Tra Bertinotti e Bernocchi. Che fare?

Mi auguro che numerosi compagni e compagne stiano riflettendo sullo stato di smarrimento che ha investito la sinistra, incastrata tra gli effetti della finanziaria, le adunate oceaniche di Berlusconi, e le rituali iniziative alternative studiate sul calendario e finalizzate a evidenziare il protagonismo di certe nicchie post-sessantottine.

Non voglio evidenziare per fini puramente polemici le questioni, ma cerco di andare a una riflessione che sia anche un punto di partenza per cercare di dare una risposta al che fare.

Mi sembra che ormai due cose sono acquisite: la consistente minaccia della destra e la inconsistente funzione dei 'radicali' nel progetto strategico del governo. Questi ultimi, per quanto si sforzino di dimostrare il contrario, non riescono  a dare un'immagine convincente della loro efficacia governista. Semmai i 'radicali' sono portatori, non tanto sul piano programmatico, ma su quello politico, di una responsabilità sull'equilibrio tra destra e sinistra che obiettivamente dobbiamo riconoscere. In sostanza funzionano per creare lo scudo antiberlusconiano che ha permesso e permette a Prodi di stare al governo. Ritengo che i compagni seri si pongono qui il primo problema politico e cioè come sciogliere questa contraddizione tra la funzione antiberlusconiana di Prodi e l'inefficacia di un progetto alternativo di governo.

La soluzione di questa contraddizione non sta, a mio parere, nel rafforzamento di un opinionismo critico che a volte trova sfogo in manifestazioni più o meno azzeccate che lasciano però le cose invariate. Le mosche cocchiere riproducono solo un senso di frustrazione e servono ai cultori dei 'movimenti' per agganciarli alle aree politiche istituzionali, di volta in volta PRC, PdCI, ecc.

A mio parere già all'indomani delle elezioni politiche che hanno visto la - quasi - sconfitta di Berlusconi si è posto un problema che è stato eluso da quella che potremmo definire la sinistra critica, quella che 'pretende' - senza avere strumenti reali e una visone oggettiva delle forze in campo - che le cose vadano in una direzione diversa. Questo problema si chiama autonomia dalle forze politiche della sinistra 'radicale' governista.

Si dirà, ma gli 'alternativi' che scendono in piazza con varie motivazioni sono 'autonomi'. Quando si parla di autonomia, però, si devono premettere concetti che mi sembrano estranei alla cultura politica di questi decenni di movimento. Il principale di questi concetti consiste nel fatto che l'autonomia di cui si deve parlare è cosa diversa dal non riconoscersi negli 'altri' cioè quelli che praticano il parlamentarismo di 'sinistra'. Autonomia deve poter significare l'accumulazione di una forza politica legata alle questioni reali, che sappia imporre con la sua materialità e stabilità gli obiettivi che si propone.

Protestare o chiedere agli altri di realizzare questi obiettivi fa parte di quel radicalismo velleitario che è la madre di tutte le impotenze e lascia ai protagonisti veri, la destra e le forze riunite a Sesto San Giovanni dietro Italiani-Europei, il ruolo di decidere le sorti di tutti.

Mi rendo conto che le soluzioni non sono a portata di mano, ma almeno si abbia il coraggio di discutere seriamente di questo invece di inseguire i miti e i riti di una generazione invecchiata che si rifiuta di fare i conti con se stessa.

Erregi

10 dicembre 2006


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