L'Europa all'uranio

Nella confusione ‘globale’ in cui si trova la discussione nella sinistra e tra quelli che si definiscono comunisti, la questione Europa rischia di venire travisata a tutto vantaggio delle forze che ne stanno dirigendo l’evoluzione verso una logica imperialista più marcata. Urge quindi che si faccia un pò di chiarezza e ci si ponga concretamente il problema del che fare in Europa. La vicenda dell’uranio impoverito ha reso ancora più drammatica la situazione ed evidenziato anche i ritardi delle forze antimperialiste europee.

Quali sono le questioni da analizzare e da porre in discussione?

La prima e fondamentale questione è: che cos’è l’Europa oggi? intendendo per Europa le istituzioni che la governano, dalla UE, alla moneta unica, alla forza militare di intervento rapido. Su questa evoluzione dell’Europa si è discusso poco, avvolti come siamo dalla cortina fumogena della ‘globalizzazione’, col risultato che l’imperialismo europeo ha potuto nascondersi dietro le responsabilità principali degli USA e della NATO apparendo più un servo sciocco degli americani che un vero protagonista. Certo, gli Stati Uniti hanno diretto in tutti questi anni il gioco, determinando le scelte strategiche fondamentali, dalla guerra del Golfo all’intervento contro la Jugoslavia, ma dentro questa strategia l’Europa ha svolto la sua funzione di complice e comprimario dell’opera di aggressione e di rapina imperialista. L’analisi dei fatti, la disposizione delle forze, la divisione dei compiti, ci porta a concludere che si è trattato di una spartizione della torta decisa a tavolino per ogni campagna di guerra. La pericolosità di questa dinamica imperialista europea è già di per sè in grado di definire una situazione, ma in realtà l’evoluzione della politica europea sta procedendo rapidamente. Come? Ci sono due fatti che danno il segno di questa evoluzione: Nizza e la costituzione della forza militare di pronto intervento.

Ancora una volta l’attenzione dei mass-media e dell’opinione pubblica, rispetto all’incontro di Nizza, si è concentrata sulle manifestazioni del cosiddetto popolo di Seattle, poco invece si è detto sulla concretezza del progetto europeo di inglobamento nella UE dei paesi dell’Est europeo, che era il vero obiettivo dell’incontro. In realtà, a Nizza è iniziata la grande abbuffata dell’occidente europeo, della Germania, della Francia, dell’Italia e di tutti gli altri soci fondatori della UE nei confronti di un’area vasta che va dai Balcani ai paesi baltici, al centro Europa e lambisce la grande Russia. Un’operazione colossale che comprende cinquecento milioni di persone e un mercato vastissimo. Nizza è stato il palcoscenico dove si è recitata la farsa del progetto politico unitario, mentre la sostanza della discussione verteva su come gestire un progetto così appetitoso.

Dopo Nizza dunque lo scenario cambia e ci avviamo non tanto come dice qualcuno al protagonismo dell’Europa delle civiltà, ma al rafforzamento delle grandi holdings europee.

Un progetto del genere non poteva che essere accompagnato da un rafforzamento militare, dal momento che nella mente degli architetti di questa nuova Europa c’è sicuramente l’idea di cambiare i rapporti di forza tra il vecchio continente e gli USA. La forza di intervento rapido, in cui l’Italia ha un ruolo molto importante, diventa la dimensione militare di un'ambizione imperialista che travalica dunque i vecchi confini dell’alleanza-sudditanza agli USA per cercare confini nuovi ad un imperialismo che tende a mettersi in proprio.

Certamente su questa strada ci sono difficoltà di vario genere, prima di tutto quelle create continuamente dagli USA, che tendono a riportare l’alleato europeo nell’alveo di una collaborazione subordinata. E questo obiettivo viene riproposto sia attraverso i rapporti con l’Est, per evitare che i paesi dell'Europa occidentale possano diventare il canale principale di espansione economica verso quest'area, sia attraverso la quinta colonna rappresentata dagli inglesi, sia minando i progetti di collaborazione con interventi militari che acuiscono le contraddizioni. Tuttavia una direzione di marcia è stata imboccata, pur tra molte contraddizioni, e ora con l’euro, con l’allargamento ad est dell’UE e con la forza di pronto intervento, l’Europa si avvia ad un nuovo protagonismo imperialista.

Il pathos idealistico prodiano sull’unità europea ha dunque come base concreta e prosaica queste ambizioni. Sul futuro di questa nuova Europa imperialistica pesano molte incognite. L’eterogeneità delle forze e lo squilibrio delle componenti non rendono sicuro il percorso e soprattutto il risultato. Però, certamente, lo scenario internazionale può cambiare rapidamente.

Qual’è l’atteggiamento dei comunisti di fronte a questa evoluzione? Innanzitutto occorre tener molto chiari i punti di analisi, per evitare di essere coinvolti in fumisterie europeistiche che tendono ad accreditare una presunta civiltà europea contro la barbarie americana. Dobbiamo semplicemente ricordare che l’Europa è il continente che ha gestito tutta l’epoca coloniale, che essa è stata la culla del nazismo e del fascismo, che i suoi gruppi dirigenti hanno gestito le ultime ignobili guerre ‘umanitarie’ per lucrare sulle popolazioni aggredite, ecc. Quindi l’Europa non ha nessuna civiltà da rivendicare rispetto alla nuova dinamica imperialista, ma essa deve essere rappresentata per quella che veramente è.

Il pericolo che si corre è che una certa sinistra voglia contrapporre all’imperialismo USA una autonomia che ha anch’essa obiettivi imperialisti. Teniamo conto che i ‘pacifisti’ verdi, i radicali, i 'comunisti’ francesi e italiani hanno già partecipato a governi di guerra e quindi la situazione è già compromessa. Una svolta autonomista dell’Europa potrebbe indurre altre fette della sinistra, anche quella sedicente comunista, ad accreditare ipotesi collaborazioniste con la borghesia europea.

Ai comunisti deve essere chiaro invece che la dinamica imboccata dall’Europa è di tentare un proprio rafforzamento per non essere schiacciata dai nuovi poli regionali che si delineano antagonisti agli USA, dall’Asia alla Russia, e di trarre l’occasione per tentare un salto economico, tecnologico, militare per contrapporsi ai suoi concorrenti.

La rottura del dominio assoluto degli USA, che dal crollo dell’URSS ha ferreamente egemonizzato il mondo e subordinato gli alleati, sta forse per realizzarsi e questo fatto, se pure è da salutare positivamente, è foriero di nuove sciagure a cui bisogna prepararsi con un atteggiamento antimperialista coerente e con l’analisi delle forze che possono incrinare i progetti di dominio imperiale vecchi e nuovi.

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