Fin dove è possibile?
Considerazioni sulla fase e sui comunisti

Siamo solo all’inizio del nostro lavoro e già una serie di avvenimenti ci impongono di andare aldilà, di legare l’impostazione iniziale con ciò che sta accadendo, pena la perdita di vitalità delle idee da cui partiamo e del tessuto comunista che vogliamo ricostruire. Può avvenire anche il contrario e cioè che il realismo della quotidianetà ci travolga e ci faccia smarrire la bussola di un abbozzo di strategia.

I compagni e le compagne che in questi anni si sono misurati con questi problemi hanno avuto la sensazione di pestare l’acqua in un mortaio, una sorta di fatica di Sisifo che li riportava sempre al punto di partenza. Sembrerà strano che poniamo questo problema all’indomani di Firenze e in un momento in cui il dalemismo in crisi ha prodotto la rottura di Cofferati e i girotondi. E’ compatibile questo sviluppo del movimento, così ampio e articolato, con l’affermazione che i comunisti sono ancora al palo?

Apparentamente è una contraddizione, ma l’analisi del movimento ci porta invece a ragionare in altro modo. In sostanza che cosa sta accadendo a in Italia e a livello internazionale? Nel nostro paese è in atto uno spostamento politico di massa che investe in particolare la sinistra. D’Alema e l’Ulivo hanno prodotto una reazione salutare che ha rimesso in discussione l’egemonia della sinistra liberista e ha rilanciato quella dei valori e dei diritti. Fatto questo che ha un grosso effetto positivo, come stiamo sostenendo da tempo. Più a sinistra, il movimento no global è riuscito a catalizzare la spinta di settori radicalizzati della società, giovanili soprattutto, ma, con l’aiuto di Rifondazione e per mancanza di altri referenti, da Genova in poi, ha finito per aggregare, nei momenti alti della mobilitazione, tutta l’opposizione, compresi quelli che strumentalmente utilizzano lo scontro per ritornare al governo.

Se il disordine è così grande sotto il cielo non basta che i comunisti portino la loro coscienza ‘dal di fuori’ per influenzare il movimento e quindi avere grosse possibilità di crescita? Questo abusato concetto mutuato da Lenin non funziona e non può funzionare. Per questo ci sembrano grottesche tutte quelle manovre di mimetismo con cui si stanno riciclando gruppi e settori politici che tentano di cavalcare la tigre illudendosi di portarla chissà dove.

La tigre, se vogliamo chiamarla così, una direzione ce l’ha e sicuramente questa direzione, da un punto di vista politico, non sarà modificata. Sia Cofferati che Bertinotti hanno un disegno ben chiaro. Cofferati rappresenta la sinistra moderata che non vuole farsi liberista, mentre Bertinotti di fronte alle contraddizioni epocali, la guerra come la fame, la crisi del pianeta stressato dalla globalizzazione della finanza internazionale, della rapina delle risorse e quant’altro, propone un altro mondo possibile. Dietro questa direzione politica ci sono strati consistenti di società che rifiutano la guerra di Bush e la destra di Berlusconi, ma che per la loro natura danno allo scontro di classe e alla valutazione delle prospettive politiche un carattere di ambiguità e di falsa rappresentazione.

Certamente non bisogna buttare il bambino con l’acqua sporca. Il nostro ragionamento non tende a negare il peso che i movimenti stanno avendo nella situazione odierna ma a rivendicare come comunisti piena autonomia politica nelle analisi, nella tattica e nell’organizzazione. La questione è di vedere come questa autonomia si sostanzia e come si dialettizza col resto. Evitando soprattutto che l’impostazione dei comunisti si riduca a dare la benedizione dell’esistente invece di capire su quali punti intervenire, oppure a lanciare anatemi contro l’ambiguità, ovvia, del movimento no global. Al contrario, compito dei comunisti è quello di porre all’attenzione analisi corrette della situazione e definizioni, conseguenti, degli obiettivi.

Sull’analisi della situazione non vi è dubbio che l’attuale direzione dei movimenti, sia quello della sinistra moderata che quello egemonizzato dal PRC e dai no global ha costruito ipotesi e definito strategie che non sono in grado di rispondere alle esigenze che stanno emergendo.

Facciamo l’esempio principale, quello della guerra. Dire di essere ‘contro le guerre senza se e senza ma’ è cosa importante ma, se questo non è contestuale alla denuncia e alla lotta ai fondamenti strutturali della politica di guerra e del militarismo, si determina uno sviluppo parallelo di situazioni per cui da una parte si chiede la pace e dall’altra i preparativi di guerra vanno avanti, compresa l’annunciata estensione della base dei sottomarini nucleari americani in Sardegna.

In sostanza si tratta di ottenere che il movimento contro la guerra non sia rappresentato come un insieme di pacifisti perbene e un pò ingenui, ma di gente che sa denunciare e combattere efficacemente la criminalità di coloro che progettano stragi e genocidi di interi popoli sulla base degli interessi concreti dell’imperialismo USA e dei suoi alleati, cercando di portare il massimo delle forze su queste posizioni.

Questo non è un inno ai Black Block o ad altri ‘antimperialisti’ di estrazione gruppettara che, nel caso migliore, riproducono un radicalismo negativo e spesso anche strumentalizzato. Pensiano invece ad una organizzazione comunista che sulle questioni della pace e della guerra sappia svolgere la sua funzione con coerenza nello scontro politico e nella lotta.

Ma dov’è questa forza comunista che spinge verso la trasformazione del movimento e nella definizione degli obiettivi? Questo è il punto di crisi e il limite della situazione.

Ovviamente non ci scandalizziamo per come altri settori di movimento si esprimono sulle questioni della pace diversamente da noi. Nè li consideriamo nemici. Però ci rendiamo conto che, se non portiamo il ragionamento laddove il nemico determina il conflitto, il movimento non sarà in grado di affrontare lo scontro. In poche parole dobbiamo dire che senza la crescita del peso dei comunisti la situazione si blocca.

Sarà la situazione oggettiva a modificare le cose? Certamente senza un ulteriore acutizzarsi dello scontro, le correnti moderate e pacifiste manterranno l’egemonia. Ma questo non è un buon motivo per rimare al palo. Le condizioni di un cambiamento vanno preparate. Da subito, con una accelerazione del lavoro di riorganizzazione dei comunisti che deve spingerci ad operare un salto di qualità, che trasformi l’attuale movimento in una forza antimperialista vera.

Ci siamo resi conto che a questo lavoro dobbiamo dedicarci con serietà e metodo, oppure, come purtroppo sembra, siamo ancora fermi al palo o a riti ‘antimperialisti’ fatti di discorsi per i soliti addetti ai lavori che si parlano addosso?

La situazione a cui ci riferiamo non riguarda solo l’ambito internazionale, ma anche lo scontro interno. Anche qui si pone una questione nel rapporto tra comunisti e movimento. Limitarsi ad essere disobbedienti e un pò birichini ci sembra ben poca cosa. Su questo facciamo un esempio, per capirci. Un certo perbenismo di sinistra ha avuto, con Bertinotti e Liberazione in testa, la grave responsabilità di coprire gli effetti della sentenza Andreotti. Perchè non riconoscere che il rapporto di questo esponente politico con la mafia e con i delitti di mafia è stato una componente della vita di questo stato ‘democratico’? Perchè in sostanza si è voluto coprire una responsabilità come quella emersa dalla sentenza di Perugia? La sinistra rivoluzionaria si è dimostrata meno coerente di Luciano Violante! Quali sono le radici di queste posizioni opportuniste se non la codardia di fronte ad un nemico dai risvolti criminali? Invece, di questa criminalità bisogna cominciare a parlare apertamente in modo che la richiesta del nuovo mondo possibile passi attraverso una lotta adeguata ai fautori della guerra e della criminalità politica.

Motivi quindi per esprimere autonomia dei comunisti ce ne sono molti. Basta avere l’intenzione di dare a queste posizioni serietà di analisi e generalizzazione di volontà politica. Ma qui ritorniamo al punto di partenza: ci sono le condizioni perchè questo passaggio avvenga? Noi abbiamo chiarito, fin dall’inizio, che la nostra battaglia per il recupero dell’identità storica dei comunisti contro la devastazione della Vandea anticomunista, del Bertinotti-pensiero e del neotrotskjsmo, non poteva non essere correlata ai problemi di ripresa politica legati alla nuova fase, di cui la lotta antimperialista è base essenziale. Ora che siamo nel vivo di una situazione in cui il concetto di comunismo si lega al lavoro rivoluzionario per trasformare le guerre imperialiste in modificazioni epocali si evidenzia tutta la nostra debolezza. Non possiamo nascondere questa verità dietro un teatrino di iniziative senza respiro. Nessuna nostalgia quindi da tardo- stalinisti ci deve appartenere, ma un impegno di ridefinizione di compiti e di autonomia dei comunisti. Ci auguriamo che, a dispetto di qualche vecchio gufo o di compagni che ritengono persa la partita e si adeguano a fare i no global, ci siano compagni che riscoprono il marxismo leninismo come arma di combattimento.

A spingerci a discutere sul ‘che fare?’ (ricorre il centenario della pubblicazione del libro di Lenin, come ci ricorda il compagno Curatoli in questa stessa pagina) ci pensa, aldilà delle nostre incertezze e debolezze, l’iniziativa imperialista.

L’incontro di Praga della nuova NATO è andato ben oltre le previsioni. In sostanza è stata una nuova articolazione della guerra infinita di Bush e degli Stati Uniti che prevede, attorno al gigante militare americano, una aggregazione di forze dell’est e dell’ovest europeo con una funzione imperialista permanente. Fuori dal buonismo giovanile e dalla vecchia consuetudine politicista e gruppettara cominciamo a discutere seriamente come rompere questa catena imperialista del terzo millennio. Ripetiamo: fin dove è possibile realizzare questa necessità in un contesto come quello attuale, che si presenta così arretrato nella sua coscienza e modo di manifestarsi? La domanda la giriamo ai compagni e alle compagne che leggono Aginform perchè se ne discuta.

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