DIETRO L'ANGOLO

In meno di un ventennio si sono consumati, in successione rapida, tre cicli 'storici' che ora aspettano la loro conclusione. Il primo, com'è noto, anche se poco considerato dal comunismo 'perbene', è quello del crollo del socialismo reale all'Est e degli effetti tutt'altro che liberatori che ha prodotto. Il secondo ciclo ha visto lo sfrenato dispiegarsi della potenza militare e della penetrazione globale dell'imperialismo occidentale, conseguente appunto al crollo del  deterrente storico prodotto dalla rivoluzione russa, e ora siamo alla crisi mondiale del sistema capitalistico, il punto di arrivo di questi passaggi epocali.

Ognuno di questi passaggi ha avuto la sua specifica caratterizzazione. Il crollo del socialismo reale, a parte alcuni orfani testimoniali, ha fatto tirare un respiro di sollievo ai neocomunisti democratici, mentre il secondo ciclo ha deteminato, com'era nelle cose, una reazione in varie aree del mondo, particolarmente nei paesi islamici e in America Latina. E mentre ci aspettavamo una fase di riequlibrio multipolare, con il conseguente ridimensionamento della dottrina della guerra infinita, è venuta invece una crisi sistemica che ha sconvolto tutti i precedenti programmi e previsioni.

In verità alcuni profeti di sventura avevano ipotizzato la crisi, ma sembrava un esercizio intellettuale più che un dato inevitabile. Ora però con una rapidità impressionanante lo schiacciasassi della crisi sta maciullando non solo la finanza, ma anche quella che si definisce economia reale, svelandone, peraltro, le indissolubili connessioni.

I bollettini di guerra che si susseguono sulla caduta degli indici delle borsa sono seguiti dagli annunci sul crollo dei livelli di produzione e del commercio internazionale. Nei fatti, almeno per ora, si sta dimostrando che la crisi non può essere affrontata ridimensionando il fattore scatenante, gli Usa, in modo da favorire il riequilibrio internazionale. Stavolta il sistema ha dimostrato la sua sostanziale unità e quindi il coinvolgimento di tutto il sistema che ruota attorno al capitalismo occidentale. La crisi non sta o non si riversa dunque solo nella periferia dell'impero, ma scuote il centro, riportando alla ribalta la questione dell'apertura di fasi rivoluzionarie che modificano in termini qualitativi la situazione.

Assisteremo quindi ad una quarta fase, quella dell’apertura di crisi rivoluzionarie come quelle che hanno portato all’ottobre russo? Non bisogna anticipare i tempi ma, al contrario, analizzare bene i passaggi che abbiamo di fronte.

Il capitalismo occidentale si sta sforzando di non far crollare l’edificio e quindi cerca di tamponare le falle che si sono aperte, ma la crisi finanziaria non è l’unica variante della situazione in quanto a sostenere l’edificio c’è anche il livello del debito pubblico e c'è il blocco della produzione reale. Quando il corto circuito sarà innestato le provvidenze dei governi non avranno più un respiro tale da garantire un futuro al capitalismo. Questa però non vuole essere la riproposizione della teoria del crollo, è semplicemente una considerazione su quello che ci aspetta dietro l’angolo, anche se di questo non c’è cenno nel dibattito della sinistra, comunista e non, preoccupata di superare sbarramenti elettorali o di dar vita a iniziative rituali.

D’altronde che cosa c’è da aspettarsi da questa sinistra, che non è stata in grado di misurarsi con i provvedimenti razzisti, coi progetti antisciopero, con le ronde padane, con l’impunità e la criminalità di stato?

Erregi

10 marzo 2009


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