Il governo dell'Unione
e l'organizzazione dell'opposizione

Da quando si sono svolte le primarie che hanno decretato l’investitura plebiscitaria di Prodi, molta acqua è passata sotto i ponti ed essa ha allagato le fertili pianure dove doveva nascere rigogliosa l’erba del possibile nuovo governo di alternativa.

Il teatrino delle primarie, nei fatti, non è riuscito a lungo a nascondere la verità su quella che potrebbe essere la politica del nuovo governo di centro sinistra, in quanto una serie di fatti e di dichiarazioni hanno demolito la speranza che la sconfitta di Berlusconi potesse coincidere con una svolta effettiva della situazione italiana. Si potrebbero elencare tutti i fatti e i misfatti che hanno creato l’odierna immagine dell’Unione, da come ci si dovrebbe ‘ritirare’ dall’Iraq, a come si deve rimanere dentro le guerre ‘umanitarie’ nell’ex Jugoslavia e in Afghanistan, a come si partecipa alle scalate finanziarie e se ne esce’indenni’ ecc. ecc. Che l’Unione sia il partito dei moderati, dunque, e non un’ alleanza politica-programmatica di alternativa, è ormai riconosciuto anche da quella sinistra che ha contribuito, con la sua complicità, a determinarla.

La questione è come muoversi dentro questa situazione, essendo schiacciati tra l’incudine di Berlusconi e il martello di Fassino e Rutelli.

In una nota, nel numero precedente di Aginform, ho cercato di definire le due posizioni che tradizionalmente si determinano a sinistra di fronte a una situazione sconfortante come quella odierna. Da una parte coloro che si turano il naso e votano quelli che ritengono il meno peggio, regalando così ancora una volta la leadership ai moderati neoliberisti, dall’altra quelli che coraggiosamente e sdegnosamente fanno il gran rifiuto e non votano.

Chi ha ragione tra le due parti? A me sembra che bisogna uscire da questa logica e provare a dare una vera risposta politica.

Partiamo innanzitutto dal quadro illusorio che viene precostituito da coloro che si turano il naso e votano l’Unione. Costoro pensano di prendere due piccioni con una fava perché concorrono a determinare la sconfitta di Berlusconi e a rafforzare la sinistra di ‘alternativa’ che sta dentro l’Unione. Quindi il bilancio dell’operazione voto si presenterebbe in attivo. Se guardiamo però ai contenuti e non al formalismo degli schieramenti, dobbiamo constatare che l’appoggio all’Unione avviene in un contesto in cui essa riafferma tutti i principali punti di collaborazione con la ‘comunità ‘internazionale’, cioè con l’imperialismo a direzione USA e con una UE che ne rappresenta, oltre ai propri interessi di bottega, un puntello essenziale.

Gestire ‘socialmente’ l’esistente è quello che si propone il centro sinistra. Non c’è nessuno strappo con l’asse strategico dell’imperialismo occidentale e questo lo dobbiamo dire anche al compagno Losurdo, col quale peraltro ci uniscono molte cose nella lotta antimperialista e nella denuncia dei crimini della ‘comunità internazionale’, quando sostiene che tra USA e Europa c’è una differenza sostanziale. Indubbiamente questa differenza c’è nel senso che la direzione è data dagli americani. Ma il resto? Chi sta nell’ex Jugoslavia, in Afghanistan? Chi organizza l’economia nel senso di coprire spazi che sono sostanzialmente coordinati con il fratello maggiore? Chi organizza gli spazi politici e giudiziari per reprimemere nel cuore dell’Europa chi lotta contro l’imperialismo? Ricordiamoci, a questo proposito, il varo bipartisan  nel parlamento italiano del pacchetto di misure antiterrorismo. E ora arriva la deliberazione europea che mette sullo stesso piano comunisti e nazisti. Il faccione di Prodi non ha espresso nessuna smorfia contro queste cose e anzi, tenendo conto del discorso sul partito democratico e su candidature come quella di Pezzotta, possiamo credere che esiste una profonda identità tra Prodi e questa Europa.

La domanda che ci si pone a questo punto è come si può costruire una alternativa a Berlusconi in questo modo? Come si può, senza tagliare i ponti con la strategia economica e militare dell’imperialismo, andare in una direzione opposta?

Se andiamo a vedere come si è costruita l’Unione, questa domanda non è stata neppure posta. A nessuno è venuto in mente di parlare di basi militari, di interventi ‘umanitari’, del tipo di economia da costruire in termini strutturali e su quali alleanze internazionali poggiarla.

Troppo rivoluzionario? A me sembra che, senza cadere in tentazioni polpottiste, i paesi che si stanno muovendo in questo senso, dall’America latina all’Asia, dimostrano in che modo si tranciano certe relazioni e si afferma una sostanziale autonomia dalla dinamica imperialista.

L’antiberlusconismo, anche se è un  sentimento da condividere pienamente, per tutte le ragioni che anche in questo foglio abbiamo sottolineato, non può sostituire l’autonomia di giudizio e di strategia che bisogna avere in questa fase se si vuole andare su una strada diversa.

In altri termini non si può costruire un’alternativa in un quadro imperialista.

I votanti per l’Unione che sono di sinistra ci dicono però che loro stanno con gli alternativi, con quelli cioè che ci garantiscono il rispetto dell’art.11, l’uscita dalla guerra, il rispetto dei diritti ecc. ecc. Noi saremo nell’Unione, dicono PRC, Verdi, PdCI, per controllare che questo avvenga.

Sembrerebbe un’ingenuità, ma in realtà è malafede. Diliberto sa bene, quando stampa i manifesti elettorali contro la sporca guerra (si suppone quella irachena) che il PdCI nella sporca guerra contro la Jugoslavia c’era fino al collo. Potrebbe essere  un’ingenuità anche quella di Bertinotti, che mentre accetta Prodi organizza la sinistra europea. Qualcuno gli ha fatto notare che in Germania Lafontaine ha avuto il coraggio di rompere con l’SPD e di andare all’opposizione. Bertinotti invece si candida alla presidenza della Camera e semina, come Pollicino, le palline di pane per indirizzare verso una nuova formazione politica i suoi seguaci e elettori sotto la direzione di Folena.

Quindi giocare sulla dialettica tra moderati e ‘radicali’ è tempo perso, ovvero è tempo perso se rimane su questo terreno. Quando penso all’intervento esterno non penso però ai movimenti.

Il nostro amico e compagno Bernocchi, dei Cobas, continua a sparare bordate contro il moderatismo e fa bene. Il livello della discussione e la soluzione stanno però altrove. Non si può pensare che il ‘ricatto’ dei movimenti possa sciogliere i nodi, né se questi ricatti sono fatti da Bertinotti dentro le istituzioni né se questi ricatti vengono fatti dall’esterno, dal movimento.

Così non si può rompere l’organizzazione a fisarmonica del centro sinistra, una fisarmonica che va da Mastella ai no global. Non è possibile in questo modo spostare l’asse strategico del centro sinistra.

Sono convinto che una gran parte della sinistra segue una deriva che salva l’anima e il portafoglio, ma essa non desidera uscire da un ambito istituzionale, per tutti i vantaggi che questo permette e concede. Non si tratta solo degli eletti nelle varie sedi rappresentative, ma di quelle centinaia di migliaia di quadri politici, di portaborse, di apparati collegati che rappresentano lo schieramento dell’intero centro sinistra. Il polverone che si alza nel dibattito serve a coprire meglio ciò che ci sta dietro. La controprova di questa realtà è il fatto che in questi mesi in cui il settore più moderato dell’Unione, l’asse Fassino Rutelli, ha imposto incontrastatamente la sua egemonia, i cespugli dell’Unione non hanno posto nessun paletto. Certo, nel tiremmolla qualcosa spetta anche ai ‘radicali’ dell’Unione, ma il risultato non cambia.

Allora basta non votare? Chi si salva l’anima in questo modo non dà nessuna risposta politica ai problemi. Non mi riferisco tanto all’astensionismo di massa che si determina contro le situazioni di equivoco. E giustamente la gente non si fida di chi dice non vi preoccupate che noi governeremo bene e non  specifica il suo programma oppure esibisce il caso Unipol come un fatto marginale. Quando parlo di coloro che salvano l’anima non votando, mi riferisco a quel settore critico della sinistra che di fronte ai fatti dovrebbe fare una scelta positiva, di riferimento. Finora, su questo terreno si sono mossi solo arcobaleni e laboratori politici che, guarda caso, stanno tutti dentro lo stesso spazio, cioè l ‘Unione.

Ebbene, è proprio da questo spazio che bisogna rivendicare la propria autonomia. In nome di che cosa? Non certamente mettendo il prima linea un progetto organizzativo astratto o neoparlamentare. Tutt’altro.

Se vogliamo incrociare un vasto settore che non vota o si fa irretire dal meno peggio, dobbiamo essere in grado di dare un’indicazione positiva sul futuro e questo futuro si chiama opposizione, organizzazione dell’opposizione politica che dica le cose come stanno, su Consorte, su Ciampi che viola la Costituzione, su D’Alema che deve rispondere della guerra in Jugoslavia davanti ad un tribunale italiano, sul carattere dell’Unione Europea, sulla sudditanza politico militare agli americani e agli israeliani, sul legame tra la nuova economia vagheggiata dai no global e l’economia italiana ecc ecc.

E’ possibile discutere di queste cose oggi? Il pessimismo è d’obbligo, ma la questione dell’alternativa politica all’Unione è posta all’ordine del giorno dai fatti.

Dividersi tra chi vota e chi si astiene non ha dunque senso. Ciò che conta è assumersi delle responsabilità serie. E su questo esprimo il mio pessimismo di fronte all’opportunismo dilagante, di chi si astiene e di chi vota turandosi il naso.

Roberto Gabriele

Aginform, gennaio 2006


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