La bohème è finita

Oltre ad essere un popolo di poeti, navigatori e santi, siamo anche un popolo abituato ad aggiornare continuamente i discorsi politici in funzione degli eventi senza ricavarne indicazioni concrete sul che fare, fatta eccezione per le scadenze rituali a cui siamo ormai abituati.

E' maledettamenente necessario, invece, che si prenda rapidamente coscienza della situazione che abbiamo di fronte e di come misurarsi con essa. Già l'onda dei profughi dalle terre sconvolte dalle guerre provocate dall'iniziativa imperialista dell'occidente dava la misura del ciclone che si stava avvicinando, ma questo non è bastato perchè si determinasse in Italia una reazione alla guerra adeguata agli avvenimenti. Perchè?

Una risposta abbiamo cercato di darla da tempo usando la definizione di sinistra imperialista, che si barcamena tra buonismo umanitario e pacifismo inconcludente, che sfugge alle sue responsabilità e spesso si dimostra anche subalterna alle centrali di propaganda occidentali (come sulla questione curda). Ma questo non è che un aspetto della questione. L'aspetto più preoccupante è invece un altro. L'Europa sta per essere investita da un altro ciclone, ben più pericoloso del primo, costituito da un concorso di contraddizioni esplosive che riguardano la guerra in Ucraina, la riorganizzazione europea attorno ai poli imperialisti continentali - Inghilterra, Germania, Francia e l'Italia 'stracciona' - e l'accentuazione sempre più evidente del potere repressivo sulle popolazioni in ragione del crescere della crisi economica e dell'instabilità politica. La dimensione europea però è lungi dall'essere la sola su cui misurarsi. L'era Trump è densa di incognite e lo scontro in atto tra globalisti e fautori di America first non è un'alternativa tra guerra e pace, ma tra due modi diversi di esercitare il potere imperiale degli Stati Uniti.

A che cosa portano queste considerazioni? Innanzitutto che ci si deve attrezzare allo scontro avendo un punto di vista globale, per evitare la parcellizzazione di avvenimenti che sono invece intimamente collegati. Eppoi avere coscienza che la questione centrale è l'antimperialismo, non quello degli slogans e delle chiacchiere ma quello vero, che misura i suoi livelli con il corso reale delle cose e li traduce in termini di analisi e organizzazione. Questo ci porta a dire, in secondo luogo, che il discorso antieuropeista deve essere coniugato con una strategia che presuppone un programma concretamente necessario e praticabile. L'uscita dall'Euro e dall'UE è una precondizione, ma ciò non significa che si possa trascurare il programma, con tutte le implicazioni che comporta. Dove sta anche solo un abbozzo di questo programma? E soprattutto, quali sono le forze che hanno la maturità di gestirlo?

Finora quello che si definisce 'antagonismo' si è limitato a generalizzare la parola 'NO'. E il resto? La lotta all'imperialismo è cosa troppo seria per farla gestire al 'movimento' con una sequela di NO. Soprattutto bisogna avere consapevolezza che se svolta antieuropeista ci sarà questa dovrà passare per un processo di tipo rivoluzionario che riorganizzi il sistema produttivo e le relazioni internazionali. Sennò sarà la destra nazionalista che prenderà le redini della situazione.

Aginform
6 febbraio 2017