Aspettando il luglio '60

Qualche novità si è avvertita in questo periodo di calura estiva. La vicenda Innse, con un seguito romanesco, ha catalizzato l’attenzione della sinistra, in attesa del 4% per ritornare di scena. Non è solo una questione strumentale, un appigliarsi alla classe operaia per ritrovare un’identità perduta nei meandri dell’opportunismo governista e della sinistra imperialista. E’ soprattutto il ritrovarsi in una logica di governo laburista con la speranza di prospettive elettorali. Non è un caso se un ex assessore della sinistra estrema milanese, Bruno Casati, scrive che lui la questione Innse l’aveva esaminata a suo tempo prospettando una soluzione che prevedeva la collaborazione del capitalismo buono. Quando tutta, dico tutta, la sinistra variopinta inneggia all’Innse, è mai possibile che nessuno si sia accorto di che cosa ci sia dietro l’operaismo ritrovato?

La presente nota non ha lo scopo di avanzare critiche di tipo trotskoide al realismo politico, ma di dare il senso vero alle cose e svelarne il significato. Per andare al dunque, legandosi alla vicenda Innse, ci sono due questioni su cui occorre riflettere per capire come muoversi nell’attuale crisi e nello smottamento a destra della società italiana.

Sul versante operaio bisogna uscire dai convenevoli e dal buonismo e seguire l’esempio di realtà operaie europee e soprattutto come si diceva un tempo per la Russia, fare come in Cina e in Corea del Sud. Sulla Cina non ci interessa accodarci alla propaganda occidentale sulle minoranze etniche ma sulle reazioni operaie non bisogna nascondersi dietro diplomatismi. Quando gli operai reagiscono alla logica capitalistica è certamente buon segno. In Corea del Sud lo scontro in fabbrica contro i licenziamenti viene addirittura combattuto su un terreno di tipo militare con uso di blindati e di elicotteri. La resistenza operaia diventa coscienza di classe e non tradeunionismo.

Naturalmente la crescita della coscienza non avviene sulle sconfitte, ma per non subirle occorre uscire dai miti, anche quelli operaisti, per far avanzare una coscienza di lotta proporzionata alla situazione e ai comportamenti dell’avversario.

Oggi bisogna più che mai avere chiaro che anche la migliore lotta operaia non potrà dare risultati generali se non c’è lotta politica aperta e non si mette in crisi la strategia che fa avanzare la destra e indebolisce o coinvolge i lavoratori.

Ricordiamoci del luglio ’60 quando il governo Tambroni si appoggiò al MSI e Genova si ribellò, seguita dal resto d’Italia, con il seguito dei morti a Reggio Emilia e in Sicilia come ricorda la famosa canzone. Come è noto il governo Tambroni cadde e il congresso del MSI non si tenne più a Genova e ci fu la seconda resistenza a Roma, a Porta San Paolo.

Esiste una strategia che unisca le forze verso obiettivi veri e ambiziosi. Chi rappresenta politicamente questa strategia? L’interrogativo è retorico, ma vale porselo.

Erregi

20 agosto 2009


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