando e approfondendo l'unità di azione realizzata nella guerra contro la Jugoslavia, all'unità politica europea. Ma gli americani hanno fatto lavorare gli europei per la propria vittoria contro la Jugoslavia. Gli elettori hanno punito il fallimento dei governi "socialisti" o "socialgollisti", astenendosi dal voto o premiando partiti di centro e centrodestra tradizionalmente subalterni al dominio americano e poco inclini a velleità autonomistico-concorrenziali nei confronti del grande fratello d'oltre Atlantico. Bisogna proprio convincersene: nessuno crede più all'Europa. Il tasso di partecipazione alle elezioni europee negli anni è sempre calato e non si sarebbe scelto un personaggio privo di prestigio e autorità come Prodi come Presidente della Commisssione Europea se si fosse voluto o previsto un reale potenziaento dell'Europa politica.

La prospettiva dell'unità politica europea era realistica solo come contrapposizione capitalistica all'Unione Sovietica. Ma ora l'URSS non c'è più e un nemico ben più potente di quello sovietico insidia il primato americano. Gli USA esigono che gli alleati europei e asiatici serrino i ranghi attorno a loro in funzione del contenimento della nuova minaccia strategica. La NATO deve essere mantenuta e rafforzata, la sua espansione non deve avvenire a scapito della sua efficienza. I salienti di resistenza all'Occidente (Iraq, Jugoslavia e altri) devono essere ridotti all'impotenza per procedere all'accerchiamento strategico del nuovo nemico.

Non si tratta di un nemico immaginario, inventato per dare lavoro e profitti a un'industria bellica in ridimensionamento dopo il crollo dell'URSS e dei suoi satelliti, come sostengono molti analisti sciocchi. Si tratta di un nemico la cui popolazione, istruita, laboriosa, altamente produttiva, è quattro volte più numerosa di quella americana e risparmia il 40% del proprio reddito; il cui volume di PIL, secondo recenti stime del Fondo Monetario Internazionale sicuramente approssimate per difetto, costituisce il 12% di quello mondiale, subito dopo quello USA e prima di quello giapponese; la cui élite politica opera con grande successo sulla base di un modello sociale alternativo a quello americano (economia socialista di mercato contro economia capitalista di mercato).

La Cina è l'unico grande Paese di cui è ragionevole dire che il suo PIL supererà quello americano per volume tra qualche anno e per livello procapite tra pochi decenni.

L'unico settore in cui gli USA superano in modo schiacciante la Cina è quello dell'industria militare, malgrado i recenti, rapidi progressi, anche in questo campo, del colosso asiatico.

Gli USA intendono utilizzare la propria superiorità e rafforzarla sia attraverso un maggiore coinvolgimento dei propri alleati, sia attraverso la realizzazione di una rete antimissilistica integrata che annienti la minaccia rappresentata dai missili cinesi intercontinentali e di teatro e costringa anzi la Cina a una supercorsa agli armamenti che la sfianchi e la porti all'autodistruzione come l'URSS.

Nella contesa USA-Cina la prossima posta è la debole ma armatissima Russia, a governo filoamericano, ma a collocazione geopolitica naturalmente incline verso la Cina. Se nei prossimi anni gli USA arriveranno a controllare totalmente la Russia, la Cina si troverà accerchiata e destinata al crollo. Se viceversa forze nazionaliste prenderanno il potere in Russia e contribuiranno al riarmo cinese, sarà in pericolo la testa di ponte europea dell'Unione atlantica, oltre che la linea di difesa e attacco USA negli arcipelaghi dell'Asia orientale.

Di questo si parla, agli alti livelli dell'intelligenza politica capitalista, anche se nei mass media si parla d'altro e si dà importanza ad altro, a fini propagandistici o di attesa tattica. Ai leaders europei e asiatici viene costantemente ricordato che anche l'Europa e il Giappone sono interessati al contenimento dell'immane potenza cinese (la cui popolazione è una volta e mezzo superiore a quella di USA, Canada, Giappone e Unione Europea sommate).

Quindi, nei prossimi anni, niente grande politica europea distinta da quella USA. L'Europa resterà, come tale, solo realtà economica, e realtà economica interessata dai processi di americanizzazione, cioè di flessibilizzazione totale del lavoro (l'economista P. Krugman ha recentemente detto di non sapere nulla dei motivi del miracolo economico americano, dovuto, "probabilmente", dice, alla flessibilità del lavoro).

Questo non vuol dire che non ci saranno lotte "di resistenza" dei fautori dell'Unione Europea contro i fautori dell'Unione Atlantica e che momentaneamente non possano prevalere i primi. Vuole dire che, in mancanza di novità rilevanti del quadro strutturale delineato, alla lunga sono i secondi quelli destinati a prevalere.

I comunisti naturalmente non hanno interesse ad appoggiare nè gli uni nè gli altri e nemmeno gli ormai patetici fautori dell'indipendenza nazionale.

Forse possono contrapporre a tutte e tre le frazioni dell'élite politica borghese l'idea e la prospettiva di una Unione o almeno di una Comunità Euroasiatica, avente come suoi punti di forza la scienza, l'agricoltura e i servizi europei, le armi e le risorse naturali russe, l'industria cinese, la tecnologia nipponica. Questa prospettiva non è in sè socialista, ma sul lungo periodo la sua diffusione forse renderebbe naturale l'accettazione della centralità politica della Cina e aprirebbe alle forze comuniste presenti in varie parti del continente euroasiatico nuovi spazi di iniziativa.

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