Vent'anni dopo
la lotta per il futuro continua

Intervento di Aginform il 7 novembre al convegno dell’organizzazione comunista di Praga al quale hanno partecipato molti  compagni e compagne dell’est e dell’ovest d’Europa.

Il tema di questo incontro è particolarmente centrato per il momento in cui si svolge. La convocazione dice venti anni dopo, cioè dal 1989, l'anno della svolta epocale che ha portato al crollo dell'URSS, degli stati socialisti dell'est europeo, del muro di Berlino, la lotta per il futuro continua.

A noi che possiamo definirci orfani del comunismo novecentesco e che ci identifichiamo con la storia del movimento comunista quale si è espresso con la rivoluzione d'ottobre e con la terza internazionale, spetta dunque un'eredità molto difficile: dimostrare che i comunisti hanno un futuro. Per questo non basta il ricordo che c’è stato un 7 novembre e che esso ha aperto una grande fase rivoluzionaria e un'epoca intera che è durata per tutto il novecento. Bisogna pure spiegare il senso complessivo di questa vicenda, e indicare concretamente le vie della ripresa.

Come spesso abbiamo ricordato, il primo problema che si pone ai comunisti è quello di non chiamarsi fuori dalla vicenda storica che ci ha coinvolti. In Italia, ad esempio, per tutta una fase, prima della trasformazione del partito comunista in partito liberaldemocratico, si affermava che i comunisti italiani erano altra cosa dai comunisti sovietici, polacchi, cecoslovacchi ecc. Questa era una menzogna, che è servita a evitare di essere messi sul banco degli imputati dalla borghesia e dalla sinistra anticomunista. I comunisti non possono nascondersi, devono assumersi le loro responsabilità di fronte agli avvenimenti storici, nel bene e nel male. I comunisti italiani, come tutti i comunisti dei vari paesi, hanno sempre sostenuto che il comunismo del novecento si identificava non solo nella rivoluzione d'ottobre, ma anche con tutta la storia del movimento comunista che ne è derivata. Solo quando è arrivata la fase controrivoluzionaria col xx congresso del PCUS e infine il gorbaciovismo, che nel'89 ha posto fine a un'epoca storica e ne ha aperta un'altra fatta di guerre, di sviluppo sfrenato dell'economia imperialista, di militarizzazione globale, - solo allora la musica è cambiata. Il comunismo del novecento è stato a quel punto ed è ancora oggi oggetto di una campagna che tende a identificare la nostra storia col nazismo, Stalin come Hitler e chi, tra coloro che si definiscono comunisti, ha preso le distanze da Stalin, ha dovuto constatare che anche Lenin e la rivoluzione d'ottobre hanno subito lo stesso trattamento. Una storia di errori ed orrori come sostiene un rifondatore del comunismo italiano, Fausto Bertinotti.

A questo punto è necessario fare una prima considerazione. Dobbiamo essere convinti che il nostro futuro di comunisti dipenda molto da come riusciamo a contrastare l'interpretazione della storia comunista del '900 e su questo dobbiamo porci una domanda: come abbiamo contrastato l'ondata controrivoluzionaria dell'89? Molto male, bisogna dire. All’est come all’ovest. Ad est permettendo a Gorbaciov di attuare il suo piano di liquidazione del socialismo. Si poteva anche perdere, ma bisognava combattere. Perchè non si è combattuto? Che peso ha avuto questa scelta sul futuro del comunismo?

Anche ad Ovest il trasformismo delle organizzazioni comuniste - alcune delle quali hanno cambiato rapidamente natura - fatto di distinguo e di prese di distanza dalla storia del movimento comunista, ha avuto l’effetto di aumentare la forza dell’attacco ideologico della borghesia e della sinistra anticomunista. Allora, compagni e compagne, quando parliamo di futuro e per futuro si intende un futuro comunista siamo o no d’accordo sul fatto che bisogna partire da ciò che il movimento comunista è stato, praticamente e teoricamente? Abbiamo o no compreso la grande lezione rivoluzionaria del novecento, il secolo dei comunisti? Questa lezione bisogna brandirla come una clava contro l’offensiva anticomunista e dimostrare alle masse, agli sfruttati, ai popoli aggrediti dall’imperialismo, che la storia del comunismo è stata una storia di liberazione. Il futuro dei comunisti comincia da questo. Altrimenti con quale eredità e con quali strumenti possiamo progettare questo futuro? Invece, certi settori di quello che attualmente si definisce movimento comunista credono di poter sopravvivere sviluppando un piccolo cabotaggio di tipo elettoralistico e parlamentaristico, senza riprendere le questioni essenziali poste dalla rivoluzione d’ottobre. Ma quale incidenza e quale futuro può avere un simile modo di procedere? Basti pensare che i più grandi partiti comunisti europei, italiano, francese e spagnolo sono scomparsi o ridotti al lumicino. Solo laddove, come nel Nepal ad esempio, i comunisti, come diceva Mao, hanno osato combattere e osato vincere sono diventati protagonisti di una trasformazione reale nel loro paese. Altrove mi sembra che il ruolo dei comunisti sia assolutamente marginale rispetto ad altre forze che stanno mettendo in crisi l’offensiva imperialista e permettono  l’avanzata di forze sociali importanti.

Un secondo punto da affrontare è che se vogliamo andare verso il futuro dobbiamo necessariamente riscoprire il valore rivoluzionario dell’esperienza comunista. Questa riscoperta non è fatta di frasi fatte sul marxismo e sul leninismo. Non basta questo per andare verso il futuro. La storia non aspetta coloro che si definiscono 'comunisti' a parole. Non abbiamo nessuna rendita di posizione. Sicuramente in altri tempi ci siamo adagiati sul fatto che esisteva l’URSS e il sistema di stati socialisti e quindi la questione strategica sembrava risolta. Ora tutto è cambiato. Rivendicare le nostre radici rivoluzionarie non apre prospettive nuove se non siamo capaci di interpretare il presente e di saperlo affrontare. Lo dimostra la storia delle molte sette ideologiche che si sono definite marxiste-leniniste, una storia di fallimenti e di divisioni. E lo dimostra, al tempo stesso, la debolezza di quello che resta del movimento comunista.

E a questo punto occorre introdurre una terza questione che è decisiva per il nostro futuro. Qual’è il riferimento per agganciare la situazione e riprendere la marcia? Noi riteniamo, dal punto di vista teorico, che il leninismo sia la chiave della riorganizzazione dei comunisti. Anche se ogni organizzazione comunista opera in condizioni specifiche, la natura della sua politica non può prescindere da un corretto rapporto tra tattica e strategia. Il giudizio sulla natura dei suoi nemici, a partire dall’imperialismo e dalle borghesie nazionali ad esso agganciate, e su come combatterli, è la base della definizione di una politica comunista. Gli insegnamenti di Lenin sono fondamentali in questo senso.

Visto che siamo in Europa, poniamoci una domanda: come stanno affrontando i comunisti la questione della UE e del suo ruolo economico e militare collegato alla NATO? Si può avere un futuro passando attraverso le istituzioni europee che sono il comitato d’affari del capitalismo continentale? Oppure il nostro futuro dipende da un percorso diverso?

Teniamo presente che l’’89 non è soltanto il punto di crisi del movimento comunista, ma esso ha coinciso con l’apertura di una crisi mondiale provocata da un imperialismo senza freni e da un'economia capitalistica che non trova soluzioni che la stabilizzino. Come dire, il comunismo è morto ma i fatti ci dicono che si impone oggettivamente la discussione su come riaprire un processo rivoluzionario. Come si affronta questa crisi? Il dibattito sul nostro futuro comincia da qui.

Dal 1989 sono passati esattamente venti anni, un tempo lungo e denso di avvenimenti a cui non ha corrisposto un'adeguata discussione sul 'che fare'. La scena è  occupata dall’iniziativa delle forze islamiche e dal movimento in America Latina a partire dalla rivoluzione bolivariana di Chavez. La storia non si inventa, ma parte dalla realtà. Di questo bisogna essere assolutamente convinti. Ma la domanda finale è questa: esiste un'interpretazione della fase da parte delle forze che si richiamano al comunismo e che sia adeguata agli sconvolgimenti in atto, oppure siamo immersi nel ritualismo e nella tattica entro gli schemi politici che l’avversario ci impone?

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